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Il Governo de L'Ulivo: Romano Prodi e il viaggio de L'Ulivo:
si riparte dalla prima tappa
17 gennaio 1998
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Infine, care amiche e amici, dobbiamo pensare anche a quanto accade intorno a noi, alle nostre frontiere, nel mondo che ci circonda.

Un mondo che preme ogni giorno ai nostri confini, che giunge sulle nostre coste attraverso le migliaia di persone che cercano qui, e nell’Europa di cui noi siano parte, la loro speranza di futuro.

Ho detto altra volta che la storia si è rimessa in moto intorno a noi.

Noi non possiamo e non dobbiamo sottrarci al mondo.

Questo significa innanzitutto sostenere le nostre imprese nella loro capacità di espansione in altre realtà e in altri continenti e aiutare il sistema produttivo italiano a reggere la concorrenza mondiale ma anche a allacciare con i Paesi sottosviluppati relazioni industriali e produttive che ne possano favorire la crescita.

Occorre poi che noi ci assumiamo a pieno titolo i nostri doveri verso la comunità internazionale.

Specialmente nella parte del mondo a noi più vicina, al di là del mare che ci circonda, ci sono realtà difficili e focolai di grande tensione. Ci sono Paesi, popoli, etnie che tornano alla storia dopo decenni di isolamento, ci sono zone del mondo attanagliate dai problemi del sottosviluppo e della guerra.

Noi dobbiamo sapere che essere Europa ed essere Italia europea significa affrontare con senso di responsabilità e con impegno questi problemi.

Lo abbiamo fatto in Albania, con un intervento che, grazie ai nostri soldati, ai nostri operatori e ai Paesi intervenuti con noi, si è dimostrato esemplare. Continuiamo e continueremo a dare all’Albania il sostegno che possiamo per aiutare questo Paese a trovare rapidamente la via per sviluppare tutte le sue potenzialità di crescita economica, culturale e civile.

Guardiamo con attenzione a tutta l’Europa che sta al di là dei nostri confini orientali e vogliamo costruire con questi Paesi un rapporto solido e forte di relazioni economiche, culturali e sociali.

Sappiamo di essere al centro del Mediterraneo e quindi, di essere in un certo senso, al punto di incontro e di scontro delle grandi realtà religiose, politiche, culturali di questa parte del mondo.

Nella fedeltà alle nostre alleanze e nello strettissimo rapporto con gli altri Paesi dell’Unione noi intendiamo essere in questa zona un fattore di stabilità, di tolleranza, di pacificazione.

Di fronte ai nuovi grandi fenomeni migratori, che trovano in noi la porta di ingresso all’Europa, intendiamo operare con senso di umanità ma anche nel pieno rispetto dei vincoli e degli obblighi che ci derivano dall’essere nell’Unione Europea. Per contro chiediamo che l’Unione Europea nel suo complesso affronti in modo determinato e coordinato questi nuovi grandi problemi che ci riguardano tutti.

Essere Europa significa anche avere un senso comune di appartenenza e quindi la forte consapevolezza dei doveri di lealtà che ci legano gli uni agli altri.

Essere Europa deve significare anche, però, che i problemi di un Paese sono anche i problemi di tutti gli altri.

Essere Europa, infine, deve significare anche la comune consapevolezza che il mondo non finisce e non può finire alle nostre frontiere e che dunque abbiamo tutti bisogno di costruire insieme una politica comune. L’Europa non si può limitare ai processi di integrazione economica interna: deve guardare anche ai grandi problemi della geopolitica del nostro tempo.

Noi che abbiano costruito l’Ulivo sappiamo bene che il primo dovere degli uomini è la solidarietà con gli altri uomini. Sappiamo bene che non c’è giustizia senza equità e non c’è futuro senza giustizia.

L’Europa ha queste stesse radici.

La storia europea è la storia di una cultura donata da valori comuni. E anche quando questa stessa storia ha generato mostri, sempre gli europei hanno saputo trovare nelle proprie radici gli anticorpi necessari a riprendere la via della civiltà.

Noi crediamo che essere Europa significhi anche difendere questi valori e questa tradizione di umanità e di tolleranza. Essere Europei deve significare e significa essere civili. E non si è civili se non si è capaci di dialogare anche con chi è diverso da noi e ci pone problemi nuovi e difficili.


 

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