da mariok il 25/02/2016, 10:31
Non mi risulta che Ichino abbia votato contro la legge in parlamento o che si sia astenuto o che abbia espresso riserve. Credo quindi che abbia la paternità della riforma al pari di tutti i parlamentari che l'hanno approvata.
Al di là dei dettagli, c'è un presupposto fondamentale per ogni sistema (non solo danese) basato sul binomio flessibilità - rete di protezione (secondo uno slogan utilizzato anche troppo: difesa del lavoratore non del posto di lavoro improduttivo): ed è quello di efficaci politiche attive del lavoro.
Era facilmente prevedibile che con i nostri cosiddetti centri per l'impiego e le pratiche tutt'altro che trasparenti di recruiting (non tanto nel settore privato, ma soprattutto in quello pubblico e nel suo indotto) gli esiti della riforma sarebbero stati quelli di una mera distribuzione della torta (scarsa) dei sussidi.
Questo Ichino, come altri "esperti" del lavoro, dovrebbe saperlo ma ha finto di ignorarlo o comunque lo ha volutamente sottovalutato.
Credo che, al di là della mala fede dei cosiddetti riformatori nostrani, c'è un vizio culturale di fondo: quello di ritenere che tutto possa risolversi con una legge e con qualche diversa regola di distribuzione di prestazioni monetarie dello stato, ignorando completamente gli aspetti organizzativi e strutturali del mercato (in questo caso quello del lavoro), la quantità e la qualità degli investimenti necessari per una effettiva ed efficace riforma (in questo caso in formazione, istituzione di agenzie capaci ed efficienti, coinvolgimento delle imprese in un processo di trasformazione, ecc.) ed i comportamenti più o meno virtuosi delle amministrazioni pubbliche.
La stessa definizione di tali "esperti" alla Ichino ("giuslavorista") la dice lunga su tale vizio culturale.
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville