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l'Europa e la crisi della Cina

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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda franz il 29/08/2015, 14:08

pianogrande ha scritto:Una volta accettato il concetto dello stato regolatore credo che quello sia il problema principale.
Il fatto di averlo evidenziato rafforza il concetto che l'interesse privato non può coincidere con l'interesse pubblico e quindi la necessità di qualcuno che regoli il traffico stando al disopra delle parti.

Non possono coincidere perfettamente due concetti (interesse) riferiti a livelli diversi.
L'interesse privato infatti è dei singoli. Come risultante della volontà di decine di milioni di singoli, anzi di tutti (risultante = concetto della fisica di somma vettoriale di forze che agiscono in direzione diverse) potrebbe essere anche zero o qualsiasi altro valore, non certo la somma. Si veda risultante = forza netta qui: https://en.wikipedia.org/wiki/Net_force
L'interesse pubblico è di per se' invece una cosa che non puo' essere zero, altrimenti non attirerebbe milioni di elettori. Deve essere anzi bel "colorato" e delineato. Ed è la risultante di una maggioranza, non di tutti. Per esempio in Francia una maggioranza di contribuenti, che è anche elettore, non paga le tasse in quanto esente (per via di come è impostato il quoziente familiare) ma le fa pagare alla minoranza. In compenso riceve una grande quantità di servizi di welfare (almeno li riceve, in Italia neppure quello). Questo è molto lontano dalla risultante (forza netta) degli interessi di tutti i privati. Il tutto tenderebbe a indicare che se l'interesse pubblico è determinato a maggioranza semplice è molto lontano dall'ottimalità. Buchahan (padre della public choice, basata in gran parte sulla teoria dei giochi) sosteneva (qui: http://www.recensionifilosofiche.it/swi ... ullock.htm ) che la maggioranza dovesse essere piu' qualificata (es: 75%) e che in campo economico dovesse coincidere con l'unanimità. Questo per evitare che una maggioranza semplice possa decidere di espropriare una minoranza.
Piu' una maggioranza è qualificata, piu' coincide con l'interesse di tutti (la risultante degli interessi privati).
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda pianogrande il 29/08/2015, 15:36

Interessante la discussione anche se rischia di diventare un po' troppo sofistica.

Il fatto che i due interessi non coincidano è proprio la conferma che il problema esiste.

Quanto alle sommatorie o alle somme vettoriali, le considererei non applicabili per fare un ragionamento che è molto più complesso e articolato.

La matematica ammette diversi infiniti e la politica non può che ammettere anche diversi zeri per cui la sommatoria degli interessi privati anche fosse zero questo sarebbe uno zero senza nessun significato concreto perché l'azione relativa ad ogni singolo interesse è stata comunque svolta e non senza conseguenze.

Insomma, uno zero dinamico.

In matematica, 1.000.000 diviso 1.000.000 dà 1 così come un miliardo diviso un miliardo ma in politica quegli "1" sono diversissimi tra loro.

Quindi, ci serve un concetto o una serie di concetti che valgano quanto possibile anche nei dettagli e quello è, secondo me, un problema basilare in politica.

Diciamo una governance che arrivi ai casi particolari senza emettere milioni di leggi e regolamenti.

Per il momento mi fermo qui.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda mariok il 29/08/2015, 18:02

Interessante discussione, ma sinceramente io preferisco un approccio più pragmatico (o, se volete, più terra-terra).

La specie umana è molto complessa, diversificata ed imprevedibile. Volerne catalogare i comportamenti, i rapporti ed i possibili modi di organizzarsi in società, secondo schemi precostituiti (che finiscono inevitabilmente nel concretizzarsi in ideologie) è pretesa alquanto velleitaria ed il più delle volte fallimentare.

E' senz'altro vero che il motore dello sviluppo (presupposto del progresso, ma non necessariamente coincidente con esso) è stato, è e sarà ancora per lungo tempo il mercato. Così come è vero che le nazioni (intese come gruppi di individui coscienti di una propria peculiarità e autonomia culturale e storica) hanno la necessità di organizzarsi in stati sia per regolare i loro rapporti interni, sia per difendere la propria peculiarità ed autonomia dall'esterno.
Il più recente fenomeno della globalizzazione ha poi posto l'esigenza di un'ulteriore dimensione della regolazione dei rapporti: quella relativa a forme di "governo" sovranazionale di alcuni processi e fenomeni, per i quali la dimensione nazionale risulta chiaramente insufficiente (le migrazioni bibliche di questi giorni ne sono un esempio eclatante).

Si tratta di forme organizzative sempre imperfette (come tutto ciò che è connesso alla natura umana) ed in equilibrio instabile rispetto ai rischi di degenerazione. Così un eccesso di mercato può dar luogo a forme di concentrazione e di posizioni dominanti (soprattutto in carenza di capacità regolatrici dello stato), così come la necessità di regolare i rapporti tra gli individui può dar luogo a forme di statalismo o addirittura di autoritarismo che ne limitano oltre misura la libertà, ed ancora, la legittima esigenza di difendere le peculiarità della propria comunità (la cosiddetta identità nazionale) può dar luogo a forme di esasperato nazionalismo se non di vero e proprio imperialismo.

E' proprio la natura instabile delle suddette forme di organizzazione dei rapporti tra gli uomini che richiede un approccio contestualizzato, cioè il più possibile aderente al tempo, al luogo ed alle circostanze in cui l'una o l'altra delle possibili degenerazioni si presentano.

Per esempio, i rischi di un'eccessiva invadenza dello stato e la conseguente necessità di un suo ridimensionamento, hanno una rilevanza particolare in Italia, che ha il grave problema di una burocrazia corrotta e soffocante. Anche uno come me, che non può definirsi un liberista convinto, diventa in questo contesto sostenitore di una decisa e potente rivoluzione liberale. Probabilmente diversi sarebbero gli approcci in altri contesti, come per esempio in Usa, in Germania o in altri paesi.

Allo stesso modo, la presenza o meno di conflitti, di squilibri economici e sociali, di eventi naturali catastrofici, può portare a dover privilegiare l'intervento dello stato o la capacità spontanea del mercato.

Il rischi connessi alle ideologie ed alla loro pretesa di piegare la realtà a principi assoluti ed immutabili li abbiamo visti nel secolo scorso e non sono solo quelli del marxismo o del nazionalsocialismo.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda pianogrande il 29/08/2015, 18:44

Per quanto mi riguarda non mi sottoporrei mai a principi assoluti.

Al massimo si può parlare di principi di base (su cui o da cui muoversi).
Ma poi bisogna muoversi, passare all'azione, e l'azione comporta revisioni etc.

Ma stiamo andando sui massimi sistemi.
Il discorso era se la politica (sia nazionale che internazionale) debba governare anche l'economia e per me la conclusione è che sì lo deve fare e quello che si può mettere in discussione è il come.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda franz il 30/08/2015, 7:54

pianogrande ha scritto:Ma stiamo andando sui massimi sistemi.
Il discorso era se la politica (sia nazionale che internazionale) debba governare anche l'economia e per me la conclusione è che sì lo deve fare e quello che si può mettere in discussione è il come.

Il discorso è ancora piu' complesso perché di fatto l'economia "governa" anche la politica ma forse si sbaglia verbo.
Governare implica uno che comanda sull'altro. Detta le direzioni, dà ordini. Il tipo di rapporti che secondo me ci dovrebbero essere a livello di sistema (il livello superiore a quello degli individui) e di cooperazione (implicitamente reciproca) che parte dalla presa d'atto di cosa ognuno puo' fare per l'altro. Il sistema politico fornisce il supporto di regolazione, la difesa e le strutture strategiche (le reti dei monopoli naturali), quello economico fornisce le risorse (senza le quali la politica non vive). Una pessima regolazione si riflette in un ritorno scarso di risorse. Un po' come quando regoli male un motore ed esso non fornisce piu' la massima potenza, anzi tende ad ingolfarsi e spegnersi. Poi ad essere completi il modello (a proposito di massimi sistemi) è piu' complesso e comprende il sistema culturale, senza le quali politica ed economia non hanno le basi per esistere. Quindi economia, politica, cultura, tutti relazionati. Nessuno "comanda", nessuno "governa". Lo so che questo puo' essere ostico per chi per decenni (e ancora oggi) crede nel "predominio della politica" (magari anteponendolo al predominio dell'economia) ma ci sono anche altre visioni, piu' equilibrate, in cui non è necessario che qualcuno domini sull'altro. Allego un'immagine che ho trovato tanti anni fa su un libro.

Purtroppo l'attuale assetto della democrazia prevede una maggioranza ed una minoranza, cosa che ha grandi vantaggi ma anche un rovescio della medaglia, il lato oscuro. Se i cittadini di un ipotetico stato fossero 3 (A, B, C) le maggioranze ipotetiche sono 4: ABC (unanimità) e AB, AC, BC. La cosa che emerge è che vi è una convenienza (economica) a far sì che la maggioranza sia il minimo necessario per essere tale, in modo da "sfruttare" un'ampia minoranza. Per esempio se due fossero inquilini (A e B) e C fosse il loro proprietario, l'esito più probabile è che A e B governino attirati da un programma che prevede che i proprietari si debbano sobbarcare tutte le spese di manutenzione, che abbiano una tassa sulla proprietà immobiliare (chiamiamola ICI per comodità, ma anche IMU va bene) che non sia possibile che il proprietario scarichi questa tassa sugli affitti, e che i proventi di questa tassa vadano a finanziare deduzioni fiscali per gli inquilini. Il tutto per il "bene del paese". Se poi anche A diventasse proprietario, potrebbe a questo punto vincere l'alleanza AC, che chiede l'abolizione dell'ICI. Il mondo è piu' complesso, chiaro, ma la modellazione ci fa capire quali sono le dinamiche di base. Ci puo' essere una maggioranza, tra 40 milioni di lettori, che chiede sussidi, che chiede interventi dello stato sull'economia, il ritorno alla lira, soldi buttati dagli elicotteri, il ritorno dei dazi doganali. Per il bene del paese.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda trilogy il 30/08/2015, 8:31

franz ha scritto:
Il problema, secondo Chydenius, è che le leggi distorcono la naturale tendenza degli individui a creare ricchezza mediante specializzazione e scambio. Per quattro ragioni:

....2) Nessuno statista e nessun regolatore possiede sufficiente conoscenza per organizzare l'attività economica in modo da massimizzare la 'ricchezza della nazione'. Questo è un punto fondamentale che anticipa le osservazioni di Hayek e la genesi di mechanism design.......


Delle 4 ragioni, questa probabilmente è la più generale e importante.
Infatti è sempre molto diffusa la convinzione che aggregando informazioni presso un soggetto: governo, banca centrale, ministero ecc. questo consenta di prendere "la decisione giusta". In realtà, la storia ha smentito di continuo questa convinzione. Il fallimento delle economie socialiste e della pianificazione centralizzata è dovuto a questa convinzione errata. Oggi poi con la crescita della capacità di raccolta, accesso, ed elaborazione dei dati questa convinzione si rafforza.
Il paradosso è che in parallelo all'aumento delle informazioni disponibili diminuisce la capacità di fare previsioni attendibili nel tempo e di conseguenza di prendere decisioni corrette. :mrgreen:
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda franz il 30/08/2015, 9:29

trilogy ha scritto:[...] è sempre molto diffusa la convinzione che aggregando informazioni presso un soggetto: governo, banca centrale, ministero ecc. questo consenta di prendere "la decisione giusta". In realtà, la storia ha smentito di continuo questa convinzione. Il fallimento delle economie socialiste e della pianificazione centralizzata è dovuto a questa convinzione errata. Oggi poi con la crescita della capacità di raccolta, accesso, ed elaborazione dei dati questa convinzione si rafforza.
Il paradosso è che in parallelo all'aumento delle informazioni disponibili diminuisce la capacità di fare previsioni attendibili nel tempo e di conseguenza di prendere decisioni corrette. :mrgreen:

Corretta osservazione, che introduce un altro concetto. I privati investono facendo scommesse su come andrà un certo business. Investono del proprio e anche (se ne hanno bisogno) il capitale di chi riescono a convincere, tra banche ed investitori, della riuscita dell'impresa. Non tutte le ciambelle riescono col buco e qualche azienda finisce male. Vuoi per imperizia (non sono tutti bravi uguali a fare impresa) vuoi perché nascono nuovi competitors e/o nuove tecnologie che spiazzano la redditività di un certo business. A volte poi ci sono anche crisi internazionali che si riflettono sui consumi. Pensavi di guadagnare 100 ma ne guadagni solo 50. Si chiama rischio d'impresa e nessuna assicurazione se ne prende il carico. Ovvero un certo tipo di "assicurazione" riesci ad averla se sei amico di qual che politico in una nazione in cui la politica ha un grande peso. Fatto sta che a parte questo, le previsioni dell'imprenditore possono essere errate ma che ci sono milioni di imprenditori e non a tutti contemporaneamente va male. Se gli imprenditori sono capaci, i casi di insuccesso saranno nettamente inferiori rispetto a quelli di successo. In caso di crisi internazionale le cose cambiano ma molto dipende dal tipo di crisi e da quanto dura la crisi. Se dura 6 mesi / un anno, quasi tutte le imprese "sane" hanno risorse e riserve per superare il momento di difficoltà. Quelle non sane cadranno ma saranno poche. Se la crisi dura, tra fasi alterne, 8 anni, le cose si mettono male. Molto male. Ora se le crisi sono inevitabili (anzi per certi versi auspicabili) l'interesse generale credo che sia quello di avere crisi anche intense ma brevi, piuttosto che una lunga serie diluita di momenti altalenanti, con attimi di speranza di ripartenza e brusche ricadute.

L'investimento pubblico non è diverso ma ha la caratteristica di essere unico e monolitico. Una grande quantità di soldi e risorse (siamo abituati a dire "pubbliche" ma ricordiamoci che lo sono solo grazie alle tasse e che quindi prima di essere pubbliche erano di soggetti privati) viene investito e come anche trilogy ha fatto notare con la pianificazione centralizzata (che si basa sull'illusione di poter prevedere e pianificare il futuro) il rischio di fallimento è elevato. Molto piu' alto del fallimento privato. Per prima cosa il mondo della politica non ha le capacità d'impresa necessarie fare impresa, in secondo luogo non sta rischiando con i "suoi soldi" ma con quello di altri. Inoltre mentre i privati fanno centinaia di migliaia di piccoli investimenti nel breve e medio (un tornio, un computer, un automezzo, uno stabilimento) il settore pubblico tende a fare grossi investimenti nel lungo periodo, quello che piu' facilmente puo' essere sconvolto dall'innovazione tecnologica. Ricordiamo che oggi il ritmo dell'innovazione è tale che non è assolutamente prevedibile fra un anno quale evento rivoluzionerà l'economia. Interventi grossi e pianificati richiedono un lungo studio e si rischia che quando si parte la realtà è già mutata.

Quello che si osserva è che mentre 40 anni fa poteva sembrare verosimile fare piani a 5 anni, oggi è già azzardato avventurarsi oltre i 6 mesi. Altro rischio è che il settore pubblico faccia grossi investimenti guidati da motivi ideologici. Oggi per esempio è il caso degli investimenti nelle energie alternative. Non possiamo sapere oggi se questi investimenti avranno un ritorno. Per quanto ne so forse tra 4 anni potremmo avere la fusione ed è chiaro che impianti progettati oggi per rendere per 20 o 30 anni, potrebbero diventare rapidamente obsoleti. Se lo fa un privato è un suo rischio ma se lo fa il settore pubblico è un rischio condiviso che viene scaricato su tutti i tax-payers. Tra l'altro il privato, vedendo questo schieramento di forze, difficilmente rischia il suo per fare progetti in direzione diversa. Tende invece ad accodarsi al mainstream governativo (e tutti si buttano sulle pale eoliche o sul solare per prendere abbondanti aiuti governativi). Siamo quindi di fronte all'ennesimo rischio di bolla speculativa.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda pianogrande il 30/08/2015, 11:04

Lo stato imprenditore non va bene.
Se il problema è questo, siamo perfettamente d'accordo.

Chi comanda?
Dipende.
Se si tratta di rispettare le leggi e le regole, non ci possono essere dubbi.
Comanda lo stato.
Se si tratta dell'agire in campo economico (nell'ambito delle leggi e delle regole), comanda l'economia.
Se lo stato soffoca l'economia con le sue leggi e le sue regole questo non contraddice il principio perché siamo entrati nel "come" e lì possiamo discutere molto di più.

Lo stato fornisce comunque servizi ai cittadini e lì siamo in una zona di confine.
Lo fa direttamente o paga un privato?
Ritengo anche io che sia più razionale (almeno nella maggior parte dei casi e senza fare una lista) demandare ai privati ma bisogna accettare che sia una strada lunga e complicata e dove stabilire delle priorità sarebbe già oggetto di discussioni infinite e anche lì entriamo nel "come".

Certo che è uno scambio.
E' per questo che è lecito usare il termine "sistema".
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda mariok il 30/08/2015, 11:50

L'investimento pubblico non è diverso ma ha la caratteristica di essere unico e monolitico. Una grande quantità di soldi e risorse (siamo abituati a dire "pubbliche" ma ricordiamoci che lo sono solo grazie alle tasse e che quindi prima di essere pubbliche erano di soggetti privati) viene investito e come anche trilogy ha fatto notare con la pianificazione centralizzata (che si basa sull'illusione di poter prevedere e pianificare il futuro) il rischio di fallimento è elevato. Molto piu' alto del fallimento privato.


In astratto è corretto, ma ciò che vuol dire sul piano concreto?

Facciamo un esempio. La TAV Torino-Lione va fatta o no? Hanno forse ragione i no-TAV nell'affermare che è uno spreco di denaro pubblico (cioè di tutti) e che gli effetti negativi saranno di gran lunga superiori ai benefici?

Chi lo stabilisce? O forse, nel dubbio, è meglio dire sempre no, come fanno d'abitudine certi ecologisti?

Però anche la "liberalissima" Svizzera ha fatto il tunnel del San Gottardo (oggi, se non sbaglio, è in discussione l'opportunità di un suo ampliamento). Diversamente dal caso italiano, lì a deciderlo fu un referendum, cioè una maggioranza (non so quanto ampia) che non aveva certo le competenze e la capacità di valutare la convenienza di quell'investimento.

Anche in Svizzera, a quanto mi risulta, ci sono diverse forme (crediti fiscali, fidejussioni ecc.) di incentivazione alle nuove iniziative imprenditoriali, soprattutto in alcune aree del paese. Chi decide sulla validità dell'investimento e chi rischia i soldi in caso di flop dell'iniziativa? Sono certo che le modalità ed i criteri di tali interventi sono infinitamente migliori delle pratiche clientelari che hanno guidato per decenni le cosiddette politiche meridionaliste in Italia. Ma il problema del chi decide e con quali competenze, in linea teorica, resta.

Convinciamoci: non esiste uno stato perfetto, così come non esiste un mercato perfetto. Ma abbiamo bisogno di entrambi e più che di teorie su un mondo che non esiste, quello che meglio può garantirci, anche se sempre in misura parziale, è la partecipazione ed il controllo democratico (nelle loro varie forme di articolazione) ed il buon senso.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda annalu il 30/08/2015, 13:22

mariok ha scritto:[...]In astratto è corretto, ma ciò che vuol dire sul piano concreto?

Facciamo un esempio. La TAV Torino-Lione va fatta o no? Hanno forse ragione i no-TAV nell'affermare che è uno spreco di denaro pubblico (cioè di tutti) e che gli effetti negativi saranno di gran lunga superiori ai benefici?
[...]
Convinciamoci: non esiste uno stato perfetto, così come non esiste un mercato perfetto. Ma abbiamo bisogno di entrambi

Ecco, non riesco a capire perché da un discorso concreto si debba scivolare sui massimi sistemi. Gli economisti, sia di destra che di sinistra, sono in genere persone abbastanza preparate, ed è quindi improbabile che sia gli uni che gli altri dicano solo sciocchezze; inoltre sono in grado di esprimere le loro tesi in modo piuttosto convincente. La vita reale però è sempre un poco più complicata di qualsiasi teoria, altrimenti ci affideremmo tutti a dei bravi professori ed avremmo risolto ogni problema.

In concreto, non posso che essere d'accordo sia con ciò che dice Mariok, sia con Piano quando dice:
pianogrande ha scritto:Lo stato imprenditore non va bene.
Se il problema è questo, siamo perfettamente d'accordo.

Chi comanda?
Dipende.
[...]
Lo stato fornisce comunque servizi ai cittadini e lì siamo in una zona di confine.
Lo fa direttamente o paga un privato? [...] stabilire delle priorità sarebbe già oggetto di discussioni infinite e anche lì entriamo nel "come". [...]

Insomma, lo stato è indispensabile per stabilire regole anche per il mercato, e lo è anche quando si tratta di decidere quali siano i servizi indispensabili da fornire alla popolazione, quindi nel decidere come fornirli, se direttamente o mediante affidamento a privati mediante gare di appalto ben chiare e con durata definita e limitata nel tempo, soprattutto per non creare condizioni di monopolio.

Quanto all'economia pianificata, ovvio che non ha senso, ed è stato verificato in concreto soprattutto nell'ex URSS. Non ho senso soprattutto perché la storia umana è imprevedibile e l'innovazione non è propgrammabile, per cui le regole del mercato - a parte le norme basilari ad es. sulla concorrenza - devono poter essere sempre adattabili alla realtà del paese.

Poi i differenti orientamenti politici dipendono fondamentalmente da quali istanze e prinipi di riferimento vengono considerati prioritari. Per me è di sinistra, di una sinistra nella quale mi riconosco, il privilegiare la riduzione delle diseguaglianze sociali e l'istruzione pubblica, per esempio. Però non ritengo sia di destra per esempio il privilegiare e premiare l'impegno ed il merito, ed anche in questo mi riconosco.
In un paese democratico ci sono periodicamente libere elezioni, il cui compito è proprio la scelta di governanti che abbiano programmi il più possibile corrispondenti alle necessità ritenute più urgenti da parte della popolazione.
Anche i sistemi democratici ovviamente non sono perfetti, ma sta anche a noi vigilare perché non degerino.

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