La Comunità per L'Ulivo, per tutto L'Ulivo dal 1995
FAIL (the browser should render some flash content, not this).

l'Europa e la crisi della Cina

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda franz il 27/08/2015, 17:45

leggo da wiki (poi magari se trilogy ne sa di piu', compendia)
===
Gli accordi di Bretton Woods sono un compromesso tra i due piani, in cui ha avuto più peso il piano White. Tali accordi prevedevano:

la creazione del Fondo monetario internazionale, a cui fu affiancata la creazione della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Il FMI aveva il compito di vigilare sulla stabilità monetaria con l'obiettivo di ricostituire un commercio internazionale aperto e multilaterale. Al suo interno ogni stato aveva un peso proporzionale alla quota del capitale del fondo sottoscritta.

i diritti di prelievo permettevano di accedere a prestiti dal FMI, concessi agli stati in situazioni di disavanzo.

che tutte le valute dovessero essere convertibili in dollari. Era un sistema dollaro-centrico, per cui i commerci internazionali avvenivano soprattutto in dollari; per esempio, i prezzi delle materie prime, come il petrolio, erano espresse in dollari.

che le banche centrali dovessero mantenere un cambio stabile con il dollaro; in particolare, se il cambio saliva o scendeva di un punto percentuale rispetto agli accordi, le altre banche (non quella americana) dovevano riallinearlo con operazioni di mercato aperto.

la svalutazione era ammessa solo in caso di approvazione del FMI e sotto la sua vigilanza, ma poteva essere votata solo in caso di problemi strutturali.

negli accordi era presente la clausola di scarsità: se una valuta era scarsa, gli altri paesi potevano limitare unilateralmente le importazioni da quel paese per far ripartire le proprie.

In pratica il sistema progettato a Bretton Woods era un gold exchange standard, basato su rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro, il quale a sua volta era agganciato all'oro. Gli accordi di Bretton Woods favorirono un sistema liberista, il quale richiede, innanzitutto, un mercato con il minimo delle barriere. A differenza del sistema che lo precedette (Gold Standard), la mobilità dei capitali fu limitata, poiché si era consci dell'enorme peso che essa ebbe nel determinare la crisi del '29. Quindi, anche se vi furono delle divergenze sulla sua implementazione, fu chiaramente un accordo per un sistema aperto.

Tutti gli accordi derivati direttamente o indirettamente da Bretton Woods non prevedevano un corretto controllo della quantità di dollari emessi, permettendo così agli USA l'emissione incontrollata di moneta, fatto contestato più volte da Francia e Germania in quanto gli USA esportavano la loro inflazione, impoverendo così il resto del mondo.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda Robyn il 27/08/2015, 17:49

Anche qui credo che l'intervento in Vietnam sia dovuto esserci attraverso una forza multinazionale di pace in cui partecipano attivamente i paesi atlantici con la nato e quindi gli Usa non avrebbero stampato banconote e l'investimento spaziale credo che abbia inciso poco,ma l'esperienza suggerisce che non si possono collegare i cambi con il loro margine di fluttuazione alla sterlina e al dollaro perche le vicende di questi paesi possono evere delle conseguenze internazionali.Il fatto che spesso gli Usa siano intervenuti unilateralmente dipende dal fatto che l'Onu attualmente non funziona perche autorizza interventi solo all'unanimità e basta il veto di un paese per rendere inefficace l'azione dell'Onu,quindi le forze multinazionali di pace dovrebbe essere autorizzate a maggioranza dei 2/3 dei membri permanenti e temporanei
Locke la democrazia è fatta di molte persone
Avatar utente
Robyn
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 11428
Iscritto il: 13/10/2008, 9:52

Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda franz il 28/08/2015, 8:13

mariok ha scritto:La solita storia: lo stato non deve fare nulla se non dare sussidi di disoccupazione, ovviamente nei limiti delle risorse disponibili; e poiché normalmente le crisi comportano una diminuzione delle risorse disponibili, si finisce col non fare nemmeno questo (o almeno non nella misura necessaria).

Non credo che sia così. Lo stato per esempio, in periodi di recessione, può mettere in campo progetti in infrastrutture che hanno un duplice effetto: quello di rimettere in moto l'economia dando lavoro alle imprese, rendere più efficienti alcuni servizi essenziali (come trasporti e comunicazioni) contribuendo indirettamente a rendere più competitive le imprese.

Anche io dico: "la solita storia". Francamente lo stato puo' fare quelle cose solo perché sottrae soldi all'economia privata (con la tassazione e/o con l'inflazione) ma dovremmo chiederci perchè mai lo stato, guidato dalla politica e dai politici, dovrebbe impiegare meglio quei soldi (una marea di soldi) rispetto all'impiego che i privati potrebbero fare singolarmente.
L'esperienza italiana dice che non è cosi'. Sprechi, cattedrali nel deserto, investimenti faraonici e sbagliati, spreco di risorse pubbliche, che in realtà prima di essere tali erano risorse private. Ma se l'Italia potremmo definirla un'eccezione, ed in effetti è un disastro a sè, nel mondo normalmente a parte i paesi socialisti vi è una tassazione inferiore, una minore sottrazione di risorse private e le cose vanno meglio, nel senso che lo stato deve intervenire meno. In realtà molti ritengono (ed io concordo) che il mondo della politica nel sud-europa gradisca queste operazioni di rapina perché piu' soldi al comparto pubblico equivalgono a piu' poteri della politica. La cosa divertente, si fa per dire, è che la scusa per fare questi interventi statali è quella di sopperire alle carenze delle aziende private ma in realtà esse subiscono un prelievo (tax rate) del 65.4% (http://data.worldbank.org/indicator/IC. ... &sort=desc ) ed è per questo che sono limitate ad investire. Qui si confonde la causa con l'effetto e si propone come cura la causa stessa del male.
mariok ha scritto:Normalmente le crisi finanziarie (che non sono solo le conseguenze di eccessi di liquidità, ma anche dai rischi connessi all'eccessiva speculazione che finiscono con lo scaricarsi sul credito alle imprese e quindi sull'economia reale) si accompagnano a crisi di fiducia.

Un attimo: l'eccessiva speculazione (o il crearsi di bolle speculative) è proprio connesso all'iniezione di liquidità. I soldi, stampati freschi o generati da bassi tassi di interesse, vengono intercettati prima dai grossi investitori, vicini alle banche, non certo dalla popolazione. La soluzione sarebbe, al limite, quella di distribuire soldi gettandoli dagli elicotteri (una famosa provocazione di Milton Friedman) ma cosi' non è. Finiscono prima agli investitori istituzionali o ai grandi investitori privati i quali li usano in modo speculativo per rifarsi velocemente delle perdita subite dalla crisi in atto. Questo genera nuove bolle (una delle quali è quella del debito pubblico) ma non attenua minimamente le eventuali carenze di liquidità della popolazione. Esse piuttosto si creano perché in caso di crisi i prezzi sono meno elastici dei redditi (mai visto diminuire l'affitto?) e spesso la pression fiscale sale perché lo stato deve finanziare misure anticicliche :o
La soluzione logica sarebbe quella che i prezzi devono diminuire ma solo l'idea della deflazione spaventa chi ha grossi debiti (quindi gli stati indebitati) per il motivo ovviamente opposto a quello che fa preferire l'inflazione a chi ha debiti. Non è tanto un problema di tassi di interesse (quelli si adegano) ma di rapporto debito/pil ed anche spesa/pil e tassazione/pil.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda mariok il 28/08/2015, 9:11

Dell'equazione "meno tasse = maggiore benessere" abbiamo già abbondantemente discusso e per convincersi che si tratta di una forzatura basta guardare un qualunque ranking dei paesi per pressione fiscale.

Ma evidentemente non siamo d'accordo e ridiscuterne sarebbe un'inutile ripetizione.
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville
mariok
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 2943
Iscritto il: 10/06/2008, 16:19

Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda pianogrande il 28/08/2015, 14:26

"Anche io dico: "la solita storia". Francamente lo stato puo' fare quelle cose solo perché sottrae soldi all'economia privata (con la tassazione e/o con l'inflazione) ma dovremmo chiederci perchè mai lo stato, guidato dalla politica e dai politici, dovrebbe impiegare meglio quei soldi (una marea di soldi) rispetto all'impiego che i privati potrebbero fare singolarmente".
Franz

Perché diversi sono gli scopi.
Lo stato opera (o dovrebbe operare) per l'interesse della collettività mentre i privati operano per il loro interesse privato.
Poi, se lo stato fa invece interesse privato (dei politici) ecco perfino la dimostrazione che i privati i problemi della collettività non li risolveranno mai.

L'unica speranza è che lo stato faccia lo stato e non usi la politica come copertura di interessi privati.

Prendo atto che dobbiamo ancora dirci queste cose.
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 10611
Iscritto il: 23/05/2008, 23:52

Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda annalu il 28/08/2015, 19:03

pianogrande ha scritto:[...] diversi sono gli scopi.
Lo stato opera (o dovrebbe operare) per l'interesse della collettività mentre i privati operano per il loro interesse privato.
Poi, se lo stato fa invece interesse privato (dei politici) ecco perfino la dimostrazione che i privati i problemi della collettività non li risolveranno mai.[...]

Condivido.
In questa polemica non riesco a capire cosa dovrebbe fare lo stato se dovesse interessarsi del tutto dei problemi economici di un paese. Se "il mercato" potesse autoregolarsi in modo perfetto senza alcun intervento esterno, penso che gli stati non esisterebbero proprio, perché nessuno ne avrebbe sentito la necessità.
Invece gli stati esistono, e penso abbiano una funzione primaria di controllo e di mediazione, perché la lotta tra le diverse componenti di un paese non superi un certo livello di sopraffazione reciproca.
Poi è ovvio, si può discutere all'infinito in quale misura e fino a che punto lo stato debba e possa intervenire su una determinata questione, ma non penso proprio che si possa prescindere dall'opera mediatrice degli stati nazionali e delle strutture sovranazionali, se non si vuole tornare alla coondizione di Homo homins lupus e ad uno stato di guerra permanente.

Annalu
annalu
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 1387
Iscritto il: 17/05/2008, 11:01

Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda franz il 29/08/2015, 8:42

mariok ha scritto:Dell'equazione "meno tasse = maggiore benessere" abbiamo già abbondantemente discusso e per convincersi che si tratta di una forzatura basta guardare un qualunque ranking dei paesi per pressione fiscale.

Ma evidentemente non siamo d'accordo e ridiscuterne sarebbe un'inutile ripetizione.

Parto da qui per rispondere anche ad annalu, quando scrive:
annalu ha scritto:Se "il mercato" potesse autoregolarsi in modo perfetto senza alcun intervento esterno, penso che gli stati non esisterebbero proprio, perché nessuno ne avrebbe sentito la necessità.
Invece gli stati esistono, e penso abbiano una funzione primaria di controllo e di mediazione, perché la lotta tra le diverse componenti di un paese non superi un certo livello di sopraffazione reciproca.

Prima una questione di principio, caro mariok. Discutere serve sempre. Magari non convincero' te ma se vedo le discussioni fatte con pianogrande ed in parte anche con altri, osservo che spesso e volentieri le posizioni si ammorbidiscono le idee e le opinioni si modificano e convergono. Non su tutto, naturalmente. Sarebbe anche sbagliato. Ma se riusciamo ad avere un concetto comune sul ruolo dello stato (minimo o massimo o via di mezzo che sia) credo che sia tutto di guadagnato.

Dalle varie discussioni proprio con pianogrande emerge una visione abbastanza delineata di uno Stato la cui funzione è principalmente regolatoria. Poche leggi, ben scritte e leggibili, democratiche (perché votate da rappresentanti eletti) e naturalmente un apparato di controllo che verifichi il rispetto delle leggi e sanzioni gli inadempienti. Quindi polizia, giudici, carceri.

Naturalmente uno Stato non puo' limitarsi a questo. Una funzione primaria da millenni è la difesa dai pericoli esterni. Quindi un esercito. Roba pero' che oggi come oggi costa qualcosa che a dipendenza delle nazioni oscilla tra il 2 ed il 4% del PIL, con alcune eccezioni verso il basso e verso l'alto.

Poi c'è il grosso capitolo del welfare e della sua gestione. Ma qui se mi permettete esistono nel mondo diversi approcci.
Iniziamo dalla previdenza, che è un capitolo importante, per mole di spesa.
Per esempio in molti stati, anche europei, oggi il grosso della previdenza si basa su fondi pensione a capitalizzazione (privati) regolati da legge statale e quindi fuori dal bilancio pubblico, le cui capitalizzazioni superano il PIL della nazione di riferimento. Da noi invece a superare il PIL sono i debiti, fatti anche per una fallimentare gestione negli ultimi decenni della previdenza a compartizione che spendeva piu' di quanto incassava (anche oggi, per alcune sezioni, ma non piu' come una volta).

Proseguendo con la sanità, altro grosso comparto di spesa, la stragrande maggioranza dei paesi occidentali si basa su sistemi misti, pubblico-privato, finanziati in modo comune e misto (assicurazioni piu' o meno obbligatorie e tasse). In questo caso lo Stato si limita alle operazioni di investimento delle strutture ospedaliere pubbliche mentre la gestione (il rimborso delle cure) è affidato alle assicurazioni, in concorrenza tra loro e sulla base di leggi emanate dallo stato.

Se veniamo all'educazione, anche qui sta andando verso modelli di cooperazione pubblico privato, con finanziamento misto. Ci sono casi in cui lo stato sussidia le scuole private, per esempio pagando una quota dello stipendio dei docenti (mi pare in Olanda ma potrei sbagliarmi) e non è detto che il ruolo dello stato debba essere quello di educatore in prima persona. Chiaramente la nostra costituzione mette dei paletti molto limitanti ma non per questo, in via logica, possiamo ritenere che l'educazione impartita (il verbo non è bello e non mi piace ma ora non mi viene altro) dalle scuole private debba essere per forza sbagliata, anche se ci sono dei pericoli. Essi ci sono anche nell'educazione impartita dal settore pubblico. Anche qui si dovrebbe passare da uno stato che fa ad uno stato che emana disposizioni e ne verifica il rispetto.

Un aspetto finale del welfare riguarda l'assistenza e gli aiuti a chi perde il lavoro. Nel primo caso è doverosamente spesa pubblica, a carico della fiscalità, nel secondo oggi lo strumento piu' usato nel mondo è quello assicurativo, quindi la spesa si finanzia chiedendo a lavoratori ed imprese di pagare un tot per finanziare un fondo assicurativo e quindi non pesa sulla fiscalità generale.

Poi c'è il rilevante capitolo dei monopoli naturali (costruzione e gestione): strade, ferrovie, fognature, condutture di acqua e gas, linee elettriche. Ma esso riguarda solo la rete, non chi la utilizza. Sulle strade scorrono mezzi pubblici e privati. Lo stesso vale come tendenza oggi per le ferrovie, per l'elettricità, per il gas. Una volte avremmo aggiunto anche il telefono ma non è piu' cosi'. Oggi abbiamo tante reti su cui il segnale telefonico (anzi oggi Internet, e quindi Voip) e quindi non c'è piu' alcun monopolio naturale.

E l'intervento in economia? Qui chiariamo subito una cosa, che mi pare non sia stata considerata in queste discussioni. Lo stato normalmente tende ad intervenire per aiutare (o difendere) la propria economia, la propria produzione, intesa come quella dei produttori locali. Considerato che oggi non è piu' concepibile uno stato che gestisce in proprio acciaierie, banche, industrie chimiche e ... centrali del latte, oggi lo stato tende a sostenere le proprie importazioni oppure anche ad ostacolare le importazioni quando sono in concorrenza con i produttori interni.. Ma (un MA grosso come una casa) oggi viviamo in un contesto OMC e UE in cui queste cose sono assolutamente vietate. Vietati gli aiuti di stato, vietati gli ostacoli alle importazioni di un certo tipo, eliminati i dazi con moltissimi paesi (non solo dentro la UE). Naturalmente non mancano imprenditori che chiedano aiiuti a carico della fiscalità ma questo dovrebbe essere vietato in quanto distorsivo della concorrenza interna ed esterna. La soluzione è estendere il piu' possibile la logica che impedisce dazi ed ostacoli al commercio, che favorisce la concorrenza (concetto sicuramente liberale ma prima di tutto intelligente) non certo tornare al protezionismo come chiedono certi partiti della destra conservatrice e parafascista.

Come si vede stiamo andando verso situazioni in cui lo stato è meno presente sul fronte della spesa (e quindi della tasse) e piu' presente sul fronte della regolazione. Poi si puo' discutere se meno tasse = maggior benessere (per me in campo OECD è vero) ma direi che si potrebbe anche discutere anche se per caso piu' tasse = maggior benessere. Vedendo l'Italia, che come pressione fiscale è in testa con Francia e Svezia, direi che il benessere ce lo scordiamo (a parte la casta ed i suoi piu' immediati dintorni) quindi questa equazione non è vera. Diciamo che sono strategie che ogni stato democraticamente sceglie. Vedendo quanto fatto dalla Svezia (passata dal 62% di tasse all'attuale 48% e considerato che stanno meglio ora, in termini di crescita) direi che abbiamo un altro tassello da aggiungere al mosaico. La Francia, ai vertici della pressione fiscale, non se la passa molto bene. Paesi come UK, USA, Giappone, CH e Irlanda, che hanno basse spese e basse tasse, direi che stanno meglio di noi, anche se con luci ed ombre. https://www.google.com/publicdata/explo ... &ind=false

Quanto alla "funzione primaria di controllo e di mediazione, perché la lotta tra le diverse componenti di un paese non superi un certo livello di sopraffazione reciproca" citata da annalu credo che fosse una funzione valida nel 1800 e 1900, quando imperava la logica (o illogica) della lotta di classe e si vedeva lo stato vuoi come mediatore vuoi come protagonista della lotta stessa. Oggi la globalizzazione ha sovvertito questa logica che si basava, come giustamente fatto osservare, sui possibili conflitti interni. Per prima cosa questi conflitti oggi sono fortemente assopiti, anche se non spariti del tutto, proprio per l'azione degli stati, principalmente per gli interventi di welfare. In secondo luogo emergono maggiormente conflitti tra stati o aree economiche e valutarie.

Cosa rimane? Rimane credo il grande capitolo, generatore di crisi, dell'intervento dello stato (o delle banche centrali) sui cambi, sui tassi di interesse, sui rapporti di cambio, sulla stampa di moneta. Qui è chiaro che quello che si osserva è che sono gli stati a non autoregolarsi. La critica che si fa al mercato (e qui mi avvicino al tema aperto da annalu) va in realtà fatta alle nazioni, le quali competono in modo stupido ad inflazionare le economie oppure indebitarsi oppure a scatenare guerra valutarie. Sono gli stati, non i "capitalisti" attori del "mercato".

Il fatto è che in realtà nessuno ha mai detto che il mercato si autoregola e forse nessuno lo ha mai sostenuto tra i pensatori liberali favorevoli al libero mercato. Il mercato ha bisogno di regole (codice civile, codice penale, regole sul lavoro, regole sulla sicurezza, sull'ambiente) e di un appartato che controlli e faccia rispettare queste regole. Da qui, se la regolazione è fatta bene e nessuno bara su altri fronti (aiuti di stato, guerre valutarie, distorsioni della concorrenza, monopoli) il mercato tende a produrre ricchezza e trovare equilibri stabili che in caso di crisi tendono a trovare altri (nuovi) equilibri (in questo senso si dice "autoregolanti"). Quello che manca invece è il parco di regole comuni tra gli stati, per evitare quei comportamenti che provocano le crisi in campo finanziario. E qui che torniamo a Prodi ed al suo articolo. La soluzione deve essere comune ma intesa come norme comuni, internazionali. Si parla di una conferenza internazionale. Magari invece qualcuno auspica ad una risposta comune intesa come "soldi degli altri spesi per aiutare noi" ma non è questo a cui si riferiva Prodi.

Scusate la lunghezza. C'è altro da dire ma per non appesantire questo testo già lungo, lo faro' dopo.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda franz il 29/08/2015, 9:01

annalu ha scritto:In questa polemica non riesco a capire cosa dovrebbe fare lo stato se dovesse interessarsi del tutto dei problemi economici di un paese.

Forse intendevi "disinteressarsi", se capisco bene il senso. Nel caso dalla mia risposta avrai capito che io non propongo che lo stato si "disinteressi del tutto" ma appunto che detto interesse cambi modalità. Meno gestione diretta, meno intervento diretto, piu' regolazione e controllo. Casa che pero' non vuol dire piu' leggi (già oggi sono troppe e mal scritte) ma meno leggi e piu' forti, incisive e soprattutto chiare.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda franz il 29/08/2015, 10:18

pianogrande ha scritto:Lo stato opera (o dovrebbe operare) per l'interesse della collettività mentre i privati operano per il loro interesse privato.

Qui la seconda parte della mia risposta.
In democrazia lo Stato opera secondo quello che una maggioranza (temporanea) di cittadini decide essere (ritiene che sia) l'interesse della collettività, anzi per essere piu' precisi, l'interesse di quella stessa maggioranza. Naturalmente, e l'ho scritto piu' volte, non esiste in interesse della collettività (un bene comune) individuabile in modo oggettivo (logico-algoritmico-scientifico). Se esistesse allora si potrebbe applicare una determinata formula e la democrazia non servirebbe piu'. A casa tutti i politici e facciamo gestire la nazione dai matematici. Poiché invece l'interesse della collettività coincide con l'interesse di chi vince le elezioni (fintanto che non vince un altro gruppo con il suo interesse) abbiamo semplicemente una coalizione di interessi privati abbastanza vasta da comprendere una maggioranza di elettori. In pratica corrisponde (qui lancio una provocazione) alla costituzione di cartello tra privati per gestire la cosa pubblica. Un cartello che elegge rappresentanti e resta al potere per 4 o 5 anni, a seconda delle regole elettorali dei vari paesi e si impossessa di risorse di tutti (anche della minoranza) per perseguire l'obbiettivo programmatico.

I privati è vero che operano per il loro interesse (e qui intendo tutti i privati, come produttori, lavoratori e consumatori) ma almeno sono soggetti ogni giorno alla scelte di mercato. Si puo' dire che votano ogni giorno, in quanto praticamente tutti a parte i minori sono nelle vesti di consumatori (che siano lavoratori, pensionati, giovani o imprenditori) e nelle loro scelte esprimono il successo o il fallimento dei produttori di beni e servizi. I quali proprio per questo hanno come interesse privato non solo quello di guadagnare (ricavi superiori alle spese, tasse permettendo) ma di rimanere sul mercato producendo beni e servizi di qualità, in competizione e concorrenza con altri. In questo senso il panettiere non solo deve fare il pane e guadagnarci ma ha tutto l'interesse (privato) a fare un buon pane ad un buon prezzo. A meno che naturalmente riesca ad ottenere protezione statale (per esempio con leggi come una volta che imponevano distanze minime tra gli esercizi commerciali per evitare che i consumatori potessero essere piu' liberi di scegliere) oppure a costituire un cartello con gli altri panettieri per predeterminare qualità e prezzo del pane. Per entrambe le cose pero' serve uno stato. Che dia protezione o che non controlli i cartelli, sanzionandoli, solo un'autorità piu' grande puo' intervenire. Come si vede pero' puo' intervenire male (se dà protezione) o bene (se impedisce i cartelli) e tutto dipende da che tipo di maggiornaza governa. In passato ci sono state molte maggioranze di tipo protezionistico (ricordo che negli anni 70 quasi tutte le auto erano italiane perché quelle straniere erano soggette a quote di importazione) ma non si puo' affatto dire che quelle maggioranza facessero l'interesse del paese. Facevano pero' l'interesse di gruppi economici che erano riuscito a convincere una maggioranza di elettori che il loro interesse fosse quello giusto.

Si puo' quindi dire che specularmente all'obiezione (giusta) che non esiste un "mercato perfetto" allora non esiste nememno una democrazia perfetta. I motivi sono comuni ed il principale riguarda ritengo l'asimmetria informativa. Un mercato perfetto richiede che tutti gli attori siano informati (sui prezzi e sulla qualità nel settore privato) e che lo siano in misura uguale. Richiede inoltre che io consumatore possa scegliere il piu' possibile tra tutti i prodotti, senza grandi differenze di prezzo. Ovvio che l'insalata sotto casa mi dovrebbe costare meno dell'insalata che viene dall'Australia ma per quanto riguarda prodotti di marca (una telecamera, un'autovettura, una lavatrice) il prezzo da Parigi potrebbe essere anche inferiore a quello del negozio sotto casa e quello da Sidney ancora meno, malgrado il viaggio (se non ci sono dazi distorsivi). Se il comsumatore lo sa e tutti i consumatori lo sanno, il mercato tende ad essere perfetto. In campo pubblico/politico l'elettore dovrebbe essere consapevole non solo dei costi del programma che si appresta ad aoopggiare ma an che di chi paga quel costo in termini fiscali. Ma già qui abbiamo dei vincoli perché l'elettore per prima cosa ha una gamma limitata di scelte (malgrado la proliferazione di partiti) ed è comunque vincolato all'ambito giurisdizionale. Inoltre la sua scelta viene vincolata per 4 o 5 anni. Un po' come fare un contratto assicurativo che dura 5 anni. Se nel frattempo appare una scelta migliore o mi rendo conto di aver preso una fregatura, sono comunque vincolato. (interessante a quato proposito il sistema americano, che con l'elezione di mezzo termine rinnova la metà del legislativo e quindi ogni due anni rimescola le carte).

Perché tutta questa tiritera iniziale? Perché voglio arrivare ad introdurvi alcune considerazioni di un economista svedese di diversi secoli fa, che sono ancora molto attuali. Meglio dire "reintrodurvi", perché questi concetti già li presentai qui anni fa.
Si tratta di Anders Chydenius, economista definito liberale ma anche pastore protestante (tanto per dire che era comunque uomo di chiesa con un'etica religiosa cristiana, anche se non cattolica).
Consiglio di leggere questo articolo http://noisefromamerika.org/recensione/ ... za-nazione
ma intanto vi riporto alcuni pezzi pregevoli della recensione di Zanella (io poi ho comprato e letto il libro).
Parliamo di "stato regolatore" ma come e quanto deve regolare?


Nella pagine iniziali Chydenius afferma che condizioni necessarie alla prosperità sono la divisione del lavoro e il commercio, sia tra individui sia tra nazioni, e che il criterio per la divisione del lavoro tra nazioni sia la specializzazione nel settore o nei settori a più elevata produttività del lavoro. Queste sono chiare anticipazioni non solo del principio della divisione del lavoro enunciato da Adam Smith (ma prima di lui da Platone) ma anche dell'idea che quello che conta per il commercio internazionale è il vantaggio comparato e non quello assoluto, un'idea resa celebre da David Ricardo.

Il problema, secondo Chydenius, è che le leggi distorcono la naturale tendenza degli individui a creare ricchezza mediante specializzazione e scambio. Per quattro ragioni:

1) La regolamentazione economica è molteplice e ogni pezzo di legislazione persegue obiettivi diversi e indipedenti. Questa frammentazione crea necessariamente un sistema scriteriato e quindi, molto probabilmente, dannoso.

2) Nessuno statista e nessun regolatore possiede sufficiente conoscenza per organizzare l'attività economica in modo da massimizzare la 'ricchezza della nazione'. Questo è un punto fondamentale che anticipa le osservazioni di Hayek e la genesi di mechanism design.

3) Anche se lo statista e il regolatore possedessero tutta la conoscenza necessaria, i loro incentivi non sono necessariamente allineati a quelli della collettività. Questo, invece, è il bread&butter di chi studia political economy.

4) Infine, anche se gli incentivi fossero invece allineati, resta il fatto che anche la più perfetta regolamentazione cambierà sempre meno rapidamente delle circostanze economiche. Citando letteralmente:

Fra le migliaia di possibilità, la legge - sebbene sia la migliore possibile - è pertanto utile solo in un'unica circostanza, vale a dire quella per cui è stata concepita, ma dannosa in tutte le altre.

A me quest'ultima sembra una perla. I giuristi ci spiegheranno che per questo c'è il principio di generalità del diritto. Bene, fatevi avanti e discutiamone.

L'inevitabile risultato è la creazione di rendite di ogni tipo (da quella del monopolista a quella del politico), che Chydenius ritiene particolarmente dannose perché ingolfano il motore della prosperità, ossia l'aumento della produttività:

In una società, più opportunità ci sono per alcuni di vivere sulla fatica degli altri, meno questi stessi altri possono godere dei frutti del loro lavoro e più si affossa la laboriosità. I primi diventano arroganti, mentre i secondi diventano disperati ed entrambi negligenti.

Cosa suggerisce di fare, in conclusione, Chydenius? Naturalmente ridurre il numero di leggi e regolamenti che vincolano la libertà economica:

Un'unica legge, vale a dire quella di ridurre il numero delle nostre leggi, è da allora diventata una materia di lavoro piacevole per me, la quale voglio altamente raccomandare come principale e più importante, prima che ne siano inventate di altre nuove.

Non so se ci sia riuscito. Probabilmente no. Anzi, sicuramente no. Questa raccomandazione è altamente impopolare tra chi trae legittimazione dalla produzione di leggi, nonostante il fumo (letterale) della propaganda. Ma di certo aveva ottime ragioni, che sono ottime ancora oggi, per provarci.


Questo spiega la mia riottosità ad accettare il concetto che lo Stato, requisendo risorse private, possa fare investimenti produttivi al di fuori dei classici monopoli naturali. Per esempio finanziando o agevolando settori (come le energie alternative) che sono in competizione con altri (le energie "tradizionali"). Lo stato USA per esempio ha speso miliardi per finanziare l'energia solare ma il risultato è stato il fallimento della piu' grande fabbrica di celle solari americana (Solyndra, mezzo miliardo perso, 1100 dipendneti licenziati). Ha speso anche molto per sostenere le nuove fonti da shale gas col risultato che pero' oggi questa tecnologia è fuori mercato per il prezzo troppo basso del petrolio e molti produttori stanno fallendo.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda pianogrande il 29/08/2015, 13:07

Ringrazio Franz.

Al primo punto del discorso ci sono quindi i ruoli dello stato e del privato sui quali siamo d'accordo.

Mi fermo, almeno per il momento, su un punto che secondo me è importante sviluppare.
Lo stato visto come espressione solo di una parte della popolazione.

Una volta accettato il concetto dello stato regolatore credo che quello sia il problema principale.
Il fatto di averlo evidenziato rafforza il concetto che l'interesse privato non può coincidere con l'interesse pubblico e quindi la necessità di qualcuno che regoli il traffico stando al disopra delle parti.

Questo lo hanno capito anche tanti politici almeno a livello di propaganda visto che un numero sempre maggiore di loro si dichiara sindaco di tutti etc.
Nel nostro caso, la figura istituzionale al disopra delle parti è innanzitutto il presidente della repubblica e poi la corte costituzionale e (speriamo) la magistratura, insomma, gli arbitri.
Perfino la becera e ottusissima lega ha finito per ricorrere all'espediente del nemico esterno per non dare più contro a una parte della popolazione.
In parlamento le parti si confrontano e hanno potere legislativo in proporzione ai voti ricevuti.
Quindi le leggi possono benissimo essere di parte e in tantissimi casi lo sono.

L'unica ma non piccola differenza rispetto al puro interesse privato legittimamente perseguito dai singoli è l'enorme numero di consensi necessari e questo già comincia ad essere un meccanismo di garanzia.

Ci sono inoltre i sistemi di pesi e contrappesi e filtri etc.

Su una scala che rappresenti la garanzia per il cittadino del rispetto dei suoi diritti e della sua dignità, integrità etc. l'interesse privato sta appena all'inizio mentre uno stato non di parte sta al massimo livello (non ne conosco altre di soluzioni per la convivenza).

Quindi, se facciamo un discorso di principio (perché se andiamo a prendere i fatti singoli ce n'è per tutti e allora non va bene niente) la morale, per me, è iniziativa privata regolata da uno stato non di parte.

Siamo lontani?
Diamoci da fare ma almeno sappiamo dove vogliamo arrivare e questo ci dà un criterio per le nostre scelte.
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 10611
Iscritto il: 23/05/2008, 23:52

PrecedenteProssimo

Torna a Che fare? Discussioni di oggi per le prospettive di domani

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 16 ospiti