mariok ha scritto:Dell'equazione "meno tasse = maggiore benessere" abbiamo già abbondantemente discusso e per convincersi che si tratta di una forzatura basta guardare un qualunque ranking dei paesi per pressione fiscale.
Ma evidentemente non siamo d'accordo e ridiscuterne sarebbe un'inutile ripetizione.
Parto da qui per rispondere anche ad annalu, quando scrive:
annalu ha scritto:Se "il mercato" potesse autoregolarsi in modo perfetto senza alcun intervento esterno, penso che gli stati non esisterebbero proprio, perché nessuno ne avrebbe sentito la necessità.
Invece gli stati esistono, e penso abbiano una funzione primaria di controllo e di mediazione, perché la lotta tra le diverse componenti di un paese non superi un certo livello di sopraffazione reciproca.
Prima una questione di principio, caro
mariok. Discutere serve sempre. Magari non convincero' te ma se vedo le discussioni fatte con
pianogrande ed in parte anche con altri, osservo che spesso e volentieri le posizioni si ammorbidiscono le idee e le opinioni si modificano e convergono. Non su tutto, naturalmente. Sarebbe anche sbagliato. Ma se riusciamo ad avere un concetto comune sul ruolo dello stato (minimo o massimo o via di mezzo che sia) credo che sia tutto di guadagnato.
Dalle varie discussioni proprio con pianogrande emerge una visione abbastanza delineata di uno Stato la cui funzione è
principalmente regolatoria. Poche leggi, ben scritte e leggibili, democratiche (perché votate da rappresentanti eletti) e naturalmente un apparato di controllo che verifichi il rispetto delle leggi e sanzioni gli inadempienti. Quindi polizia, giudici, carceri.
Naturalmente uno Stato non puo' limitarsi a questo. Una funzione primaria da millenni è la difesa dai pericoli esterni. Quindi un esercito. Roba pero' che oggi come oggi costa qualcosa che a dipendenza delle nazioni oscilla tra il 2 ed il 4% del PIL, con alcune eccezioni verso il basso e verso l'alto.
Poi c'è il grosso capitolo del welfare e della sua gestione. Ma qui se mi permettete esistono nel mondo diversi approcci.
Iniziamo dalla
previdenza, che è un capitolo importante, per mole di spesa.
Per esempio in molti stati, anche europei, oggi il grosso della previdenza si basa su fondi pensione a capitalizzazione (privati) regolati da legge statale e quindi fuori dal bilancio pubblico, le cui capitalizzazioni superano il PIL della nazione di riferimento. Da noi invece a superare il PIL sono i debiti, fatti
anche per una fallimentare gestione negli ultimi decenni della previdenza a compartizione che spendeva piu' di quanto incassava (anche oggi, per alcune sezioni, ma non piu' come una volta).
Proseguendo con la
sanità, altro grosso comparto di spesa, la stragrande maggioranza dei paesi occidentali si basa su sistemi misti, pubblico-privato, finanziati in modo comune e misto (assicurazioni piu' o meno obbligatorie e tasse). In questo caso lo Stato si limita alle operazioni di investimento delle strutture ospedaliere pubbliche mentre la gestione (il rimborso delle cure) è affidato alle assicurazioni, in concorrenza tra loro e sulla base di leggi emanate dallo stato.
Se veniamo all'
educazione, anche qui sta andando verso modelli di cooperazione pubblico privato, con finanziamento misto. Ci sono casi in cui lo stato sussidia le scuole private, per esempio pagando una quota dello stipendio dei docenti (mi pare in Olanda ma potrei sbagliarmi) e non è detto che il ruolo dello stato debba essere quello di educatore in prima persona. Chiaramente la nostra costituzione mette dei paletti molto limitanti ma non per questo, in via logica, possiamo ritenere che l'educazione impartita (il verbo non è bello e non mi piace ma ora non mi viene altro) dalle scuole private debba essere per forza sbagliata, anche se ci sono dei pericoli. Essi ci sono anche nell'educazione impartita dal settore pubblico. Anche qui si dovrebbe passare da uno stato che fa ad uno stato che emana disposizioni e ne verifica il rispetto.
Un aspetto finale del welfare riguarda l'assistenza e gli aiuti a chi perde il lavoro. Nel primo caso è doverosamente spesa pubblica, a carico della fiscalità, nel secondo oggi lo strumento piu' usato nel mondo è quello assicurativo, quindi la spesa si finanzia chiedendo a lavoratori ed imprese di pagare un tot per finanziare un fondo assicurativo e quindi non pesa sulla fiscalità generale.
Poi c'è il rilevante capitolo dei monopoli naturali (costruzione e gestione): strade, ferrovie, fognature, condutture di acqua e gas, linee elettriche. Ma esso riguarda solo la rete, non chi la utilizza. Sulle strade scorrono mezzi pubblici e privati. Lo stesso vale come tendenza oggi per le ferrovie, per l'elettricità, per il gas. Una volte avremmo aggiunto anche il telefono ma non è piu' cosi'. Oggi abbiamo tante reti su cui il segnale telefonico (anzi oggi Internet, e quindi Voip) e quindi non c'è piu' alcun monopolio naturale.
E l'intervento in economia? Qui chiariamo subito una cosa, che mi pare non sia stata considerata in queste discussioni. Lo stato normalmente tende ad intervenire per aiutare (o difendere) la propria economia, la propria produzione, intesa come quella dei produttori locali. Considerato che oggi non è piu' concepibile uno stato che gestisce in proprio acciaierie, banche, industrie chimiche e ... centrali del latte, oggi lo stato tende a sostenere le proprie importazioni oppure anche ad ostacolare le importazioni quando sono in concorrenza con i produttori interni.. Ma (un MA grosso come una casa) oggi viviamo in un contesto OMC e UE in cui queste cose sono assolutamente vietate. Vietati gli aiuti di stato, vietati gli ostacoli alle importazioni di un certo tipo, eliminati i dazi con moltissimi paesi (non solo dentro la UE). Naturalmente non mancano imprenditori che chiedano aiiuti a carico della fiscalità ma questo dovrebbe essere vietato in quanto distorsivo della concorrenza interna ed esterna. La soluzione è estendere il piu' possibile la logica che impedisce dazi ed ostacoli al commercio, che favorisce la concorrenza (concetto sicuramente liberale ma prima di tutto intelligente) non certo tornare al protezionismo come chiedono certi partiti della destra conservatrice e parafascista.
Come si vede stiamo andando verso situazioni in cui lo stato è meno presente sul fronte della spesa (e quindi della tasse) e piu' presente sul fronte della regolazione. Poi si puo' discutere se meno tasse = maggior benessere (per me in campo OECD è vero) ma direi che si potrebbe anche discutere anche se per caso
piu' tasse = maggior benessere. Vedendo l'Italia, che come pressione fiscale è in testa con Francia e Svezia, direi che il benessere ce lo scordiamo (a parte la casta ed i suoi piu' immediati dintorni) quindi questa equazione non è vera. Diciamo che sono strategie che ogni stato democraticamente sceglie. Vedendo quanto fatto dalla Svezia (passata dal 62% di tasse all'attuale 48% e considerato che stanno meglio ora, in termini di crescita) direi che abbiamo un altro tassello da aggiungere al mosaico. La Francia, ai vertici della pressione fiscale, non se la passa molto bene. Paesi come UK, USA, Giappone, CH e Irlanda, che hanno basse spese e basse tasse, direi che stanno meglio di noi, anche se con luci ed ombre.
https://www.google.com/publicdata/explo ... &ind=falseQuanto alla "funzione primaria di controllo e di mediazione, perché la lotta tra le diverse componenti di un paese non superi un certo livello di sopraffazione reciproca" citata da
annalu credo che fosse una funzione valida nel 1800 e 1900, quando imperava la logica (o illogica) della lotta di classe e si vedeva lo stato vuoi come mediatore vuoi come protagonista della lotta stessa. Oggi la globalizzazione ha sovvertito questa logica che si basava, come giustamente fatto osservare, sui possibili conflitti interni. Per prima cosa questi conflitti oggi sono fortemente assopiti, anche se non spariti del tutto, proprio per l'azione degli stati, principalmente per gli interventi di welfare. In secondo luogo emergono maggiormente conflitti tra stati o aree economiche e valutarie.
Cosa rimane? Rimane credo il grande capitolo, generatore di crisi, dell'intervento dello stato (o delle banche centrali) sui cambi, sui tassi di interesse, sui rapporti di cambio, sulla stampa di moneta. Qui è chiaro che quello che si osserva è che sono gli stati a non autoregolarsi. La critica che si fa al mercato (e qui mi avvicino al tema aperto da
annalu) va in realtà fatta alle nazioni, le quali competono in modo stupido ad inflazionare le economie oppure indebitarsi oppure a scatenare guerra valutarie. Sono gli stati, non i "capitalisti" attori del "mercato".
Il fatto è che in realtà nessuno ha mai detto che il mercato si autoregola e forse nessuno lo ha mai sostenuto tra i pensatori liberali favorevoli al libero mercato.
Il mercato ha bisogno di regole (codice civile, codice penale, regole sul lavoro, regole sulla sicurezza, sull'ambiente) e di un appartato che controlli e faccia rispettare queste regole. Da qui, se la regolazione è fatta bene e nessuno bara su altri fronti (aiuti di stato, guerre valutarie, distorsioni della concorrenza, monopoli) il mercato tende a produrre ricchezza e trovare equilibri stabili che in caso di crisi tendono a trovare altri (nuovi) equilibri (in questo senso si dice "autoregolanti"). Quello che manca invece è il
parco di regole comuni tra gli stati, per evitare quei comportamenti che provocano le crisi in campo finanziario. E qui che torniamo a Prodi ed al suo articolo. La soluzione deve essere comune ma intesa come norme comuni, internazionali. Si parla di una conferenza internazionale. Magari invece qualcuno auspica ad una risposta comune intesa come "soldi degli altri spesi per aiutare noi" ma non è questo a cui si riferiva Prodi.
Scusate la lunghezza. C'è altro da dire ma per non appesantire questo testo già lungo, lo faro' dopo.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)