pinopic1 ha scritto:L'uninominale è possibile anche con il proporzionale. Così è in Germania e così era nella prima repubblica per il Senato. Anche se la ripartizione dei seggi avviene con calcolo proporzionale su base regionale o nazionale. Ma se l'obiettivo è quello di consentire all'elettore di scegliere la persona nella quale ha fiducia, lo si raggiunge con il voto disgiunto.
Questo non è esatto. Spesso viene fatto questo esempio ma le cose stanno diversamente. In Germania le quote vengono attribuite in modo proporzionale, e all'interno di queste quote i primi eletti sono quelli che hanno vinto nei collegi uninominali e solo nel caso in cui ci siano più eletti nei collegi di quanto non spetterebbe in quota proporzionale l'elezione uninominale ha un effettivo valore. Naturalmente questo capita molto per partiti piccolissimi ma legati al territorio, che prendono magari l'1% a livello nazionale ma se vincono tre collegi possono comunque mandare rappresentanti in parlamento, mentre non capita pressoché mai con i partiti grandi e che contano, dato che per superare (ad esempio) una percentuale del 35% ottenuta nel proporzionale, dato che i collegi sono la metà dei posti totali (salvo soprannumero), bisognerebbe vincere più del 70% di quegli stessi collegi uninominali (il 70% di 50 fa 35), cosa ovviamente molto rara per non dire quasi impossibile. Quindi gli effetti complessivi del sistema sono pesantemente proporzionali, e infatti in Germania contano moltissimo i partiti e poco gli eletti e poco il loro legame con il territorio. Sempre meglio di un porcellum, questo sì, ma nulla a che vedere con il maggioritario uninominale.
Ma ripeto, proporzionale o maggioritario, la seconda repubblica è nata sull'idea errata che la prima fosse instabile, improduttiva, votata al consociativismo a causa delle sue istituzioni "obsolete" e della frammentazione politica. Semplicemente non era vero. La maggioranza era stabilissima, i partiti sono stati mediamente 8-9, i programmi si realizzavano, anche importanti riforme, si realizzavano grandi opere pubbliche e infrastrutture e questo nonostante gli attacchi della reazione fascista, del terrorismo rosso, delle trame dei servizi segreti di mezzo mondo. Non lo so cosa accadrebbe oggi se si presentassero le stesse condizioni degli anni 70; lo so, ma preferisco non pensarci e incrociare le dita.
Questo non è vero. La maggioranza era sempre "simile", perché un partito grande, il PCI, era escluso (e anche auto-escluso) dalle possibilità di governo. Ma i governi erano del tutto instabili, tant'è che duravano in media meno di un anno, e questa instabilità si era accresciuta nel tempo. Non per caso le grandi riforme si sono realizzate fino agli anni '60 e primi anni '70, quando il sistema dei partiti reggeva ancora in modo accettabile ed era in grado di mobilitare sostegno nella società. Questo non era il massimo della democrazia ma era un sistema in qualche modo funzionante, che è però entrato in crisi progressiva a partire dagli anni '70 e poi negli '80, momento a partire dal quale le grandi riforme si sono arenate e, dissolta la capacità propositiva, la politica si è risolta in una gestione, sempre peggiore e sempre più sprecona, dell'esistente. Da lì non ci siamo ancora risollevati, ma dare la colpa al maggioritario non c'entra nulla, il maggioritario era uno degli elementi (non l'unico) necessari a invertire questa brutta rotta, e qualche effetto positivo lo aveva anche prodotto, ma è stato azzoppato sia perché ab initio le riforme sono state fatte a metà, sia perché dopo solo 3 cicli elettorali lo si è abolito.
Vero è che mediaticamente la lotta per il maggioritario è stata impostata sulla scelta di un governo e di una maggioranza solida da parte degli elettori, ma io penso che questo elemento sia stato e resti puramente accessorio. Ci sono tanti modi per ottenere maggioranze ampie, ma il punto è di ottenere parlamentari legati ai propri elettori, perché solo così una maggioranza, ampia o meno ampia che sia, riesce davvero a incidere sulla società.
Il problema della prima repubblica era uno solo: la mancanza di alternanza dovuta alla, probabilmente saggia, clausola di esclusione nei confronti del maggior partito di opposizione.
Dopo tangentopoli e la caduta del muro bisognava ripensare e ricostruire i partiti prima di occuparsi delle istituzioni.
Le due cose non sono disgiunte, ed è ovvio che la priorità vada alle istituzioni. Perché le istituzioni si possono cambiare per legge, i partiti no. I partiti invece si adattano (in parte) alle condizioni in cui devono competere. Non basta questo a fare partiti "virtuosi", ma è una condizione comunque necessaria. Il problema non è che si sia data priorità alle istituzioni, il problema è che le riforme istituzionali sono state fatte a metà e senza un disegno di insieme abbastanza chiaro e condiviso (non che fosse facile fare di meglio, beninteso), è per questo che sono fallite. Pensare di riformare i partiti prima delle istituzioni è pura utopia, uno al massimo potrà riformare il proprio di partito (e già vediamo quanto è difficile) ma se il dato sistema incentiva certi comportamenti piuttosto che altri, riformarsi "nonostante" il sistema rischia semplicemente di condannarsi a perdere sempre e comunque.