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La nostalgia italiana del capitalismo di stato

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

La nostalgia italiana del capitalismo di stato

Messaggioda mariok il 30/07/2015, 9:47

Piuttosto nel futuro prossimo del capitalismo italiano è probabile che ritorni, in forme nuove, la mano pubblica. Al di là dei giudizio di merito sull’operazione è evidente che se la Cassa Depositi e Prestiti di Claudio Costamagna dovesse realizzare direttamente o indirettamente entrambe le operazioni di cui si parla (Telecom e Ilva) saremmo di fronte a una novità di un certo peso per la nostra industria.


ahi ahi ahi... signora Longhi... ci risiamo con il capitalismo di stato. La nostalgia è grande.

Naturalmente, di cercare di capire come mai l'Italia è il primo paese in Europa per risparmio privato, ma le aziende quotate in borsa sono solo la metà di quelle tedesche, un terzo di quelle francesi, un decimo di quelle britanniche, nemmeno a parlarne.

Un motivo ci sarà pure di questa "idiosincrasia nei confronti della Borsa" e potrebbe servire a spiegarci il perché del nanismo italiano.

TRASFORMAZIONE
La geometria italiana del capitalismo

Tra le grandi aziende passate in mano straniera prima di Italcementi ci sono anche Loro Piana, Pirelli e Indesit. Il vertice della piramide sparisce e resta il trapezio, alla cui base ci sono le tante piccole imprese, risorsa da non perdere
di DARIO DI VICO

Forse è utile cominciare dalla geometria e osservare come sempre di più il capitalismo italiano perda la tradizionale forma a piramide e acquisti quella a trapezio. Per dirla più crudamente il vertice sparisce e il baricentro si sposta in basso. L’elenco delle grandi aziende che in un lasso di tempo breve è passata in mano straniera comprende oltre l’Italcementi dei Pesenti la Loro Piana, la Pirelli e la Indesit. Tra le imprese private di lignaggio storico solo la Fiat si è proposta e si sta proponendo come polo aggregante, pur scontando la diluizione della presenza azionaria della famiglia Agnelli.
In generale si può dire che per il combinato disposto di 13 anni di euro e 7 di Grande Crisi gli imprenditori italiani non sono riusciti a mettere su la taglia necessaria per poter restare in gara come aggregatori nei settori caratterizzati da iper-concentrazione. Continuiamo a rappresentare la seconda manifattura d’Europa pur assomigliando a un trapezio e avendo perso lo slancio della piramide. Tra i sostenitori della moneta unica c’era chi aveva paventato qualcosa di simile ma allora si confidava romanticamente nella nascita di campioni europei, ovvero gruppi industriali a governance plurinazionale grosso modo paritaria. Non è avvenuto quasi mai, bensì la costante è che un grande gruppo prevalentemente tedesco o francese ne aggreghi altri di differenti Paesi Ue. Dando per scontato che la vendita del cemento abbia ferito l’orgoglio degli italiani e che non sarà di certo l’ultima della serie, occorre forse ragionare in termini nuovi sul tipo di rapporti che si devono stabilire con le multinazionali. Anche se finora non abbiamo avuto comportamenti particolarmente ostili da parte dei grandi gruppi che hanno comprato aziende italiane e persino Thyssen, Electrolux e Whirlpool alla fine siano scesi a patti con governo e sindacati. In almeno un caso poi, penso al farmaceutico, la presenza delle multinazionali è servita a motivare i nostri imprenditori di taglia media che si sono a loro volta internazionalizzati.
La base alta del trapezio di cui abbiamo parlato è rappresentata dalle nostre multinazionali tascabili e già l’aggettivo ne tradisce la caratteristica decisiva, quella di lavorare prevalentemente sulle nicchie e di aver raggiunto per questa via uno status di azienda globale. Ne abbiamo un bel numero e progressivamente il plotone si sta allargando, del resto la straordinaria avanzata dell’export italiano negli anni della Grande Crisi è stata possibile proprio perché la platea si è ampliata. Le nostre aziende medio-grandi hanno dunque grandi pregi e alcune di esse come Ferrero e Lavazza hanno in corso processi di aggregazione all’estero, eppure i difetti non mancano e si vedono a occhio nudo. Non sono sufficientemente managerializzate e in molti casi nutrono una vera idiosincrasia nei confronti della Borsa: due fattori che ne hanno finora limitato le potenzialità. Comunque il mix settoriale di questo segmento è interessante perché accanto a vere e proprie icone del made in Italy tradizionale ci sono aziende che hanno scommesso in maniera innovativa sulla distribuzione come Luxottica e Yoox. E si annunciano nuovi protagonisti come Eataly che vuole diventare sotto la conduzione di Andrea Guerra una piccola Ikea del cibo italiano. È ovvio che quando si confronta il vecchio con il nuovo si è portati a pensare che una volta i grandi gruppi godevano di un retroterra di protezione finanziaria (il metodo Cuccia) e oggi no, ma le differenze di contesto storico ed economico sono così ampie che la nostalgia non può avere campo.
Piuttosto nel futuro prossimo del capitalismo italiano è probabile che ritorni, in forme nuove, la mano pubblica. Al di là dei giudizio di merito sull’operazione è evidente che se la Cassa Depositi e Prestiti di Claudio Costamagna dovesse realizzare direttamente o indirettamente entrambe le operazioni di cui si parla (Telecom e Ilva) saremmo di fronte a una novità di un certo peso per la nostra industria. Resta sul lato basso del trapezio la larghissima presenza delle piccole imprese e di quello che Maurizio Sacconi definisce «il nostro capitalismo popolare». È una grande risorsa in termini culturali, è decisiva per la tenuta dei territori e in qualche modo riesce a dare forma compiuta all’individualismo italiano. È evidente però come manchi un grande progetto capace di portare a valore sistemico la straordinaria presenza dei piccoli, e anzi in questi anni si sono fatti passi indietro come testimonia il semi-fallimento del progetto di Rete Imprese Italia. L’apertura del capitale e le aggregazioni tra simili dovrebbero essere altrettanti passaggi di questo progetto ma le resistenze culturali sono profondissime e purtroppo neanche la Grande Crisi le ha smosse. Sia chiaro: non è certo dal basso che potremo rimediare al «taglio del vertice» ma nemmeno si può sommare danno e beffa.
30 luglio 2015 (modifica il 30 luglio 2015 | 08:52)

http://www.corriere.it/opinioni/15_lugl ... 5abf.shtml
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Re: La nostalgia italiana del capitalismo di stato

Messaggioda franz il 30/07/2015, 10:24

mariok ha scritto:Naturalmente, di cercare di capire come mai l'Italia è il primo paese in Europa per risparmio privato, ma le aziende quotate in borsa sono solo la metà di quelle tedesche, un terzo di quelle francesi, un decimo di quelle britanniche, nemmeno a parlarne.

Un motivo ci sarà pure di questa "idiosincrasia nei confronti della Borsa" e potrebbe servire a spiegarci il perché del nanismo italiano.

Il risparmio in Italia è in gran parte costituito dai mattoni, dalle case. Grazie all'equo canone infatti milioni di italiani hanno dovuto forzatamente intraprendere la strada dura dell'acquisto della casa. Questo ha significato grossi sacrifici (e quindi carenza di consumi interni per decenni) ma anche grandi guadagni per le banche, che a mio avviso hanno poi utilizzato i ricavi non per la propria capitalizzazione o per operazioni di sostengo alle imprese ma per comprare titoli di stato.
il nanismo delle imprese per me è direttamente legato al gigantismo dello Stato e dalle sue elevate pretese in fatto di tassazione.
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Re: La nostalgia italiana del capitalismo di stato

Messaggioda mariok il 30/07/2015, 16:52

franz ha scritto:il nanismo delle imprese per me è direttamente legato al gigantismo dello Stato e dalle sue elevate pretese in fatto di tassazione.

Che ci sia un problema di eccessiva tassazione risulta abbastanza evidente dai dati.

In Italia la tassazione sul reddito di impresa supera il 31% (Ires+Irap) contro una media Ue sotto il 23% che scende a circa il 20% se si includono altri paesi del continente come Svizzera, Russia e Turchia.

Quanto al "gigantismo dello Stato" mi sembra un termine un po' generico, almeno non ho trovato dati che confrontino la quota di partecipazione pubblica nelle imprese in Italia con l'Europa.

Faccio comunque fatica ad individuare unicamente in tali elementi le cause di un così basso ricorso delle aziende italiane al capitale di rischio.
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Re: La nostalgia italiana del capitalismo di stato

Messaggioda franz il 30/07/2015, 17:04

mariok ha scritto:Quanto al "gigantismo dello Stato" mi sembra un termine un po' generico, almeno non ho trovato dati che confrontino la quota di partecipazione pubblica nelle imprese in Italia con l'Europa.

Non mi riferisco al gigantismo di imprese pubbliche ma al fatto che comunque quando la spesa pubblica arriva a costituire il 50% del PIL, vuoi per il lato previdenziale, vuoi per i servizi pubblici offerti (si fa per dire; in cambio di tasse salate), vuoi per le aziende partecipate e parastatali allora il lato privato è forzatamente "privato" (simpatico gioco di parole) di risorse, in cambio di servizi che in Italia sono raramente all'altezza del costo e di una redistribuzione che è, a detta di molti, per nulla ottimale.
In mezzo anche ostacoli (leggi incomprensibili e che cambiano spesso, burocrazia, corruzione) che impediscono la crescita delle imprese e quindi obbligano al nanismo (salvo ovviamente per gli amici degli amici).
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Re: La nostalgia italiana del capitalismo di stato

Messaggioda mariok il 24/08/2015, 17:41

Financial Times: “Renzi forte sostenitore delle aziende italiane”
Pubblicato il 24 agosto 2015 da Redazione


http://www.termometropolitico.it/118648 ... liane.html

“Matteo Renzi, il leader quarantenne, non solo ha portato una relativa stabilità politica ed una spinta per maggiori riforme economiche nel suo paese, ma è anche stato un forte sostenitore delle operazioni ambiziose da parte delle aziende italiane”. Lo scrive il Financial Times, secondo cui “il suo appoggio sembra funzionare in quanto il valore totale degli acquisti e delle fusioni (merger and acquisitions) in Italia è destinato a raggiungere il livello dell’anno record, il 2007, con operazioni per 59 miliardi di dollari che coinvolgono aziende italiane dal gennaio di quest’anno, secondo il data provider Dealogic. Nel 2014 si era giunti a 37 miliardi”.

Financial Times: “Investimenti grazie a Renzi”
Secondo gli esperti, aggiunge il quotidiano della City, tutto ciò è frutto “della leadership di Renzi, della successione nelle dinastie industriali italiane e nei prezzi relativamente bassi degli asset italiani”. L’ottimismo si riflette anche in Borsa. L’Ft ricorda il caso della Exor degli Agnelli, diventata tra l’altro l’azionista principale dell’Economist, e cita tra l’altro l’acquisto di Carte Noire da parte della Lavazza, e del britannico Thorntons da parte della Ferrero. Parallelamente, sempre secondo il quotidiano londinese, Renzi “si è impegnato a sostenere gli apatici investimenti esteri in Italia”. L’Ft cita il caso Pirelli-ChemChina e Italcementi-HeidelbergCement.
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Re: La nostalgia italiana del capitalismo di stato

Messaggioda mariok il 24/08/2015, 18:02

Forse la caratteristica che si è rivelata prevalente in Renzi è il suo atteggiamento nei confronti delle imprese.

Più che rottamazioni più o meno fasulle, la vera novità è costituita da un chiaro appoggio a chi fa impresa, senza i falsi pudori, i tabù e le ipocrisie del passato, fuori dai vecchi schemi consociativi e dalla "concertazione" con la burocrazie sindacali e confindustriali.

Ovviamente tale atteggiamento si è tirato addosso gli strali dei puritani secondo i quali sostenere le imprese è un imperdonabile tradimento dei sacri principi della sinistra antagonista. Anche se i "favori" alle aziende (almeno ad alcune) hanno sempre accompagnato tutti i governi di ogni colore.

La novità di Renzi è la "sfrontatezza" con cui prende posizione a favore degli imprenditori (definiti addirittura degli "eroi" con grande orrore della Camusso), senza vergognarsene.

E' evidente che i giudizi "ideologici" possono essere i più disparati, ma credo sia indubbio che il sostegno alle imprese, fuori dalle vecchie politiche dei finanziamenti a fondo perduto, che sono state la rovina del nostro capitalismo assistito, risponde ad una obbiettiva necessità del momento.
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Re: La nostalgia italiana del capitalismo di stato

Messaggioda franz il 24/08/2015, 18:49

Distinguere tra "sostenere" e "favori" è essenziale.
Io inizierei da "non ostacolare".
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Re: La nostalgia italiana del capitalismo di stato

Messaggioda Robyn il 24/08/2015, 19:01

Finanziare questa o quella azienda rispetto alla generalità crea competizione sleale e inutile spesa tranne che costruire le infrastrutture necessarie per creare uguali nastri di partenza per favorire la libera iniziativa.Quando però si parla di welfare e di dignità della persona nel mercato del lavoro gli adoratori del mercato hanno la vista appannata
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Re: La nostalgia italiana del capitalismo di stato

Messaggioda Robyn il 24/08/2015, 23:50

Quando i poteri finanziari cercano di conquistare i mezzi di informazione di massa e sempre un pericolo per la democrazia è come lasciare satana fuori dalle catene.L'acquisto di exor è proprio in linea con l'azionariato diffuso contro le concentrazioni monopolistiche in linea con i principi liberali così come tutte le operazioni monopolistiche complimenti al Financial Time
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