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Maria Laura Rodotà e i dilemmi di chi è figlio di papà

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Maria Laura Rodotà e i dilemmi di chi è figlio di papà

Messaggioda franz il 22/08/2015, 9:47

Amazon, Maria Laura Rodotà e i dilemmi di chi è figlio di papà

21 agosto 2015, Lorenzo Ravaglia

Qualche giorno fa Maria Laura Rodotà ha scritto un articolo che nessun giornaletto di quartiere meriterebbe e che invece viene ospitato dal Corriere della sera. Lo spunto per le raffinate riflessioni della giornalista è dato da un’inchiesta del NYT, pubblicata qualche giorno fa, sulla cultura aziendale di Amazon. Dall’inchesta emerge il racconto di un’ambiente di lavoro molto rigido, quasi disumano.

Il commento della Rodotà a questa inchiesta è la classica cozzaglia di insulti gratuiti e scemenze contro quel mostro che una parte della sinistra intellettuale italiana non riesce ancora a guardare negli occhi: l’economia globale di mercato. I nemici da attaccare per colpire lo spaventoso mostro sono sempre gli stessi: imprenditori, amministratori delegati, dirigenti d’impresa; spesso ricchissimi e statunitensi. Gli argomenti ancora quelli 68ini: sfruttamento, schiavitù, arricchimento sulla pelle degli altri, crudeltà capitalista.

Tra la miriade di scemenze che l’articolo contiene ne cito solo due per far capire il livello delle argomentazioni e la qualità delle informazioni che il Corriere, per mezzo della sua editorialista, ci propina:

Rodotà dice che Amazon è diventata più grande di Walmart, un’altra multinazionale USA proprietaria di catene di negozi al dettaglio. Difficile cercare di capire cosa intenda la nostra illuminata giornalista con la formula “più grande”. Tuttavia, semplicemente consultando Wikipedia, si scopre che Walmart ha un fatturato di 446 miliardi di dollari con 2.200.000 di dipendenti; Amazon fattura 74 miliardi e ha 88.400 dipendenti (altri dicono 150.000). Chissà cosa intendeva la nostra sublime penna. Forse si riferiva alla crescita della valutazione di mercato di Amazon che nei giorni scorsi ha sorpassato Walmart di circa 30 miliardi (249 miliardi contro 221). Comunque sia, quando si parla della grandezza di un’azienda, pare difficile non calcolare il fatturato e il numero dei dipendenti come fa allegramente la Rodotà.

L’articolo continua informandoci che Jeff Bezos, l’odiato fondatore di Amazon, possiede un patrimonio personale di 250 miliardi. Forbes parla di 34, Bloomberg di 48. Ma le fonti di Rodotà, cioè i suoi sogni in fase Rem e un avanzato stato di frustrazione da capitale, saranno sicuramente più attendibili delle due testate. O magari avrà confuso la capitalizzazione azionaria di Amazon (circa 250 miliardi) con il patrimonio personale di Bezos. Inutili distinzioni, alla Rodotà interessa solo dirci che Bezos è brutto, ricco e cattivo.

I fatti riportati da Rodotà sono perciò dei non-fatti. Ma anche se fossero dei fatti? Che male c’è nel diventare sempre più grandi, con più dipendenti e un maggiore mercato? Perché la Rodotà prova fastidio se Bezos guadagna nel 2015 più soldi di quelli guadagnati nel 2014?

Qui interviene la genialità filosofica della plume del Corriere: Amazon e suoi fratelli (Google, Apple, Facebook) sfruttano i dipendenti (definiti, in modo gratuitamente offensivo, “microservi”), li schiavizzano, li rendono degli automi. Si tratta di “sette” di fanatici interessate solo ai soldi, non di aziende (altra offesa). Ecco, allora, rivelato l’arcano; ecco perché non vanno bene i soldi di Bezos ed è un problema se Amazon diventa più grande di Walmart: sono degli sfruttatori, trasformano gli uomini in automi! Proprio come nei libri di fantascienza che piacciono tanto alla Rodotà e che consiglia di leggere per capire la New Economy (sic!).

Niente di nuovo sul fronte occidentale: ennesima dimostrazione dell’ignorante anticapitalismo in salsa tricolore che non si sforza di capire il mondo ma si limita a odiare chi produce ricchezza e posti di lavoro tramite la realizzazione di idee innovative. Insomma, invece di riflettere su un tema importante, magari commentando un’interessante inchiesta del NYT, si sputano ideologia, frasi fatte e luoghi comuni. Si divide il mondo in buoni e cattivi.

Se lasciamo per un attimo da parte i romanzi di fantascienza, notiamo, invece, che le strategie di Amazon per sviluppare un ambiente di lavoro competitivo, esigente e volto alla maggior produttività possibile, erano già state oggetto, prima dell’inchiesta del NYT, degli interessi del Guardian. Sono stati inoltre pubblicati The Amazon Way, scritto da John Rossman, un ex dirigente che definì la società di Bezus «il miglior posto di lavoro dove ho odiato lavorare» e The Everything Store: Jeff Bezos and the Age of Amazon, una storia di Amazon dal 1994 al 2014 scritta da Brad Stone.

In quest’ultimo libro c’è praticamente tutto quello che il NYT ha rivelato nella sua inchiesta. Come già spiegava Stone: “una volta che i dipendenti hanno abbracciato i nuovi valori di Amazon, non tutti resistono al ritmo vertiginoso del lavoro. L’accelerata crescita di Amazon è dipesa anche dalla rigida gestione dei dipendenti da parte di Bezos, con convocazioni durante il fine settimana, riunioni del gruppo dirigente il sabato mattina, e la continua ripetizione delle sue massime sul lavorare in modo intelligente, duro e costante. […] Di conseguenza, la società non è cordiale verso le famiglie, e alcuni dirigenti lasciano l’azienda quando vogliono avere figli. “Jeff non credeva nell’ equilibrio tra lavoro e vita”, dice Kim Rachmeler. “Credeva nell’ armonia tra lavoro e vita. Credo che l’idea consista nel credere che si dovrebbe essere in grado di fare entrambi in una volta.”[…] Durante un memorabile meeting, una lavoratrice chiese a Bezos quando Amazon avrebbe stabilito un migliore equilibrio tra lavoro e vita. Lui non la prese molto bene. “Il motivo per cui siamo qui is to get stuff done, che è la priorità assoluta”, rispose senza mezzi termini. “Questo è il DNA di Amazon. Se non sei in grado di eccellere e mettere tutto in essa, questo potrebbe non essere il posto per te”.

La rigidità della “filosofia aziendale” di Amazon era quindi già ben conosciuta e divulgata prima dell’inchiesta del NYT. Inoltre, al netto delle sue peculiarità, si tratta di pratiche comuni ad ogni società impegnata a creare, formandolo, il proprio capitale umano. Nonostante negli anni Amazon abbia ammorbidito molto certe esagerazioni, soprattutto per non perdere attrattività agli occhi dei giovani top talent che potrebbero scegliere Google o Facebook, la creazione di uno spirito d’identità grazie al quale il dipendente si riconosce nei progetti e nelle visioni dell’azienda è rimasto fondamentale.

Infatti, come insegna l’economista George Akerlof, l’identità del singolo dipendente (il senso di sé stessi dice l’economista) influisce molto sulla performance dell’intera azienda. Nelle imprese, secondo Akerlof, esistono due tipi di dipendenti potenziali, con diverse attitudini: la prima consiste nell’adesione totale agli obbiettivi dell’impresa; la seconda vede l’impresa come mezzo per realizzare i propri obbiettivi. Le imprese in cui i dipendenti con la prima attitudine prevalgono funzionano meglio.

Perciò, una delle sfide imprenditoriali più importanti per chi gestisce aziende delle dimensioni di Amazon, cioè con decine di migliaia di dipendenti, è quella di cercare di attivare sentimenti di partecipazione e identità che permettano di oltrepassare quelli utilitaristi ed egoistici. Questo lo si può fare solo con meeting, discorsi, momenti di confronto e formazione, ferree regole di comportamento. Tramite, cioè, la creazione di una cultura comune. Ogni ambiente di lavoro internazionale che si misura su un piano di elevata competizione prevede questa dinamiche di creazione di comunità.

Certamente: la creazione di uno spirito aziendale votato all’impegno, alla completa dedizione, all’aumento costante delle performance e all’esclusione di chi non è considerato all’altezza, può creare delle situazioni di mancata empatia (come le chiama Bezos nella sua risposta al NYT) e portare a comportamenti di fredda ingenerosità come quelli riportati dall’inchiesta della testata newyorkese. Si tratta tuttavia di imperfezioni, di corto circuiti e non è certo interesse di Amazon che questi episodi si moltiplichino. Come scrive Bezos “I don’t think any company adopting the approach portrayed (dal NYT) could survive, much less thrive, in today’s highly competitive tech hiring market”.

Inoltre l’inchiesta sembra dimenticare che i cosiddetti white-collar (dirigenti e personale amministrativo) di Amazon sono personale altamente qualificato, ben pagato e con grande potere contrattuale. Non a caso, la maggior parte degli intervistati dal NYT ha lasciato Amazon per approdare ad altre grandi società. I dipendenti attuali, invece, sono molto motivati e sposano la filosofia dell’azienda. Il punto debole dell’inchiesta, a mio parere, sta nel non puntare l’attenzione sui blue-collar, i lavoratori non qualificati senza potere contrattuale.

Questo era stato l’interesse di altre due inchieste. Una del Morning Call pubblicata nel 2011 che riporta le condizioni di lavoro nei magazzini negli USA; ed un’altra, quella di Mac McClelland, un giornalista che ha lavorato in un magazzino di Amazon. Il ritratto che esce da queste due inchieste è deprimente: il ritmo di lavoro, le condizioni, le retribuzioni e gli orari sono quasi disumani. Quella dei “colletti blu” è la vera zavorra delle grandi compagnie USA, non solo di Amazon: sono trattatti in modi quasi disumani, non hanno opzioni lavorative, hanno zero potere economico.

Comunque sia, la storia di Amazon aiuta a capire che una compagnia impegnata a competere a livello mondiale e intenzionata a dare il miglior servizio possibile al cliente si trova nella situazione di non poter promuovere per i suoi dipendenti un virtuoso equilibrio tra lavoro e vita. Chi decide di lavorare in società del genere è consapevole di questo. Come scrive Courtney Hartman, una dipendente Amazon, “sono sorpresa di vedere che qualcuno non aveva idea di cosa stava accettando firmando (un contratto con Amazon). Per me è stato sempre chiaro”.

Dall’Italia, dal Corriere, tutto questo viene letto come tenatativo di trasformare i dipendenti in servi. In realtà si tratta di coltivare il prorio capitale umano sulla base della competizione e del merito. Robin Andrulevich, un ex dirigente, dice che senza questo lavoro Amazon “non avrebbero mai potuto ottenere ciò che ha raggiunto”. Un altro mondo. I figli di papà non possono capire. Loro lo chiamano sfruttamento.

http://www.glistatigenerali.com/interne ... o-di-papa/
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Re: Maria Laura Rodotà e i dilemmi di chi è figlio di papà

Messaggioda franz il 22/08/2015, 10:11

Questo l'articolo del NYTimes:
http://www.nytimes.com/2015/08/16/techn ... .html?_r=0
E questo è il commento della "figlia di papà" pubblicato a ferragosto.
http://www.corriere.it/opinioni/15_agos ... ec46.shtml

Francamente avevo letto l'articolo il giorno stesso ma l'ho giudicato così insulso da non meritare alcuna menzione e dibattito qui.
Ora rientra dalla finestra per un motivo molto semplice: tra i vari che hanno fatto notare gli strafalcioni, le falsità e gli errori nell'articolo di MLR, c'è Michele Boldrin, il quale caustico come sempre ha pubblicato questo commento come incipit dell'articolo stesso del Corriere: "Ma questa parolaia ignorante e' figlia d'arte? Allora e' proprio vero che certe caratteristiche son ereditarie. Complimenti, Corsera!".
Poi nel dibattito che si è aperto su FB chiarisce puntualmente le critiche:
1) Anzitutto, non dice nulla di concreto e preciso. Scarica veleno a 360 gradi verso tutto cio' che sembra aver a che fare con la "rete" e le aziende che la usano, soprattutto le maggiori.

2) Setta, dice la signorina. Boh, cosa vuol dire? Setta vuol essere denigrativo, ma di cosa? Che fanno code e (Apple in primis) macchinette che alla gente sembrano piacere e risultare utili? La signorina non ha un cellulare ed un PC? Cosa vuol dire "setta"? Sono "setta" anche quelli che fanno il grana padano? Insulti gratuiti.

3) Alla signorina sono piaciuti due romanzi di fantascienza che descrivono cose che non esistono, i microservi (altro insulto gratuito) sembrano gente contenta di fare quel lavoro, che guadagna bene e fa cose creative. Lei, la signorina, e' nata bene. Altri no: preferirebbe lavorassero tutti in miniera o nei campi al servizio di qualche nobile? La relazione fra le fantasie sue e la realta' e' talmente ridicola che viene da piangere.

4) Le 14 regole: chiaramente la signorina non ha mai lavorato davvero in ambienti internazionali seri, Perche' quello che descrive e' regola in tutto il mondo produttivo. L'ho fatto io, soprattutto quando ero piu' giovane, e mi divertivo. O pensa che il successo professionale arrivi solo se si ha il cognome giusto e gli agganci della "setta" a cui i famigli potenti ci introducono?

5) Rileggo e non trovo un fatto, solo puttanate a gogo di una signorina snob, figlia di papa' che non ha idea di cosa voglia dire lavorare. Se lavorare in un'azienda che ha a che fare con la rete fosse l'inferno che cerca di descrivere i miei migliori studenti (come quelli del resto del mondo) non farebbero "carte false" (metaforico) per andarci e non mi racconterebbero di quanto contenti siano anni dopo!

6) Non so cosa voglia dire che Amazon e' piu' grande di Walmart, certo non per fatturato o dipendenti. Ma fa lo stesso. Basta controllare su Wikipedia per scoprirlo. Ma la giornalista italiana figlia di papa' non controlla i fatti, scrive quello che le passa per lo stomaco. Ma facciamo finta che A sia piu' grande di W, forse che questo sarebbe negativo? E se fosse l'opposto? Una delle due deve essere piu' grande dell'altra, visto che confrontiamo due aziende, no? Quindi? Cosa significa? NULLA! Puttanate a caso.

6) Non sa nemmeno leggere. Bezos e' ricco (nota bene: NON e' figlio di papa' e si e' fatto da solo, senza raccomandazioni, con idee geniali e rischiando sempre tutto ... la signorina nemmeno sa cosa voglia dire vivere cosi' e creare ricchezza e posti di lavoro come Bezos). Pero, se cerca in rete, scopre che vale 45 miliardi, non 250!! Non so dove cazzo abbia inventato il numero, ma questo, da solo, prova che parla a vanvera anche di cose elementari che scopri in tre secondi! Professionalita' da sbocchi. Al NYT la licenziano in tronco anche solo per una cazzata del genere!

Mi fermo qui. Anche i paragrafi seguenti fanno ridere. La rabbia per la huffington e' ridicola: la gente che scrive, su HP, lo fa perche' le piace. Tutta gente che potrebbe fare altre cose. Chieda a Lucia Annunziata (che dirige HP italiano) ... una cosa penosa, assolutamente penosa.

Da vergognarsi. Veramente da vergognarsi di questa figlia di papa'. Acida e falsa ed ignorante. Acido e' soggettivo: a me l'articolo sembra solo acidita' mal digerita. Falsa ed ignorante l'ho appena provato, son fatti oggettivi. Amen


Ma qui viene il bello. Piccata da tanta critica MLR scrive all'università di Michele Boldrin, perché prenda provvedimenti.
Michele infatti ci racconta che:
Giornalista italiana criticata per aver "riassunto" erroneamente il NYT, invece di scusarsi con i lettori, scrive all'amministrazione della mia universita' chiedendogli di punirmi per "abusive, sexist, homophobic behavior"!

E riceve, neanche a dirlo, la risposta che si merita.

Questi proprio non la vogliono capire che gli USA non sono l'Italia e che altrove esiste sia la liberta' di parola che il fact-checking.

Poi tutti a chiedersi perche' i giornalisti (e non solo loro) capaci e non raccomandati scappano per venire a lavorare qui!

Ebbene, un giornalista che si lamenta di una critica ricevuta da uno che è professore, non trova niente di meglio che scrivere all'università (al datore di lavoro di chi ha fatto la critica) per lamentarsi del comportamento.
In Italia così si usa. E possiamo immaginare che in Italia funzioni; negli Stati Uniti no.
La risposta dell'università è stata

“The University does not police the activities or speech of our faculty outside of work.”

"La signorina - spiega Boldrin - sara' stata sorpresa, suppongo. Viste quanto scriveva nell'articolo sul terribile mondo della new economy, sara' stata certamente convinta che il mio Dean fosse interessato a quel che scrivo su FB o a che ora spengo il PC o quali siano le mie opinioni sul plagiarismo giornalistico italiano. Invece, sorpresa sorpresa, gliene frega nulla ...

Se uno ci pensa bene, il ridicolo tentativo di farmi punire da una "disciplinary commission" (sic!) per averla criticata in rete e' la proiezione (conscia o meno, non so) di due visioni del mondo che, evidentemente, albergano nella mente della nostra:

1) la SUA visione (basata su zero esperienza o studio) del luogo di lavoro USA, come descritto appunto nel menzognero articolo:

2) la SUA particolare esperienza personale di "come va il mondo", nella quale esperienza, evidentemente, chi ti critica mettendo in evidenza che scrivi baggianate senza documentarti viene punito da un'autorita' superiore alla quale tu ti appelli (di nascosto) e che ti ascoltera'.

Insomma, concluderei, in un mondo di figli di papà purtroppo è normale che le cose vadano come vanno in Italia.
Per fortuna in altre parti del mondo le cose vanno diversamente.

PS: nessuno ha capito il perché di quel "abusive, sexist, homophobic behavior" salvo che fa sempre bene puntare su quegli aggettivi. Io mi sono chiesto come mai "abusivo", come se potesse esistere un "legittimo" comportamento sessista ed omofobo.
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Re: Maria Laura Rodotà e i dilemmi di chi è figlio di papà

Messaggioda mariok il 22/08/2015, 18:54

In questo paese la cultura dominante è sostanzialmente comunista. Non rappresenta più la maggioranza (forse non l'ha mai rappresentata) ma è ancora predominante nei mezzi di informazione e tra gli operatori cosiddetti culturali, a cominciare dalla scuola e dalle università.

Sono baronie che hanno controllato per decenni i maggiori centri di potere, portatrici di una visione oligarchica/aristocratica che ha permeato l'informazione, gran parte del cinema e della letteratura, che ha promosso un capitalismo assistito e di relazione, familistico e clientelare, nemiche giurate di tutto ciò che è libera competizione e meritocrazia, ma indulgenti nei fatti, anche se falsamente intransigenti a parole, con forme varie di illegalità e di corruzione.
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville
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Re: Maria Laura Rodotà e i dilemmi di chi è figlio di papà

Messaggioda franz il 22/08/2015, 19:25

Beh, sì, uscendo dal caso concreto ed allargando lo sguardo ad un orizzonte più ampio, è il familismo amorale unito al clientelismo, la logica della raccomandazione familiare presso il potente, sia per trovare il lavoro, sia per mantenerlo, sia per punire che osa criticare. No, non credo che c'entri il comunismo (una volta tanto) ma è qualche cosa di piu' profondo a cui poi tutte le componenti culturali del paese hanno attinto. Attorno al familismo amorale si sono create baronie familiari di tutti i colori e le tutte le sfumature di rosso, nero e bianco.

https://it.wikipedia.org/wiki/Familismo_amorale
https://it.wikipedia.org/wiki/Clientelismo
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Re: Maria Laura Rodotà e i dilemmi di chi è figlio di papà

Messaggioda mariok il 22/08/2015, 20:24

franz ha scritto:No, non credo che c'entri il comunismo (una volta tanto) ma è qualche cosa di piu' profondo a cui poi tutte le componenti culturali del paese hanno attinto. Attorno al familismo amorale si sono create baronie familiari di tutti i colori e le tutte le sfumature di rosso, nero e bianco.

https://it.wikipedia.org/wiki/Familismo_amorale
https://it.wikipedia.org/wiki/Clientelismo


Alcuni elementi del comunismo, almeno quello in versione nostrana, sono stati alla base del "familismo amorale" che ha certamente un carattere trasversale, ma che da una cultura pseudo-marxista ha tratto una sorta di legittimazione morale e culturale.

Un sostanziale anticapitalismo, che ha fornito la giustificazione ad ogni forma di competizione e di concorrenza, facendo da paravento alla difesa dei privilegi e delle rendite di posizione.

Uno statalismo che con la falsa motivazione della difesa dei più deboli, ha di fatto istituzionalizzato la gestione consociativa dei maggiori centri di potere, dell'economia e del sistema finanziario.

La identificazione dello stato con i partiti, divenuti le reali sedi delle decisioni attraverso l'occupazione di tutte le istituzioni.

Questi "elementi di socialismo reale all'italiana", dei quali per anni l'intellighenzia nostrana "di sinistra" si è fatta portatrice nelle università, nei centri culturali, su gran parte dei media, sono divenuti col tempo patrimonio di tutte le "culture" variamente colorate, in una totale confusione e mistificazione delle definizioni che hanno accreditato per esempio come liberale un grande monopolista come Berlusconi o come "capitani coraggiosi" pseudo-capitalisti in affari con il potere politico, o hanno fatto passare per forme cooperative, e quindi destinatarie di privilegi fiscali, imprese come la Unipol o le varie coop di vario colore.
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Re: Maria Laura Rodotà e i dilemmi di chi è figlio di papà

Messaggioda franz il 23/08/2015, 10:08

mariok ha scritto:Un sostanziale anticapitalismo, che ha fornito la giustificazione ad ogni forma di competizione e di concorrenza, facendo da paravento alla difesa dei privilegi e delle rendite di posizione.

Uno statalismo che con la falsa motivazione della difesa dei più deboli, ha di fatto istituzionalizzato la gestione consociativa dei maggiori centri di potere, dell'economia e del sistema finanziario.

La identificazione dello stato con i partiti, divenuti le reali sedi delle decisioni attraverso l'occupazione di tutte le istituzioni.

Comprendo e sono d'accordo. Ma vado piu' indietro nel tempo. A me pare che tutto questo sia in perfetta continuità con il fascismo. Con esso avevamo il sistema delle corporazioni a protezione di rendite e centri di potere. Un sistema protezionistico che poi è sfociato in modo quasi naturale nell'autarchia. Lo statalismo era, ed è tutt'ora, il fondamento della destra sociale. La con-fusione tra partiti e stato è elemento comune sia del fascismo, sia del comunismo ma a guardar bene anche dell'operato della DC. Bastava chiamare il potente di turno per muovere mari e monti. Mi pare quindi che sia tutto l'ultimo secolo ad aver forgiato la situazione attuale. Non ho idee a riguardo sul periodo pre-fascista (destra storica, sinistra storica, liberale) ma chi ha info le condivida.
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Re: Maria Laura Rodotà e i dilemmi di chi è figlio di papà

Messaggioda Robyn il 23/08/2015, 20:16

L'anticapitalismo non c'entra niente poiche spingere i ritmi da lavoro non solo provoca stress ma anche il calo della produttività con il passare del tempo al pari del mancato riposo il sabato e la domenica.Al contrario esiste la possibilità di non spingere i ritmi e rendere compatibile la vita fisica con il lavoro.Per ex legare una parte del reddito al merito è funzionale a questo.Se ti impegni di più hai un premio se di meno hai meno premio.Per ex nel caso di redditi fissi questo non avviene perche chi mantiene i ritmi ha lo stesso reddito di chi non li mantiene con la conseguenza che chi non li mantiene può essere escluso invece con il premio questo non avviene.La soluzione quindi non è spingere i ritmi per non compromettere la vita fisica e non portare stress,ma lasciare il lavoratore libero di lavorare,calcoliamo anche l'innovazione tecnologica nuovi processi di lavoro oppure l'esempio di chi anziche spostare una pedana e una scala in ferro sposta una scala o una pedana in alluminio,sono tutte energie risparmiate che si possono utilizzare successivamente.In ogni caso i diritti sociali nel nostro paese sono stati dati per acquisiti,ma di tanto in tanto ricompaiono riflussi nostalgici che però non hanno più la forza di un tempo tranne che scomparire in breve tempo
Locke la democrazia è fatta di molte persone
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