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Le storie parallele di Atene e Dublino (utili per noi)

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Le storie parallele di Atene e Dublino (utili per noi)

Messaggioda mariok il 10/07/2015, 8:34

A me sembra che si dia per scontato un teorema tutto da dimostrare: che cioè per un'economia debole sia conveniente una moneta debole. In realtà una moneta è debole perché è debole il paese che la emette, non per una scelta di convenienza.

E' vero che in certi periodi alcuni stati, immettendo liquidità sul mercato, hanno tenuto volutamente basso il cambio. Ma ciò è possibile solo per periodi limitati ed a fronte di un sistema produttivo capace di approfittare del momentaneo vantaggio competitivo.

In un'economia strutturalmente debole, un basso tasso di cambio attrae investimenti dall'estero che creano è vero posti di lavoro, ma a bassi salari e generalmente in settori maturi con bassi margini.

Inoltre, il ricorso alla svalutazione come arma competitiva, incentiva le aziende a posizionarsi nella parte bassa della catena del valore e disincentiva gli investimenti per ricerca ed innovazione.

L'euro ha un po' sovvertito questo schema, dando la possibilità a paesi deboli di disporre di una moneta forte che gli ha consentito di importare materie prime a più basso costo e di finanziarsi a più bassi tassi di interesse.

Ovviamente ciò è un vantaggio per chi intende sfruttare questo vantaggio in modo "virtuoso", cioè per risanare i propri bilanci e per investire in innovazione e sviluppo, non per chi approfitta di una maggiore disponibilità di credito a basso costo per scialacquare in spesa non produttiva.
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Re: Le storie parallele di Atene e Dublino (utili per noi)

Messaggioda pianogrande il 10/07/2015, 9:05

flaviomob ha scritto:Cambiare i fondamentali economici sono belle parole. Tu compreresti un'auto greca o tedesca?

Ti faccio una domanda: in 150 anni di storia siamo riusciti a cambiare i "fondamentali economici" del Mezzogiorno d'Italia?


Allora adottiamo un giorno lo scudo e un giorno il tallero (la domenica è d'obbligo il doblone) e ci ritroveremo Matera capitale dell'economia.
Direi che questa discussione sta diventando davvero avvilente.
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Re: Le storie parallele di Atene e Dublino (utili per noi)

Messaggioda trilogy il 10/07/2015, 10:41

mariok ha scritto:
[..]Inoltre, il ricorso alla svalutazione come arma competitiva, incentiva le aziende a posizionarsi nella parte bassa della catena del valore e disincentiva gli investimenti per ricerca ed innovazione.

L'euro ha un po' sovvertito questo schema, dando la possibilità a paesi deboli di disporre di una moneta forte che gli ha consentito di importare materie prime a più basso costo e di finanziarsi a più bassi tassi di interesse.

Ovviamente ciò è un vantaggio per chi intende sfruttare questo vantaggio in modo "virtuoso", cioè per risanare i propri bilanci e per investire in innovazione e sviluppo, non per chi approfitta di una maggiore disponibilità di credito a basso costo per scialacquare in spesa non produttiva.


Condivido. Uno dei problemi che è alla base delle difficoltà dell'eurozona è determinato proprio dal fatto che le economie più deboli dovevano investire maggiormente in innovazione per migliorare produttività e modificare la specializzazione produttiva. Non l'hanno fatto, e questo non è un problema solo della Grecia, ma anche di Italia, Spagna, Portogallo.

Come attenuante, c'è da dire che modificare la specializzazione produttiva di un paese è un processo difficile, lungo e costellato di fallimenti. Non si può fare per decreto. Ma in molti casi, Italia compresa, non ci si è neanche provato.
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Re: Le storie parallele di Atene e Dublino (utili per noi)

Messaggioda gabriele il 10/07/2015, 10:51

mariok ha scritto:L'euro ha un po' sovvertito questo schema, dando la possibilità a paesi deboli di disporre di una moneta forte che gli ha consentito di importare materie prime a più basso costo e di finanziarsi a più bassi tassi di interesse.

Ovviamente ciò è un vantaggio per chi intende sfruttare questo vantaggio in modo "virtuoso", cioè per risanare i propri bilanci e per investire in innovazione e sviluppo, non per chi approfitta di una maggiore disponibilità di credito a basso costo per scialacquare in spesa non produttiva.


Vero. Ma occorrevano anche altre misure stabili per assicurare un flusso di capitali all'interno dell'area Euro in funzione del mercato e non della forza finanziaria dei suoi membri. Gli eurobond, un debito condiviso allo stesso tasso da tutti i paesi euro, avrebbe aiutato. Ciò avrebbe comportato ovviamente l'utilizzo di altre regole e istituzioni economiche e finanziare di controllo che avrebbero di certo spinto i governi nazionali ad una politica di minor sperpero, soprattutto in Italia, magari tramite anche una specie di "patto di stabilità" fra gli stati.
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Re: Le storie parallele di Atene e Dublino (utili per noi)

Messaggioda flaviomob il 10/07/2015, 11:24

La Grecia è un paese la cui principale attività economica è data dal turismo. In cosa dovrebbero innovare, fare ricerca e sviluppo? Cercare nuove anfore?

Certamente invece Grecia e Italia debbono risanarsi sul fronte della corruzione e dell'evasione.

In Italia la corruzione è aumentata, secondo Transparency International, sotto i governi berlusconidi. Ma anche con Renzi le nuove norme anticorruzione sono incomplete, aggirabili e poco incisive a causa dei termini di prescrizione. Questa è la vera emergenza per Italia (e Grecia).


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Re: Le storie parallele di Atene e Dublino (utili per noi)

Messaggioda mariok il 10/07/2015, 11:31

flaviomob ha scritto:La Grecia è un paese la cui principale attività economica è data dal turismo. In cosa dovrebbero innovare, fare ricerca e sviluppo? Cercare nuove anfore?



I paesi che vivono di solo turismo sono e restano tra i più poveri. Anche se la Grecia non diventerà mai una potenza industriale, avrebbe potuto e dovuto investire in diversi settori, come quello agro-alimentare, mercantile, logistico e dei servizi in generale. E invece si è imbottita di impiegati statali e pensionati.
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Re: Le storie parallele di Atene e Dublino (utili per noi)

Messaggioda flaviomob il 11/07/2015, 15:19

dal Manifesto:

L’«Alexit» è fallito, per Tsipras è l’ora del governo
Atene. L’economia è paralizzata ma la società ellenica continua a reagire con orgoglio. L’ultima proposta ateniese, molto rigida, è però migliore di quella pre-referendum, più favorevole ai poveri


Dimitri Deliolanes
EDIZIONE DEL
11.07.2015

È giunta per Ale­xis Tsi­pras l’ora della poli­tica di governo, delle mano­vre non lineari allo scopo di por­tare la Gre­cia fuori dalla camera a gas a cui l’hanno con­dan­nata, per due set­ti­mane almeno, Schäu­ble e Dijs­sel­bloem. Il pre­mier mano­vra avendo il soste­gno di un paese vivace e orgo­glioso, con­sa­pe­vole della sua forza ma anche dei suoi limiti. Per risol­vere il pro­blema subito, da lunedì.

Con il blocco dei capi­tali l’economia è para­liz­zata e quando finirà la liqui­dità finirà anche la pazienza dei greci. È quello che pro­ba­bil­mente spera il potente par­tito neo­li­be­ri­sta euro­peo per far fuori i «rossi» di Atene e dimo­strare ai popoli euro­pei che l’evasione dall’austerità è impos­si­bile: evi­tare il gre­xit ma pro­muo­vere l’Alexit, lo tsipras-exit, magari sosti­tuito o affian­cato dall’uomo degli oli­gar­chi, l’ex gior­na­li­sta Sta­vros Theodorakis.

Tsi­pras sa come può far fal­lire que­sto pro­getto di «soft golpe». Sa di essere l’unico lea­der poli­tico del paese, senza oppo­si­zione cre­di­bile né fuori né den­tro il suo par­tito. Tocca a lui deci­dere cosa dire ai cre­di­tori, come fare le mosse giu­ste e in quale dire­zione. Sem­pre sulla scia delle chia­ris­sime indi­ca­zioni che sono emerse dal refe­ren­dum: con­ti­nuare a nego­ziare ma tor­nare a casa con un accordo, non con un nuovo fal­li­mento. I greci non vogliono auste­rità ma non vogliono nean­che essere cac­ciati dall’eurozona. E Tsi­pras non vuole dare fuoco all’Europa.

Le pro­po­ste depo­si­tate ieri al Par­la­mento greco sono una ver­sione leg­ger­mente miglio­rata di quelle con­se­gnate dal pre­si­dente della Com­mis­sione pochi giorni dopo la pro­cla­ma­zione del refe­ren­dum. E già que­sto da solo depone in favore della con­sul­ta­zione popo­lare. Il governo greco si è sfor­zato di adat­tarle, in modo che il peso sia distri­buito in maniera più equa sulle spalle dei più abbienti. Ci saranno aumenti sull’Iva per mac­chine di grossa cilin­drata, yacht e con­sumi di lusso ed è final­mente pre­vi­sta la tas­sa­zione degli arma­tori: la Costi­tu­zione non per­mette di tas­sare gli utili, allora ci sarà un aumento dell’aliquota sul cabo­tag­gio. Gli arma­tori che con­trol­lano anche i media, dovranno, per la prima volta, pagare le tasse sulla pub­bli­cità tra­smessa, oltre che per l’occupazione delle frequenze.

Ma ci saranno anche tagli pro­por­zio­nali alle pen­sioni, aumenti all’Iva nelle isole, escluse quelle meno turi­sti­che e più iso­late, ma anche per tutti gli ali­menti, esclusi gli essen­ziali, e anche i ristoranti.

Inol­tre, dopo aver letto le ripe­tute prese di posi­zione di Mat­teo Renzi, per­so­na­lità cen­trale negli equi­li­bri euro­pei, Tsi­pras in per­sona ha insi­stito affin­ché all’abolizione delle baby pen­sioni fosse data la mas­sima prio­rità: da oggi fino al 2022 tutti andranno gra­dual­mente in pen­sione a 67 anni o dopo 40 anni di con­tri­buti. Entu­sia­smo a Palazzo Chigi.

Ma que­sto sforzo di distri­buire il peso in maniera più favo­re­vole agli strati più poveri non è suf­fi­ciente a ren­dere buone que­ste pro­po­ste brutte, di auste­rità e di reces­sione, in vista di un com­pro­messo forse ono­re­vole ma sbi­lan­ciato verso la parte dei cre­di­tori. Il popolo greco con­ti­nuerà a sanguinare.

Con­di­zione per­ché l’accordo auspi­cato si risolva in favore della Gre­cia è che sia accom­pa­gnato da un chiaro e pre­ciso impe­gno degli euro­pei ad affron­tare, in una data pre­cisa, il pro­blema del debito, reso ancora più urgente in vista dei 30 miliardi che Atene ha già chie­sto al Mes — un altro passo indie­tro del governo. Ancora ieri il sem­pre “fles­si­bile” Schäu­ble e la stessa Mer­kel esi­bi­vano pub­bli­ca­mente for­tis­simi impe­di­menti ammi­ni­stra­tivi e nor­ma­tivi a pro­ce­dere a un deciso taglio del debito greco e dare così sod­di­sfa­zione a Washing­ton. Per evi­tare un uso poli­tico dell’ottusità buro­cra­tica teu­to­nica (come è suc­cesso più volte con Varou­fa­kis), Tsi­pras ha pre­fe­rito usare il ter­mine «ren­dere soste­ni­bile» il debito, facendo capire che anche spal­marlo all’infinito con tassi ridi­coli sarebbe una solu­zione soddisfacente.

Un ultimo aspetto della vicenda, non secon­da­rio: ieri cele­bri cor­ri­spon­denti da Bru­xel­les e meno cele­bri com­men­ta­tori di oppo­si­zione in Gre­cia davano per scon­tata la ribel­lione dei depu­tati intran­si­genti di Syriza, arri­vando al punto di defi­nirne per­fino il numero: 40 circa. Nel pome­rig­gio è effet­ti­va­mente uscito un docu­mento di cri­tica alle pro­po­ste del governo, fir­mato da tre depu­tati e da tre mem­bri della segre­te­ria, totale sei per­sone. Pro­ba­bil­mente al momento del voto, attorno a mez­za­notte, saranno di più. Ma è dif­fi­cile che la mag­gio­ranza si spacchi.

Stando a Bru­xel­les, gli acuti osser­va­tori non pote­vano pre­ve­dere che in mat­ti­nata Tsi­pras avrebbe affron­tato il suo gruppo par­la­men­tare dicendo che non può ammette frat­ture sulla stra­te­gia da seguire in que­sto «momento sto­rico»: «Siamo arri­vati insieme e ce ne andremo insieme. Dob­biamo gover­nare. Tra una solu­zione brutta e una cata­stro­fica, biso­gna sce­gliere la prima. Cer­chiamo di dare bat­ta­glia sul debito e non siamo soli. E se la mag­gio­ranza viene a man­care, allora non farò ricorso agli altri par­titi. Io non sono Papa­de­mos». Parole chiare, respon­sa­bili, senza infin­gi­menti e demagogia.


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Re: Le storie parallele di Atene e Dublino (utili per noi)

Messaggioda flaviomob il 11/07/2015, 15:22

dal Guardian:

http://www.theguardian.com/commentisfre ... are_btn_tw

Germany won’t spare Greek pain – it has an interest in breaking us

Debt restructuring has always been our aim in negotiations – but for some eurozone leaders Grexit is the goal
Noma Bar's lifebuoy for Greece
‘Wolfgang Schäuble [Germany’s finance minister] is convinced that, as things stand, he needs a Greek exit to clear the air.’ Illustration: Noma Bar
Yanis Varoufakis, former Greek finance minister

Friday 10 July 2015 19.25 BST

Greece’s financial drama has dominated the headlines for five years for one reason: the stubborn refusal of our creditors to offer essential debt relief. Why, against common sense, against the IMF’s verdict and against the everyday practices of bankers facing stressed debtors, do they resist a debt restructure? The answer cannot be found in economics because it resides deep in Europe’s labyrinthine politics.

In 2010, the Greek state became insolvent. Two options consistent with continuing membership of the eurozone presented themselves: the sensible one, that any decent banker would recommend – restructuring the debt and reforming the economy; and the toxic option – extending new loans to a bankrupt entity while pretending that it remains solvent.

Live Greek debt crisis: Eurozone creditors have trust issues with Tsipras- live
Finance ministers set to discuss latest Greek proposals after Alexis Tsipras receives backing from his MPs
Read more
Official Europe chose the second option, putting the bailing out of French and German banks exposed to Greek public debt above Greece’s socioeconomic viability. A debt restructure would have implied losses for the bankers on their Greek debt holdings.Keen to avoid confessing to parliaments that taxpayers would have to pay again for the banks by means of unsustainable new loans, EU officials presented the Greek state’s insolvency as a problem of illiquidity, and justified the “bailout” as a case of “solidarity” with the Greeks.

To frame the cynical transfer of irretrievable private losses on to the shoulders of taxpayers as an exercise in “tough love”, record austerity was imposed on Greece, whose national income, in turn – from which new and old debts had to be repaid – diminished by more than a quarter. It takes the mathematical expertise of a smart eight-year-old to know that this process could not end well.

Once the sordid operation was complete, Europe had automatically acquired another reason for refusing to discuss debt restructuring: it would now hit the pockets of European citizens! And so increasing doses of austerity were administered while the debt grew larger, forcing creditors to extend more loans in exchange for even more austerity.

Our government was elected on a mandate to end this doom loop; to demand debt restructuring and an end to crippling austerity. Negotiations have reached their much publicised impasse for a simple reason: our creditors continue to rule out any tangible debt restructuring while insisting that our unpayable debt be repaid “parametrically” by the weakest of Greeks, their children and their grandchildren.

In my first week as minister for finance I was visited by Jeroen Dijsselbloem, president of the Eurogroup (the eurozone finance ministers), who put a stark choice to me: accept the bailout’s “logic” and drop any demands for debt restructuring or your loan agreement will “crash” – the unsaid repercussion being that Greece’s banks would be boarded up.

Five months of negotiations ensued under conditions of monetary asphyxiation and an induced bank-run supervised and administered by the European Central Bank. The writing was on the wall: unless we capitulated, we would soon be facing capital controls, quasi-functioning cash machines, a prolonged bank holiday and, ultimately, Grexit.

The threat of Grexit has had a brief rollercoaster of a history. In 2010 it put the fear of God in financiers’ hearts and minds as their banks were replete with Greek debt. Even in 2012, when Germany’s finance minister, Wolfgang Schäuble, decided that Grexit’s costs were a worthwhile “investment” as a way of disciplining France et al, the prospect continued to scare the living daylights out of almost everyone else.

Syriza supporters in front of the Greek parliament Facebook Twitter Pinterest
‘By the time Syriza won power last January, a majority within the Eurogroup had adopted Grexit either as their preferred outcome or weapon of choice against our government’.
By the time Syriza won power last January, and as if to confirm our claim that the “bailouts” had nothing to do with rescuing Greece (and everything to do with ringfencing northern Europe), a large majority within the Eurogroup – under the tutelage of Schäuble – had adopted Grexit either as their preferred outcome or weapon of choice against our government.

Greeks, rightly, shiver at the thought of amputation from monetary union. Exiting a common currency is nothing like severing a peg, as Britain did in 1992, when Norman Lamont famously sang in the shower the morning sterling quit the European exchange rate mechanism (ERM). Alas, Greece does not have a currency whose peg with the euro can be cut. It has the euro – a foreign currency fully administered by a creditor inimical to restructuring our nation’s unsustainable debt.

To exit, we would have to create a new currency from scratch. In occupied Iraq, the introduction of new paper money took almost a year, 20 or so Boeing 747s, the mobilisation of the US military’s might, three printing firms and hundreds of trucks. In the absence of such support, Grexit would be the equivalent of announcing a large devaluation more than 18 months in advance: a recipe for liquidating all Greek capital stock and transferring it abroad by any means available.

With Grexit reinforcing the ECB-induced bank run, our attempts to put debt restructuring back on the negotiating table fell on deaf ears. Time and again we were told that this was a matter for an unspecified future that would follow the “programme’s successful completion” – a stupendous Catch-22 since the “programme” could never succeed without a debt restructure.

This weekend brings the climax of the talks as Euclid Tsakalotos, my successor, strives, again, to put the horse before the cart – to convince a hostile Eurogroup that debt restructuring is a prerequisite of success for reforming Greece, not an ex-post reward for it. Why is this so hard to get across? I see three reasons.

Europe did not know how to respond to the financial crisis. Should it prepare for an expulsion (Grexit) or a federation?
One is that institutional inertia is hard to beat. A second, that unsustainable debt gives creditors immense power over debtors – and power, as we know, corrupts even the finest. But it is the third which seems to me more pertinent and, indeed, more interesting.

The euro is a hybrid of a fixed exchange-rate regime, like the 1980s ERM, or the 1930s gold standard, and a state currency. The former relies on the fear of expulsion to hold together, while state money involves mechanisms for recycling surpluses between member states (for instance, a federal budget, common bonds). The eurozone falls between these stools – it is more than an exchange-rate regime and less than a state.

And there’s the rub. After the crisis of 2008/9, Europe didn’t know how to respond. Should it prepare the ground for at least one expulsion (that is, Grexit) to strengthen discipline? Or move to a federation? So far it has done neither, its existentialist angst forever rising. Schäuble is convinced that as things stand, he needs a Grexit to clear the air, one way or another. Suddenly, a permanently unsustainable Greek public debt, without which the risk of Grexit would fade, has acquired a new usefulness for Schauble.

What do I mean by that? Based on months of negotiation, my conviction is that the German finance minister wants Greece to be pushed out of the single currency to put the fear of God into the French and have them accept his model of a disciplinarian eurozone.


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Re: Le storie parallele di Atene e Dublino (utili per noi)

Messaggioda pianogrande il 11/07/2015, 15:51

Caro "Manifesto".
Sbrigati a scrivere con quello stile ironico - vittimistico quasi alla D'Alema (il che in altri tempi sarebbe stata una offesa) per parlare del problema Grecia perché quando la gente anche in Italia dovesse toccare con mano (col portafogli) quello che i greci e il loro governo hanno combinato, allora, non ci cascherebbero più.

La morale di fondo di tutta questa buffa storia in cui i debitori sono eroi e i creditori avvoltoi con la bava alla bocca non l'ha ancora spiegata nessuno.

Tu prestare soldi a me.
Io non restituire.
Io eroe (con in più il bonus di democratico), tu delinquente, affamatore, dittatore etc.

Eppure la gente ci casca e questo atteggiamento rende voti e fa vendere giornali e anche questo è democrazia.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Le storie parallele di Atene e Dublino (utili per noi)

Messaggioda pianogrande il 11/07/2015, 16:17

Varoufakis, invece, ha una ironia magari involontaria ma più coi piedi per terra.
In parole povere: non facevano prima a condonarci il debito sapendo quanta fatica e sacrifici gli sarebbe costato farcelo pagare?

Adesso fanno i duri perché la Germania ci vuole fuori.
A parte l'evidente menzogna (verità incompleta) sul fatto che una grossa(*) parte del debito gli è stata condonata, conclude con il solito vittimismo (ci vogliono fuori).
A essere troppo furbi, il trucco rischia di apparire evidente.

(*) Parola quasi tedesca
Fotti il sistema. Studia.
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