IL RETROSCENA
Le scelte dem da Roma a Palermo Così Renzi vuole ribaltare il partitoL’idea di candidare la politologa Gualmini l’anno prossimo a Bologna
Oggi a Milano l’assemblea nazionale pd: serve aria nuova, tornerò a fare Renzi
di Maria Teresa Meli
Se fosse un film (cosa che, almeno attualmente, non è perché assomiglia più a una «soap opera») quello che va in onda oggi, all’Expo, potrebbe avere un titolo insolito per un sequel: «Renzi uno, la vendetta». Già, l’assemblea nazionale del Pd, convocata per obbligo, a termini di Statuto, di per sé non avrebbe storia. Sarebbe solo il pedissequo ripetersi di un rito che un regolamento interno vuole che si reciti almeno due volte l’anno. La minoranza, che ora minaccia fuoco e fiamme, in realtà, ne avrebbe fatto volentieri a meno, perché sa che quella sarà la platea davanti alla quale il premier preannuncerà le sue mosse, stoppando e prevenendo, di fatto, quelle dell’opposizione interna. E non solo. Perché pure chi lo ha sostenuto finora, in questo periodo, lo sta facendo penare. Anche se su questo il premier non sarà mai esplicito. Per dirla in soldoni, a Renzi non piace l’accanimento terapeutico senza costrutto della giunta Marino, anche se a non voler staccare la spina è il presidente del partito Matteo Orfini. Come non gli piace il Crocetta che, al di là delle presunte intercettazioni, ha lasciato la Sicilia abbandonata a se stessa, nonché preda dei grillini.
Elisabetta Gualmini potrebbe correre come sindaco a Bologna
E non si appassiona per Michele Emiliano che in Puglia corteggia «il Movimento 5 Stelle» e a Roma va a una cena di ex dc patrocinata da Beppe Fioroni. Il segretario vuole «aria nuova nel partito». Al centro come in periferia. E qualcuno interpreta così le voci secondo le quali Elisabetta Gualmini, politologa e vicepresidente della giunta dell’Emilia-Romagna, potrebbe correre come sindaco di Bologna. «Renzi - dice il premier parlando di sé - deve tornare a a fare Renzi e quindi basta mediazioni al ribasso». Il che non significa che il premier voglia fare tutto da solo. Anzi. C’è un motivo se ha aperto un dialogo a dir poco intenso con una fetta importante, nonché preponderante, della minoranza interna, capeggiata dal ministro Maurizio Martina. Quella parte della sinistra del Pd gli serve per sostituire i bersaniani renitenti al Pd versione renziana, ma anche quei «giovani turchi» che giocano delle partite in proprio, come è accaduto a Roma, con Orfini.
Trattare con la minoranza
In più, Martina e i suoi servono perché i numeri, nonostante il sempiterno ottimismo renziano, sono quelli che sono e quindi al Senato bisognerà trattare con la minoranza, o almeno con parte di essa, per approvare la riforma costituzionale, perché, come avrà modo di ribadire anche oggi il premier, «sulle riforme bisogna correre». Già, perché secondo Renzi, su questo ha ragione Napolitano: «Non si può sempre disfare la tela». Bersani nei panni di Penelope? Eppure secondo i renziani il sì dell’ex segretario pd dovrebbe essere acquisito perché «non possono essere tutti voti di coscienza». Insomma, basta: «Si torna ad accelerare su tutto e su questo oggi sarò chiarissimo».
Riforme
C’è però chi non crede ancora che il premier abbia veramente intenzione di spingere il piede sull’acceleratore e andare avanti, sul partito, sulle riforme, contro i potentati locali e contro le «burocrazie interne e internazionali». «C’è chi spera nella restaurazione», scherza Renzi con i fedelissimi alla vigilia di questa assemblea del Pd, nella quale il premier ha deciso di «parlare con grande franchezza al partito, ma anche al Paese». Gli avversari interni, come sempre, lo aspettano al varco, anche se avrebbero preferito rinviare la pugna a dopo la calura estiva. Se non altro per il timore che il premier chieda loro un voto in commissione Affari costituzionali del Senato che li vincoli sulla riforma costituzionale. Un voto che non consenta l’indomani, ma nemmeno il mese dopo, di rimettere tutto in discussione, come ha spiegato Renzi ai suoi: «Io sono pronto alla mediazione e ho offerto un ventaglio di ipotesi su cui lavorare. Siamo tutti disponibili a farlo. Se c’è un no, a questo punto, è solo preventivo e mira a far impantanare tutto». Se la gioca, questa volta, Renzi, convinto che non vi siano alternative: «Nemmeno un governo Bersani, Salvini, Brunetta, avrebbe i numeri in Parlamento», è la battuta che ama fare con i fedelissimi.
18 luglio 2015 (modifica il 18 luglio 2015 | 09:03)
http://www.corriere.it/politica/15_lugl ... a764.shtml