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Diritti umani, informazione e comunicazione

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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 04/12/2014, 12:34



"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
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Viva Fidelio!

Messaggioda flaviomob il 08/12/2014, 15:49

Scala di Milano, dal Fidelio a oggi: l'emergenza carceri resta inascoltata
L'Huffington Post | Di Carlo Melato



A un certo punto la Scala piangerà, o perlomeno resterà turbata, come se fosse la prima volta. Primo atto del Fidelio, che inaugura la stagione del teatro milanese, scena nona. I prigionieri escono faticosamente dalle carceri per un inaspettato istante di libertà. Di colpo realizzano di non essere più abituati alle cose essenziali della vita (“Oh qual piacere, all'aria aperta, respirare in libertà!”), iniziano a cantare sussurrando, immobili, come statue che vorrebbero prendere vigore (“Solo qui, solo qui è vita, il carcere è una tomba!”). "Tutto l’opposto di un finale d’atto, che solitamente prevede molto movimento – ci spiega Fabio Sartorelli, docente di Storia della Musica all’Accademia del Teatro alla Scala –, esattamente il contrario di quel “picciol dramma da sé” di cui si raccomandava Lorenzo Da Ponte. Beethoven fissa una situazione esemplare in un tableau vivant con al centro il diritto inalienabile dell’uomo: la luce, il sole, l’aria fresca, ovvero la libertà…".

Potenza della musica del genio di Bonn, certo. Nonostante il tedesco e senza conoscere le scelte della regista Deborah Warner (a parte la fabbrica-prigione e un immenso muro in cui non c’è un mattone uguale all’altro, che pare abbia mandato in tilt chi vuole portare questa produzione in Germania) già sappiamo che condurrà il pubblico alle lacrime.

Purtroppo però c’è un altro motivo che non ci farà sembrare la Siviglia del XVII secolo troppo lontana. Il coro dei prigionieri “O welche Lust, in freier Luft” non potrà non farci pensare, almeno per un istante, alla situazione delle nostre carceri e alle condanne della Corte europea dei diritti umani per cui l’Italia è recentemente corsa ai ripari con i cosiddetti “rimedi risarcitori”, anche se il problema del sovraffollamento è ancora lì tutto da risolvere.

Ma davvero il cattivo Pizarro ci somiglia? La domanda è lecita se il presidente Napolitano (grande assente della Prima), dopo la sentenza pilota del gennaio 2013, che l’Italia si era guadagnata violando l’articolo 3 della Convenzione europea che vieta i trattamenti inumani e degradanti, aveva parlato di “mortificante conferma”. E se solo da qualche tempo i dati ufficiali (e contestati) dicono che il nostro Paese garantisce a tutti i detenuti almeno tre metri quadrati di spazio vitale a testa (grossomodo un palco della Scala), soglia sotto la quale non si può scendere.

"È questa esecuzione della pena “all’ingrosso” – ci dice il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato –, questo ammassare persone all'interno di mura chiuse, come se si potesse combattere il crimine con misure generali, indistinte, fortemente connotate dal solo elemento della repressione, che ci porta necessariamente a non tutelare i diritti e a sottoporre delle persone a un regime che non è quello che la legge prevede. È chiaro che la sofferenza che infliggiamo ai detenuti delle nostre carceri non è certo “la minore possibile” di cui parlava Cesare Beccaria".

E allora a cosa serve questo surplus di dolore? A sentire Gherardo Colombo proprio a nulla, anzi è anche controproducente. "All’inizio della mia carriera di magistrato – ha raccontato in questi giorni durante un dibattito proprio sul Fidelio – credevo che il carcere funzionasse. Col tempo ho capito che serve solo a far sentire buoni quelli che stanno fuori. Chi può uscire riappacificato con la società dopo un’esperienza simile?" ha chiesto a una platea abbastanza incredula. Ma i dati gli danno ragione. L’87% dei carcerati non lavora e il 68% di chi esce commette nuovi reati. I 54.428 detenuti costano alla collettività circa 120 euro a testa al giorno, ma la maggior parte di queste risorse serve a tenere in piedi il sistema, non a favorire un recupero.

E se nessuno chiaramente è incatenato nei sotterranei come Florestan, pochi sono gli istituti come Bollate in cui si possa studiare, lavorare, suonare, fare sport o, banalmente, dipingere le pareti della propria stanza, magari singola (nel video in anteprima alcune immagini del cortometraggio “EXPiO/BOLLATE” realizzato da “NutriMente, artisti associati” in occasione di Expo 2015).

"La Corte europea dei diritti dell’uomo – conclude Manconi – è stata essenziale nel pungolare un paese distratto e disinteressato come l’Italia, ma non possiamo aspettarci che come il Don Fernando dell’opera beethoveniana, annunciato da uno squillo di tromba, venga a liberare gli oppressi e a riportare la giustizia. Un governo come il nostro dovrebbe fare propri quei richiami e decidersi a ripristinare la legalità. Basterebbe soltanto riprendere il messaggio che nell’ottobre del 2013 il Capo dello Stato inviò alle Camere. In quel testo viene indicato un disegno organico di interventi, congiunturali e strutturali, per mettere mano alle contraddizioni del sistema, senza escludere interventi di clemenza come amnistia e indulto. Peccato però che solo a sentire a queste parole i parlamentari scappino a gambe levate…".

http://www.huffingtonpost.it/2014/12/06 ... 80856.html


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Straordinario lavoro

Messaggioda flaviomob il 10/12/2014, 23:49


Usa, alimentazione rettale e interrogatori ghiacciati: così la Cia torturava i terroristi



Secondo il “rapporto sulla tortura” della Commissione Intelligence del Senato, l'agenzia ha utilizzato “tecniche avanzate di interrogatorio” ben più brutali rispetto a quelle estreme già consentite, che non sono nemmeno servite nella lotta al terrorismo. Premiato con 2.500 dollari agente che autorizzò le torture che portarono alla morte di un prigioniero
di Roberto Festa | 10 dicembre 2014


“L’uso da parte della Cia di tecniche avanzate di interrogatorio non ha rappresentato un mezzo efficace nella raccolta di informazioni”. E’ una delle accuse più esplicite, e devastanti, contenute nel “rapporto sulla tortura” preparato dalla Commissione Intelligence del Senato Usa. La Cia non soltanto ha costantemente mentito al presidente degli Stati Uniti e al Congresso, adottando pratiche ben più brutali rispetto a quelle già estreme che gli erano state consentite; ma queste pratiche, genericamente definite “tecniche avanzate di interrogatorio”, non sono nemmeno servite nella lotta al terrorismo. Da una prima lettura delle seimila pagine del rapporto, si può trarre una sorta di catalogo delle metodologie utilizzate. Le conclusioni della Commissione del Senato USA combaciano, e in alcuni casi sono ancora più dettagliate, con quelle raggiunte dall’International Committee of the Red Cross (ICRC) e da Human Rights Watch.

Alimentazione e reidratazione rettale
Uno dei capitoli più impressionanti raccontato nel rapporto della Commissione Intelligence riguarda proprio queste pratiche – che, come suggerisce uno dei capi della Cia “consentono un totale controllo del detenuto”. Almeno cinque prigionieri sono stati soggetti ad alimentazione rettale, tra cui il cospiratore della USS Cole, Abd al-Rahim al-Nashiri, che veniva messo a gambe all’aria durante il processo. Majid Khan, amico e consigliere della “mente” dell’11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed, riceveva per via rettale il suo pasto: un purè di humus, pasta al sugo, noci e uvetta, che venivano, appunto “infuse per via rettale” Mohammed fu invece sottoposto al processo di “reidratazione, senza che ve ne fosse una reale necessità”. La pratica, del resto, più che una logica medica, aveva un altro scopo: quello di soggiogare psicologimente il detenuto.


Uso dell’acqua gelata
Tra le pratiche più diffuse durante gli interrogatori della Cia, c’era sicuramente quello relativo all’acqua gelata. Gli abiti dei detenuti – c’è a questo proposito una testimonianza di Walid bin Attash resa alla Croce Rossa – venivano intrisi di acqua ghiacciata prima dell’interrogatorio, in modo da procurare uno stato continuo di sofferenza e disagio nell’imputato. In alcuni casi ai detenuti veniva chiesto di spogliarsi; li si bagnava con acqua gelata e poi li si ricopriva di un telo in plastica. Così, nudi e bagnati, senza possibilità di asciugarsi, venivano interrogati. Un prigioniero morì durante questi “interrogatori ghiacciati”. Si chiamava Gul Rahman e il rapporto del Congresso Usa offre ulteriori dettagli sulla sua morte. Rahman venne tenuto in isolamento durante i giorni precedenti l’interrogatorio; gli si impedì di dormire, venne più volte fisicamente abusato dai suoi carcerieri, sbattuto con la testa contro una parete, costretto a restare nudo in cella, dalla vita in giù. L’agente della Cia che approvò le misure contro Rahman, che poi portarono alla sua morte, non venne in nessun modo punito dai suoi superiori, nonostante l’uso di queste “tecniche avanzate di interrogatorio” non fosse stato approvato al quartier generale della Cia. Quattro mesi dopo la morte di Rahman, all’agente venne dato un premio di 2500 dollari per il suo “straordinario lavoro”.

...

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12 ... i/1261004/


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 11/12/2014, 9:48

info@statehouse.gm
info@moj.gov.gm
info@mofa.gov.gm
info@gambiaembassymadrid.es

President of the Republic
Yahya Jammeh
Private Mail Bag
State House
Banjul, The Gambia

Minister of Justice and Attorney General
Basirou Mahoney
Ministry of Justice
Marina Parade
Banjul, The Gambia

Your Excellency, Dear Minister,

I am a member of Amnesty International in Italy.

I am writing about the law introducing possible life sentences for the offence of aggravated homosexuality, enacted on 9 October in Gambia. In the last two weeks, the National Intelligence Agency (NIA) and the Presidential Guards have arrested at least four men, a 17-year-old boy and three women on suspicion of "homosexuality". Another six women have reportedly been arrested since 18 November. They could face a life sentence. Amnesty International considers people detained solely on the basis of their sexual orientation or gender identity to be prisoners of conscience.

I must call on the authorities to release any person detained on the grounds of their sexual orientation at the NIA headquarters, or any other location, immediately and unconditionally;

I urge stop intimidating, harassing and arresting people on the basis of their sexual orientation or gender identity, to order an independent investigation into reports of torture and other ill-treatment, and bring all those responsible to justice;

I call to repeal laws which criminalize consensual same-sex sexual conduct or deny the right to freedom of expression through choice of clothing, including the Criminal Code (Amendment) Act 2005, 2013 and 2014;

I ask you to fully implement the African Commission’s resolution 275 calling for the protection of people subjected to violence on the basis of their real or imputed sexual orientation or gender identity.


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Teoria del gender?

Messaggioda flaviomob il 11/12/2014, 22:54

Chi ha paura della “teoria del gender”?

Scritto da: Laura Bonaventura in Il Pesce Palla, Scuola 8 dicembre 2014


Il 14 novembre, Famiglia Cristiana ha pubblicato un decalogo per difendersi dalla diffusione della cosiddetta “teoria del gender“, stilato dal Forum delle associazioni famigliari dell’Umbria. Sia ben chiaro, Famiglia Cristiana, o chi per essa, ha tutto il diritto di esprimere la propria opinione e influenzare in tal senso i propri membri o lettori. Ed ha piena libertà nel perpetrare un modello sociale che ritiene sano e giusto.

Uomo e donna sono biologicamente diversi, su questo hanno perfettamente ragione. Che io sappia, infatti, nessuno dei miei amici maschi ha mai avuto il ciclo mestruale e l’unico uomo incinto che ho visto è stato al cinema: anno 1994, Arnold Schwarzenneger. Le zone grige a livello strettamente biologico sono rare ma ci sono e riguardano persone reali, che vivono una situazione di disagio reale che è bene conoscere e rispettare. Un’ulteriore differenziazione di genere imposta sin dall’infanzia però esiste, è davvero difficile negarlo ed è ancor più difficile giustificarne l’utilità. Parlo di cose che sono da decenni sotto gli occhi di tutti, ma di cui si parla solo da poco tempo, come i giocattoli. Lo so bene perché io ero una di quelle “femmine” a cui piacevano i giocattoli da “maschi” e a casa mia nessuno si faceva problemi, ma fuori qualche pettegolezzo girava e l’ho scoperto solo diversi anni dopo.

Il decalogo, però, pone anche un’altra questione. Richard Feynman disse che sua madre non gli chiedeva mai cosa avesse fatto a scuola, ma “cos’hai chiesto a scuola oggi?“. Le scienze cognitive e la psicologia hanno dimostrato che stimolare la curiosità negli studenti aumenta notevolmente la loro capacità di apprendimento. Nel decalogo (che poi sono dodici punti, ma lasciamo stare…), si dice

Controllate ogni giorno quale è stato il contenuto delle lezioni e almeno una volta a settimana i quaderni e i diari scolastici, parlandone con i vostri figli.

Custodite i vostri figli, alleatevi con loro, fornite loro fin da ora un adeguato supporto formativo e scientifico in base alla loro età così da proteggerli e prepararli a fronteggiare la teoria del gender.


L’idea che ho avuto leggendo e rileggendo l’articolo, è che si punti a una scuola in cui l’obiettivo primario è insegnare i famosi sani principi, in modo che i genitori, e solo loro, siano i fruitori del servizio educativo. I bambini vanno “protetti” e il loro percorso formativo deve essere costantemente tenuto sotto controllo, in modo che il genitore/cliente sia soddisfatto dell’investimento. Quella che loro chiamano teoria del gender* è un ostacolo non per quello che si presume insegni, ma perché incuriosisce ed è un ottimo spunto per mettere in discussione una società che cristallizza i due generi in ruoli e immagini ben definiti: un modo per fare domande e le domande, si sa, mettono a nudo il potere.

Sono i bambini e ragazzi, e non i loro genitori, ad avere il diritto e la capacità di chiedersi se il ruolo di maschi/femmine cui la società li ha predestinati [F_linea]è ciò che vogliono[/F_linea]. La formazione scolastica, volenti o nolenti, è un’esperienza che porta al distacco dal nucleo famigliare e al rifiuto di alcuni valori appresi dai genitori durante l’infanzia, se non altro per una questione generazionale. Crescere significa interagire, confrontarsi, addentrarsi con curiosità in luoghi sconosciuti, specialmente quelli che sono considerati un tabù, come la sessualità. Come scrive Douglas Hofstadter

l’io è un poema senza autore ed è un poema che scrive se stesso

Gli adulti possono pensare che l’omosessualità sia una malattia, che i transgender debbano sparire dalla faccia della Terra e che la genetica imponga alle bambine di giocare con la Barbie e ai bambini di giocare alla guerra. Ma i giovanissimi non sono una loro proprietà e meritano l’opportunità di costruirsi una coscienza propria e indipendente.

*La “teoria del gender” in realtà non esiste. Esistono “studi di genere” (o “gender studies” nei Paesi anglofoni) in ambito sociologico, che hanno poco o nulla a che fare con la presunta propaganda omosessualista denunciata dalle organizzazioni religiose. Ciò che si vuole fare nelle scuole è assai più vicino a quelle che ai miei tempi si chiamavano “educazione civica” e “educazione sessuale”. L’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), col patrocinio del Ministero delle Pari Opportunità, ha messo a disposizione degli insegnanti tre opuscoli (scuola primaria, scuola secondaria di primo grado e scuola secondaria di secondo grado) il cui scopo è fornire una guida non ideologica per discutere di bullismo, omofobia e sessismo con bambini e ragazzi.

http://www.qualcosadisinistra.it/2014/1 ... el-gender/


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 12/12/2014, 3:42

Sesso e disabilità: dove stanno le barriere?

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/11 ... e/1209157/

Claudio Figini
coordinatore della Cooperativa Sociale COMIN e presidente del CNCA Lombardia


Sulla relazione tra eros e handicap mi sono interrogato tante volte, ma non credo di aver mai ricercato delle risposte, né tantomeno di averle messe nero su bianco. Lo faccio adesso dopo essermi confrontato con i miei colleghi educatori impegnati nell’assistenza domiciliare e scolastica a ragazzi disabili.


Al tema dell’affettività e della sessualità nelle disabilità, la cooperativa che coordino ha dedicato spazio nel piano formativo 2014, perché intende proporre strumenti agli operatori ma, ancora prima, sondare prospettive e spazi possibili per parlarne. Al tempo stesso questa diventa l’occasione per imparare a stare nelle domande che gli stessi genitori dei ragazzi disabili ci pongono, accomunati spesso da un senso d’impotenza e da un sentimento di dolore. Domande come queste ruotano intorno a una questione di fondo e cioè: siamo pronti a riconoscere le persone disabili come soggetti di desiderio e non come portatrici di un corpo malato?

Se ho scelto di dedicare un post del mio blog a questo tema è perché ritengo che parlarne abbia prima di tutto un valore civile. Non mi preme trovare soluzioni, ma indagare, con l’aiuto di voi lettori, la natura delle barriere che, salvo rare eccezioni – penso all’esperienza della Città di Torino – hanno contribuito a generare un ritardo sia nella ricerca, sia nella pratica.

Ne è passato di tempo dal 1993, anno in cui l’Assemblea Generale dell’Onu pubblicava il documento che riconosce a tutte le persone con handicap, sia fisico sia mentale, il diritto di fare esperienza della propria sessualità. Di viverla all’interno di una relazione, di avere figli, di essere genitori, di essere sostenuti nell’educazione della prole da tutti i servizi che la società prevede per i normodotati e anche, non ultimo, il diritto a ricevere un’educazione sessuale.

Eppure gli stereotipi culturali che ostacolano il riconoscimento reale di questi diritti emergono ancora a ogni tentativo di socializzare il tema.

Se l’intento principale di ogni esperienza di accompagnamento per l’handicap è il miglioramento della qualità della vita e, come fondamento irrinunciabile, il concetto di massima autonomia e autodeterminazione possibile per la persona disabile, allora è altrettanto vero che tale presupposto non è applicato con lo stesso agio in ambito sessuologico. La sessualità rimane una dimensione dell’esperienza umana molto spesso esclusa dall’attenzione di chi affianca o vive con persone disabili.

Sarà anche (o soprattutto?) per questo che di affettività e sessualità nelle disabilità se ne parla fin dagli anni ’70, ma che a molti il tema appare ancora inedito? In fondo, se ne parla ciclicamente, cosicché il tema emerge in superficie per poi risommergere nuovamente e a lungo.

Forse la risposta è sin troppo semplice. Se non siamo pronti a considerare chi è affetto da disabilità non soltanto come un soggetto debole da accudire e da proteggere, ma come una persona, è ancora più difficile fare i conti con un’affettività, una fisicità e l’esigenza di relazioni degne di essere vissute, esattamente come accade per i cosiddetti normodotati.

Se così è, allora – come scrive Silvano Agosti – «la tenerezza, la sessualità e l’amore devono stare sempre uniti insieme, esattamente come cuore, polmoni e fegato devono stare nello stesso corpo altrimenti si tratta di una persona o morta o invalidata.» Se ciò è vero è vero per tutti. Tenere separati questi aspetti – continua Agosti – rischia di continuare a produrre storture e infelicità.

E allora, le barriere che immaginiamo abbiano la tenerezza, la sessualità e l’amore nelle disabilità, altro non sono che proiezioni delle nostre raffigurazioni culturali, sociali, religiose e psicologiche.

La sessualità e l’affettività di per sé, non sono un problema per la persona disabile, possono diventarlo semmai per chi deve gestirle, educarle, accompagnarle.

Per capirlo basterebbe vedere anche solo il trailer del lungometraggio Sesso, amore e disabilità curato dalla dott.ssa Priscilla Berardi, leggere Apnea di Lorenzo Amurri, che disabile ci è diventato a seguito di un incidente, o L’accarezzatrice di Giorgia Würth che parla della figura dell’assistente sessuale, riconosciuta in altri Paesi, ma non in Italia. Al di là di come la pensiamo.

Quindi, diciamoci pure che parlare di affettività e sessualità nelle disabilità vuol dire semplicemente farlo entrando dalla finestra (della disabilità) anziché dalla porta (della nostra sessualità).


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 15/12/2014, 1:26

http://espresso.repubblica.it/internazi ... 1?ref=fbpe

Diritti umani
Quando la libertà di non credere è un reato
Dall’Arabia Saudita al Pakistan gli atei e agnostici sono vittime di discriminazioni sistematiche: condanne, punizioni, campagne d’odio. Fino alle pena capitale per chi abbandona la religione di stato. Tutto nel rapporto dell’International Humanist and Ethical Union
di Michele Sasso



Condanne per apostasia. Leggi discriminatorie. Repressione per chi non crede in nessun Dio.
Un mondo da incubo, dove la spartizione tra diritti dei cittadini e doveri dello Stato laico non esiste.

E gli atei e agnostici sono vittime di discriminazioni sistematiche: in alcuni Paesi, come in Italia, schiacciati da un sistema politico-economico che privilegia le confessioni religiose, in altri sono oggetto di campagne d’odio, fino a rischiare la condanna a morte.

È quanto emerge dal Freethought Report 2014 , promosso dall’International Humanist and Ethical Union (l’Uaar è membro per l’Italia) e diffuso oggi, in concomitanza con la giornata internazionale dei diritti umani.

...


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 20/12/2014, 8:28

“Si è sollevata una nuvola”. Con settant’anni di ritardo.

Nella primavera del 1944 venne giustiziato sulla sedia elettrica. Aveva 14 anni. Ma George Stinney jr, il più giovane condannato a morte nella storia degli Stati Uniti, era innocente. La verità è arrivata insieme alla giustizia, ma dopo 70 anni. La sua è una storia che balza fuori dagli anni bui del razzismo. Il ragazzino di colore era andato al patibolo in Carolina del Sud per il duplice omicidio di due bambine bianche trovate morte con il cranio fracassato.

Mary Emma Thames e Betty June Binnicker, 7 e 11 anni, vennero massacrate a colpi di spranga. Stinney fu arrestato dopo che alcuni testimoni avevano raccontato di averlo visto raccogliere fiori insieme alle due vittime. Il ragazzo confessò. Ma quella verità venne estorta con la violenza. Venne condannato senza dubbi da una giuria composta da soli bianchi. Dopo nemmeno due mesi finì tra le mani del boia, a sole 12 settimane dall’arresto. Ma nel 2004 uno storico si mette a studiare il caso. Scopre – come riporta il Corriere della Sera – i buchi neri che costellarono le indagini e il processo: le prove contro George erano pochissime. Nel 2013 viene chiesta ufficialmente la riapertura giudiziaria. E a gennaio 2014 il giudice Carmen Mullen ascolta le testimonianze del fratello e delle sorelle di Stinney jr, e di altre personme. I risultati dell’autospia vengono riletti e crollano. L’epilogo oggi, con l’annullamento della condanna. “Lo stato della South Carolina compì una gran ingiustizia” dice oggi il giudice Mullen. “Si è sollevata una nuvola”, si commuove la sorella minore, Katherine Robinson, oggi ottantenne, che per anni si è battuta per far riaprire il caso.

Immagine

http://www.giuliocavalli.net/2014/12/19 ... i-ritardo/


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 20/12/2014, 17:52

Maratona di diritti umani

http://maratona.amnesty.it/


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 26/12/2014, 0:47

Reato di tortura: rispondete al nostro minuto di silenzio!


di Susanna Marietti
Coordinatrice associazione Antigone


Si chiude anche questo 2014 e in Italia la tortura non è ancora prevista come un reato specifico. Ci sono le lesioni, i maltrattamenti le minacce. Certamente. Ma troppe volte, dai fatti di Genova 2001 in poi, abbiamo visto che non bastano a punire efficacemente chi si macchia del reato infame di usare violenza contro un corpo affidato alla sua cura e custodia mentre rappresenta ufficialmente il nostro Paese.

Lo scorso 10 dicembre, Giornata Mondiale dei Diritti Umani, presso la Camera dei Deputati, abbiamo voluto fare un minuto di silenzio per tornare nuovamente a chiedere una legge che introduca il reato di tortura nel nostro codice. Amnesty International, Arci, Cittadinanzattiva, Antigone e Cild (la neonata Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili) hanno chiamato i parlamentari e le altre associazioni a unirsi a loro. Eravamo in tanti. Con noi è voluto stare anche il cantante romano Piotta che, come dice nei suoi videoclip, “odia gli indifferenti”.

Ed eravamo alla Camera dei Deputati perché è lì che la legge è oggi pendente e attende un voto definitivo.
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Abbiamo spiegato le nostre ragioni – come se ci fosse ancora bisogni di spiegarle – e poi abbiamo chiesto a tutti di stare zitti per un minuto, a contrapporre il nostro silenzio rispettoso dei troppi Stefano Cucchi che abbiamo incrociato sulla nostra strada a quello omertoso delle istituzioni. Chi sa parli, chiedeva il Fatto Quotidiano in occasione della sentenza di appello del processo Cucchi. Ma non solo chi sa non ha parlato: spesso non lo hanno fatto neanche i vertici di quelle forze dell’ordine che avrebbero potuto chiedere con forza uno strumento giuridico per differenziare al proprio interno le tante brave persone dai pochi torturatori.

Era l’inizio del 2012 quando un giudice di Asti scriveva nero su bianco in una sentenza che gli eventi che si era trovato a giudicare corrispondevano perfettamente alla definizione che della tortura danno le Nazioni Unite, ma che l’Italia non gli metteva a disposizione gli strumenti legislativi sufficienti a punire i poliziotti penitenziari che lui aveva dovuto necessariamente lasciare in libertà.

Ed è recente la sentenza che scrive che “l’inadempienza dell’Italia nell’adeguarsi agli obblighi della Convenzione Onu crea una situazione paradossale in cui un reato come la tortura che a determinate condizioni può configurare anche un crimine contro l’umanità, per l’ordinamento italiano non è un reato specifico”. È la Suprema Corte di Cassazione a parlare, spiegando perché l’ordinamento italiano non è stato capace di consentire ai giudici di estradare in Argentina il sacerdote Franco Reverberi, come il Paese sudamericano chiedeva. In qualità di cappellano militare, Reverberi è accusato di aver partecipato alle atroci torture organizzate dal regime di Videla.

Credo non ci sia bisogno di andare avanti con gli esempi. Credo che ogni persona intellettualmente onesta sappia che Stefano Cucchi non è caduto dalle scale, che la tortura in Italia è praticata, che non approvare la legge che introduce il reato di tortura come ci chiedono di fare le Nazioni Unite da decenni significa lanciare un segnale culturale di tracotanza e di impunità delle forze dell’ordine del nostro Paese e che è per questo che tale legge – a differenza di tante altre che introducono dall’oggi al domani nuovi reati e nuovi innalzamenti di pena da dare in pasto all’opinione pubblica – trova sempre un qualche blocco sul proprio cammino.

Sta succedendo anche adesso. In Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati per adesso ci si è limitati a rinviare la discussione, che poteva concludersi tranquillamente alcune settimane or sono, a dopo le vacanze natalizie. Se ne riparla nel 2015. Siamo inadempienti davanti al mondo da un quarto di secolo, cosa volete che sia un anno in più… Ma nel nuovo anno torneremo a chiedervi conto di quello che state facendo. Le tantissime associazioni e i tanti parlamentari democratici che il 10 dicembre erano con noi non vogliono più il silenzio delle istituzioni che ci dovrebbero rappresentare.

Rispondete con le vostre parole al nostro minuto di silenzio: se credete che la tortura non debba essere punita fatevi carico di spiegarlo pubblicamente ai cittadini e alle Nazioni Unite. Altrimenti approvate subito la legge che la rende reato.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12 ... o/1295018/


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