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Gli statalisti trasversali

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Gli statalisti trasversali

Messaggioda franz il 19/10/2013, 9:36

Gli statalisti trasversali

Circola in questi giorni un appello firmato da un gruppo di economisti — fra i quali Francesco Giavazzi che del tema si è già occupato sul Corriere — contro il nuovo statalismo, le azioni neo-protezioniste del governo Letta. I sottoscrittori fanno riferimento a tre interventi a gamba tesa del governo volti a bloccare gli investitori stranieri: l’operazione che ha portato la Cassa depositi e prestiti al pieno controllo di Ansaldo Energia, quella su Telecom Italia e, infine, la ristatalizzazione di fatto di Alitalia attraverso l’intervento delle Poste.

In tutti e tre i casi, anziché lasciare che il mercato seguisse il suo corso e che le suddette aziende venissero acquisite da investitori disposti a rischiarvi i propri soldi, si è scelta, cambiando le regole ex post, a giochi ormai aperti, la via statalista. Pessimi segnali inviati ai mercati da quello stesso governo che diceva di volere attirare capitali esteri, di voler far cambiare idea a coloro che non investono in Italia perché ritengono il nostro Paese inaffidabile. Le vicende di cui si occupa l’appello, peraltro coerenti con una lunga tradizione statalista, hanno di singolare il fatto che si devono all’azione non di un governo di sinistra ma di un governo ove la destra ha un peso pari a quello della sinistra. Che un governo di sinistra possa decidere interventi di tal fatta lo si può pure capire. Perché lo esigono i sindacati e perché, nei ranghi della sinistra, sono tanti quelli che continuano a preferire l’intervento pubblico alla libera competizione di mercato.

L’unico problema fastidioso davanti al quale può trovarsi la sinistra quando statalizza è che le può accadere di mettersi in urto con quella Europa di cui si considera la più fedele interprete italiana. Come sta accadendo nella vicenda Alitalia: è difficile dar torto agli inglesi mentre chiedono la condanna dell’Italia per violazione dei trattati in materia di concorrenza. Ma che dire della destra? Non toccherebbe a lei la più fiera difesa del mercato? Non toccherebbe alla destra contrastare le pulsioni stataliste della sinistra? E invece no. Queste operazioni si sono fatte col consenso e l’attiva partecipazione del Pdl. L’anomalia italiana è che in questo Paese non è statalista solo la sinistra.

Lo è anche la destra. Si può capire, naturalmente, che sulla vicenda Alitalia il Pdl abbia la coda di paglia e voglia in qualche modo coprire l’errore che, a suo tempo, venne commesso da Berlusconi quando sbarrò il passo a Air France, ma questo da solo non dovrebbe essere un buon motivo per razzolare in modo opposto a come si predica. Non ha molto senso battersi contro l’Imu o altre tasse e poi lasciare che l’intervento pubblico dilaghi. Poiché le tasse alte sono solo un sintomo, o l’effetto, di una presenza statale che non si sa contenere né ridurre. Prima di contrapporsi fra lealisti e ministeriali quelli del Pdl dovrebbero riflettere su che cosa vorranno proporre al Paese quando arriverà il momento di farlo.

Il che implica anche una presa d’atto delle ragioni di fondo dei fallimenti dei governi Berlusconi, del fatto che le (troppe) parole spese sulla «rivoluzione liberale» non fossero accompagnate da atti in grado di dare davvero senso, e credibilità, a quelle parole. Piuttosto che sui gradi di fedeltà al capo sarebbe forse più sensato, per il Pdl, dividersi tra chi pensa che non ci siano autocritiche da fare e chi pensa che sia infine necessario cambiare registro.

19 ottobre 2013 www.corriere.it
Angelo Panebianco
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Re: Gli statalisti trasversali

Messaggioda franz il 19/10/2013, 10:08

Panebianco ragiona in termini di categorie politiche come destra e sinistra ma il problema dell'anomalia italiana è che ad essere statalista è tutto il paese, l'elettorato, sindacati, forze sociali, la società civile.
Tutti o quasi in qualche modo dipendono dallo Stato, dalle decisioni dello stato, dal grasso che cola dallo Stato.
Non solo i dipendneti dello stato, i pensionati, la classe politica centrale e locale. Anche le aziende di stato e tutto quando dipende dagli investimenti e sussidi statali.
Solo che la macchinetta si è rotta e di grasso ne cola sempre meno.
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Re: Gli statalisti trasversali

Messaggioda pianogrande il 19/10/2013, 10:32

Un paese dove i primi famelici ed implacabili mungitori della mucca statale sono i politici che dovrebbero governare il paese e non legiferare sui propri stipendi e i propri privilegi.
Tutto il resto segue a ruota.
D'altra parte, questi politici rappresentano perfettamente il paese che li vota e li sostiene (a pagamento, mica gratis).
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Re: Gli statalisti trasversali

Messaggioda trilogy il 19/10/2013, 10:51

il problema aggiuntivo è che la cassa depositi e prestiti, intervento dopo intervento, sta diventando una conglomerata priva di qualunque logica industriale
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La multinazionale della partitocrazia

Messaggioda franz il 19/10/2013, 15:38

La multinazionale della partitocrazia
Alberto Orioli, da Il Sole 24 Ore del 14/10/2013

Valgono una grande azienda. Pesano come cinque stabilimenti Fiat messi insieme, ma "fabbricano" poltrone, raccomandazioni, servizi a prezzi decisi senza il confronto-conforto del mercato e della concorrenza, "costruiscono" atti di pura interdizione spesso inutili se non a esprimere un potere formale di assenso o diniego dietro il quale si nasconde un'autorità (o un potere) raramente una intelligenza o una vera ragione.

Sono oltre 19mila i soli consiglieri di amministrazione delle tante società pubbliche e partecipate dallo Stato e dagli Enti locali: naturalmente non tutte sono società improduttive o inutili, tutt'altro. Ma anche se depurato dalla consistenza dei numeri delle aziende sane, produttive e strategiche, l'esercito di chi vive di sottogoverno è enorme. Sono quasi 7.800 gli enti, quelli che chiamano i cittadini mai clienti, solo utenti.
E, quel che stupisce di più, cresce. Cresce anche se le aziende perdono (più di un terzo ha bilanci in rosso) pur continuando a creare occupazione ben oltre ogni compatibilità (sono oltre 300mila gli addetti complessivi, un bel gruzzolo di voti).
Cresce, quel numero di enti, dell'8% in un anno; con buona pace delle campagne sull'invadenza dei politici professionisti e dei burocrati del sotto-potere locale e nazionale. Per le società che fatturano più del 90% direttamente all'ente controllante (come è la stragrande parte delle società dei Comuni) doveva scattare la tagliola dell'alienazione, ma naturalmente è intervenuta una proroga (e poi ne arriverà un'altra e un'altra ancora...). In quasi un decennio sono stati migliaia i dibattiti sulla necessità di tagliare i costi della politica e della sotto-politica, ma quella multinazionale figlia della partitocrazia, ramificata su scala nazionale e su scala locale ha proliferato in silenzio. A volte anche alimentata da campagne di consenso mistificate nelle premesse, come è stata la battaglia sul referendum per l'acqua pubblica.

Battaglia che ha confuso e travolto ogni razionalità nella discussione per un servizio da affidare a privati con gara trasparente, mantendendo la titolarità pubblica di quel bene, ma cercando di garantirne l'efficienza di gestione (oggi la rete idrica ha perdite per il 38% e avrebbe bisogno di investimenti colossali).
Gli stipendi complessivi delle 7.800 società costano 15 miliardi: chissà, forse con un piccolo taglio, quel miliardo e 600 milioni che serve a far tornare il deficit sotto il 3% poteva anche venire da qui. Molte delle società locali nulla hanno a che fare con il mercato; sono cronicari per politici trombati, per sindacalisti a fine corsa, per burosauri senza arte nè parte. Hanno dato vita a un fenomeno studiato da un po': quello del cosiddetto "socialismo municipale", dove le partecipate soprattutto da Comuni, Province e Regioni gestiscono comodi business in house, cioè senza gare.
Non solo non è stato possibile abolire le Province per la farraginosità del percorso istituzionale necessario a raggiungere lo scopo, ma nemmeno si è disboscata quella giungla parassitaria che vive di gettoni di presenza.

"Stato e mercato" è un dibattito alto, da rivista scientifica: accompagna da sempre la storia del pensiero economico. E accompagna anche la cronaca di un Paese dove l'assetto capitalistico non sarà mai compiuto fino a quando servirà la supplenza pubblica, dall'azienda dei telefoni a quella del trasporto aereo.

Però, "Stato e mercato" significa che più la presenza pubblica è invasiva, meno si liberano risorse per altri scopi (solidarietà e welfare) e, soprattutto, meno si configura un Paese dove abbia cittadinanza il premio al talento, la libera iniziativa privata, il merito per scegliere la classe dirigente. Non è più tempo di fare spallucce, di tollerare la levantinità di quel modello di creazione di consenso e di redditi. L'Italia è in cerca di una strada per la crescita che sia solida e duratura: da questra strettoia si passa all'età della modernizzazione. Ma una cosa è certa: se il Paese non si libera prima di questa zavorra improduttiva e senza senso, in quello "stargate" che ci deve portare al futuro non passerà nessuno.
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Re: Gli statalisti trasversali

Messaggioda flaviomob il 22/10/2013, 18:22

Il problema è che di solito chi non è capace di fare funzionare lo Stato non sa nemmeno gestire un mercato corretto, libero, ecosostenibile e concorrenziale. E viceversa. :cry:


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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Re: Gli statalisti trasversali

Messaggioda pianogrande il 23/10/2013, 10:05

flaviomob ha scritto:Il problema è che di solito chi non è capace di fare funzionare lo Stato non sa nemmeno gestire un mercato corretto, libero, ecosostenibile e concorrenziale. E viceversa. :cry:

Ottima sintesi alla quale mi accodo aggiungendo che i ladri riescono a rubare sia nel pubblico che nel privato che nelle varie vie di mezzo.
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