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Pd, se si scinde è meglio

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: Pd, se si scinde è meglio

Messaggioda Manuela il 30/04/2013, 10:32

pianogrande ha scritto:"...... ma che non può esimersi dalla conclusione che tutta questa generazione deve cedere il passo ad un'altra,..."
Manuela


Tutta?
E' tutto così semplice?
La nuova generazione come la selezioniamo?
Sono buoni tutti?
Mettiamo un confine preciso e uno si ritrova vecchio il giorno dopo?
Proporrei un esame del tipo rinnovo patente di guida.
Naturalmente, aumentando la frequenza delle verifiche con l'aumento dell'età.

Se non abbiamo la capacità (e qualche volta il coraggio) di giudicare l'azione dei singoli cosa diavolo vogliamo rinnovare?
Possibile che serva sempre un parametro esterno o oggettivo, magari scientifico e comunque neutrale e comunque che prescinda dalla nostra personale opinione e presa di posizione?
Finché mancheranno questa capacità e questo coraggio, siamo tutti vecchi.



No, la questione non è affatto questa. Come si seleziona la classe dirigente è tutt'un'altra faccenda. Un'altra discussione. Qui si parla delle conclusioni di Cacciari, che ad alcuni di noi non sono piaciute, e si dà un giudizio sull'operato di una classe dirigente fallimentare. Di come sceglierne un'altra, e quali requisiti deve avere, ne parliamo altrove, perché non c'entra proprio niente con quello che ho sostenuto; e anche del ricambio, e delle sue modalità, che tu liquidi sarcasticamente, dovremmo parlare. Forse, se ne avessimo parlato prima, invece di tenerci abbarbicati all'usato sicuro (ed uso una locuzione venuta in auge con Bersani, ma la filosofia dell'usato sicuro ha percorso tutti questi decenni), forse non saremmo a questo punto. E l'esercizio di giudicare l'azione dei singoli, non ci esime affatto da un giudizio generale sulla classe dirigente presa nel suo complesso: anche perché temo che, parafrasando e André... nessuno si ritenga assolto, siamo tutti coinvolti.

Poi capisco anche perché si cercano tutte le scappatoie: non è sotto scacco solo la classe dirigente, ma tutti noi, che l'abbiamo in vari modi e in vari tempi sostenuta: più o meno, convintamente. Ho votato molte volte "turandomi il naso", e probabilmente ho sbagliato. Sono coinvolta, generazionalmente e personalmente. E' anche la mia sconfitta. Non mi piace, ma non posso fare a meno di accettarlo.
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Re: Pd, se si scinde è meglio

Messaggioda franz il 30/04/2013, 13:57

ranvit ha scritto:Concordo solo in parte....innanzi tutto (e neanche vado oltre ad analizzare altri argomenti) la divisione in cattolici liberali e neosocialisti....è una visione vecchia che testimonia come anche Cacciari non si è adeguato ed aggiornato :D Basta portare a desempio qui nel forum che favorevoli a REnzi si sono espressi franz, Lodes, Manuela ed il sottoscritto che certamente non siamo cattolici 8-) .

Scusate la latianza dovuta ad eccesso di impegni lavorativi e non, che mi fa reagire in ritardo.
Sono anche io d'accordo sul fatto che le vecchie divisioni (alcune, non tutte) oggi non hanno piu' senso tuttavia è bene precisare che quando si critica il passato si usa come metro quello delle divisioni che appunto lo hanno attraversato.
Criticare decisioni passate usando il metro di oggi lascia il tempo che trova.

Inoltre la divisione citata sarà anche vecchia ma non è affatto superata, nella sostanza: ha solo cambiato forma concreta. La sostanza è sempre, per quanto riguarda le politiche economiche su cui ci si divide, tra apertura ai mercati (liberalismo) e chiusura protezionististica (protezionismo sindacale, ambientale, doganale). Questo conflitto è ancora attuale ed è caso mai caduta la sua sub distinzione tra cattolici liberali e cattolici socialisti. Il raggruppamenti oggi è tra pragmatismo e populismo ed osservo come in vari realtà europee stiano nascendo fronti "protezionistici" comuni tra forze socialiste e forze conservatrici di destra e dove questo non accade si osserva un flusso elettorale notevole da partiti cattolici e socialisti di massa verso partiti populisti.

Non sostengo di interpretare fedelemente il pensiero di Cacciari ma forse indica una separazione tra un'anima pragmatica ed aperta (non priva di aperture ed attenziona alla socialità) da una protezionistica, chiusa, antagonista e social-populista.

Le due anime insieme non si potenziano: si annullano, si annichilano.
Soprattutto in tempi di crisi economica, la somma non è credibile ed è pari a zero.
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Re: Pd, se si scinde è meglio

Messaggioda Robyn il 30/04/2013, 15:09

Forse Cacciari si lascia prendere troppo dallo sconforto anche se può avere parzialmente ragione,ma la risposta non è la separazione e il ritorno agli antichi streccati direi completamente quasi superati.Quello che mi dà fastidio è che Nichi Vendola insegua populisticamente i Grillini.Ormai una parte di quell'elettorato se ne è andato.Noi per qualche mese abbiamo inseguito i Grillini,ma questo perchè eravamo completamente all'oscuro circa la natura di questa forza,anche se può avere qualche ragione circa le disfunsioni della politica.La strada non è quella dell'inseguimento ma proporre una propria idea.Di certo una parte di elettorato si può anche recuperare ma non è quello populistico.In merito a Massimo Cacciari ho avuto un lunghissimo periodo di legame culturale che spero di non aver perso
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Re: Pd, se si scinde è meglio

Messaggioda flaviomob il 30/04/2013, 22:42

Certo che il fulcro della questione è la selezione della classe dirigente, come giustamente controbatte Pianogrande. Non è neppure vero che non ci sia stato rinnovamento: Occhetto è stato "rottamato" in malo modo dal Dalemismo imperante, il centrosinistra ha cambiato candidato praticamente ogni cinque anni (addirittura tre presidenti del consiglio diversi in una sola legislatura) per poi riconoscere che solo Prodi ce la faceva contro Berlusconi, il principale partito della sinistra è transitato per ben quattro diverse ragioni sociali dal crollo del muro di Berlino in poi.
Cacciari non ha tutti i torti a reclamare ciò che in tutte le democrazie occidentali è un fatto assodato: da una parte socialisti o socialdemocratici (democratici in USA), dall'altra chi è più legato alla tradizione, al conservatorismo o comunque ad una visione che ha per riferimento principi ancorati nel passato (valori legati alla fede come nei partiti popolari o Cdu-Csu, conservatori monarchici in Inghilterra, patria e famiglia e "vecchia America" nei repubblicani), stabili e rassicuranti. In Italia si è avuta da un lato la necessità, visto l'anomalo fenomeno berlusconiano, di coalizzare il cattolicesimo più "adulto" e la tradizione della sinistra post comunista, magari con qualche "paravento" liberalsocialista, in un'alleanza in cui le contraddizioni non sono mai venute meno; dall'altra questa "strana coppia" ha avuto anche dei vantaggi in termini di gestione del potere amministrativo e dei comportamenti poco virtuosi in alcune realtà locali ed ha partecipato con Berlusconi, colpevolmente, alla spartizione di parecchie "torte" in cambio di tolleranza e lassismo nei confronti di parecchie questioni. Il tema generazionale non ci dice nulla sul fallimento di questa alchimia: considerando la distanza, per esempio, tra Civati, Letta e Renzi si vede benissimo che le divisioni possono perpetuarsi ancora all'infinito, indipendentemente dal dato anagrafico di chi ne è esponente. Oltretutto se il tema del ricambio generazionale diventa centrale, dovremmo forse nasconderci quello della collocazione politica di un Renzi che sceglie Ichino, il quale appena può si smarca e sceglie la formazione politica appena alla destra del PD? E se il tema generazionale diventa indipendente da quello della collocazione politica - che c'è, esiste ed anzi è centrale nell'analisi del fallimento politico degli ultimi vent'anni - allora cosa gliene frega ad un "giovane" di insistere con le vecchie carampane dei partiti della seconda repubblica? C'è già Grillo, con forme di rappresentanza molto legate alla democrazia diretta (o eterodiretta? mah!) sul web, col record di deputati e senatori più giovani in parlamento (idem per gli amministratori locali).
No, la questione è prettamente politica (e ci scommetto che anche tra i più giovani eletti del PD c'erano parecchi dei 101 "franchi tiratori", segno che si sono perfettamente adeguati e mimetizzati!). Una sinistra (o centrosinistra) che per vent'anni insegue la destra, al di là del fatto che questo si pone all'interno di una tendenza macroscopica legata ai processi di globalizzazione e alla svolta reaganiana-thatcheriana che ha condotto all'attuale situazione economico-finanziaria, non può generare un autentico cambiamento e non può esistere se non all'interno di una contraddizione irrisolvibile. Ovvero: io ti chiedo i voti per governare al posto di Berlusconi (che è abnorme), non per fare una politica alternativa a Berlusconi e alla destra. E' questo il peccato originale: oltretutto Bersani l'ha reiterato per ben due volte in poco più di un anno. Prima appoggiando il governo Monti quando si poteva andare a votare e ottenere un ampio margine di vittoria contro una destra ridotta al lumicino, poi, dopo un periodo di grande partecipazione popolare alle primarie e alle parlamentarie che stava ridando linfa alla coalizione del PD, continuando ad inseguire Monti durante la campagna elettorale, tando da indispettire milioni di elettori che nelle ultimissime settimane prima del voto, in buona parte a sondaggi già "chiusi", fuggivano dal centrosinistra per approdare alle Cinque Stelle.


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Re: Pd, se si scinde è meglio

Messaggioda franz il 01/05/2013, 8:46

flaviomob ha scritto:In Italia si è avuta da un lato la necessità, visto l'anomalo fenomeno berlusconiano, di coalizzare il cattolicesimo più "adulto" e la tradizione della sinistra post comunista, magari con qualche "paravento" liberalsocialista, in un'alleanza in cui le contraddizioni non sono mai venute meno; dall'altra questa "strana coppia" ha avuto anche dei vantaggi in termini di gestione del potere amministrativo e dei comportamenti poco virtuosi in alcune realtà locali ed ha partecipato con Berlusconi, colpevolmente, alla spartizione di parecchie "torte" in cambio di tolleranza e lassismo nei confronti di parecchie questioni.

In effetti partirei dalla seconda. La prima repubblica era caratterizzata dalla mancanza di ricambio al potere e questo ha condotto poi alla tangentopoli che conosciamo. La seconda invece partiva con la promessa dell'alternanza ma le "anomalie" italiane hanno reso di fatto possibili solo due coalizioni che si reggevano sulla denuncia dell'anomalia altrui. Per il CS l'anomalia era Berlusconi (e non si puo' dire che questo non sia vero) ma per il CD l'anomalia era un governo ancora condizionato pesantemente dai niet e dai mal di pancia dei post-comunisti (appoggi esterni, sponde a correnti interne, poi anche al governo) e dal grande sindacato della sinistra.

Naturalmente flavio vede solo un'anomalia ed il fatto che non veda l'altra (rispetto a come sono le componenti soclialdemocratiche, liberal o labour nel mondo) è frutto della sua legittima visione prospettica. Ma bisogna ammettere che anche il centro sinitra italiano ha storicamente la sua "anomalia". Alla prova dei fatti il CD non ha mai fatto riforme liberali ed il CS non è mai riuscito a fare riforme sociali (altrimenti non saremmo qui a discutere sul reddito di cittadinanza a 20 anni dalla seconda repubblica).

Alla prova dei fatti entrambi hanno condotto politiche sostanzialmente conservatrici, nel senso classico di resistenza al cambiamento, della conservazione dei rapporti di potere esistenti e del complesso di norme che proteggono questi sistemi di potere, gestendo il gestibile e perpetuando la tangentopoli e gli sprechi della casta gerontocratica.
Naturale (e positivo) che in questa situazione nasca una nuova forza d'opposizione.

Rispetto al titolo del thread, per me anche il PDL finirà per spaccarsi e nel giro di pochi anni anche M5S seguirà la strada (o si esaurirà per eccesso di espulsioni). Quello che auspico è che si arrivi finalmente a due raggruppamenti in cui si riconoscano da un lato i conservatori di entrambi i poli e dall'altro i riformisti pragmatici, presenti un po' ovunque nel paese.
Sperando che questo succeda prima che il paese piombi nel baratro.
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Re: Pd, se si scinde è meglio

Messaggioda flaviomob il 01/05/2013, 9:43

Il fatto che il CS non abbia fatto riforme sociali o le abbia fatte in modo insufficiente e raffazzonato è argomento su cui evidentemente concordo.
Non sono invece d'accordo sulla causa: ed è proprio l'adesione a principi classisti, che esaltano la diseguaglianza e la ricattabilità del lavoratore, che dev'essere più sottomesso al capo invece che emancipato, a garanzia della "stabilità" ed efficienza del sistema, ad aver impedito l'istituzione non solo del reddito minimo garantito ma di tutti gli ammortizzatori sociali già previsti da Biagi come contropartita per l'introduzione del lavoro interinale. Si è tenuto invece solo il precariato senza dare nulla in cambio, con la retorica che fosse meglio creare un posto di lavoro in più con meno diritti. Ora vediamo benissimo com'è andata a finire.


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Re: Pd, se si scinde è meglio

Messaggioda flaviomob il 01/05/2013, 11:06

I "pezzi staccati" di una sinistra che non smette di morire
Qualche idea per ricominciare
EffeEmme

Pezzo staccato è il sintagma che Lacan utilizza nel seminario sull’angoscia[1] per definire quel “modulo d’oggetto” che caratterizza l’epoca moderna fatta da parti che tendono al tutto pur non essendo che porzioni limitate ad una funzione. Parti che costituiscono un tutto, abbiamo detto. Lacan si chiede: qual è il valore del “pezzo” quando l’insieme di cui fa parte “non funziona più”? Una volta che la parte smette la funzione svolta all’interno del sistema, cosa resta di essa? Che ce ne facciamo di un “pezzo staccato” «quando il tutto al quale esso si rapportava è andato a rotoli, è diventato desueto?»[2]

La risposta più ovvia è: niente! Un pezzo staccato dal suo contesto è stupido e non ha alcun valore, è una «figura fuori senso, una figura fuori dal senso». Solo in quel momento, però, può avere inizio il suo riutilizzo ed eventualmente un’analitica sulla sua funzione. Quanto detto può essere applicato al Partito Democratico che, durante le elezioni del Presidente della Repubblica, ha definitivamente mostrato di non esistere come tutto e di «non servire a niente». I pezzi che lo costituiscono sono definitivamente andati in frantumi e non si trova chi ne dichiari la proprietà per farli sparire, per toglierli di mezzo. Marini, Bindi, Veltroni, Fioroni, D’Alema, Finocchiaro, tanti pezzi che, una volta fuori dal tutto -il Partito- mostrano la funzione che avevano fin lì svolto all’interno dell’insieme: perpetuare il proprio godimento che, come ben sapeva Lacan, è «ciò che non serve a niente». Con linguaggio popolare, spesso chiaro come pochi altri, diremmo: ognuno tirava acqua esclusivamente al proprio mulino e ciò ha determinato la fine del “tutto”. Le diverse correnti, i rigagnoli, i torrenti di quel tutto chiamato Partito Democratico non hanno fatto altro che avvalorare il proprio aspetto gaudente fino al momento in cui la tensione conseguente lo scontro dei rispettivi godimenti ha mandato in cortocircuito l’insieme.


Ma perché è avvenuto ciò?

La sinistra italiana, dalla fine della storia comunista nei paesi del socialismo di stato, è stata dilaniata da una mancanza che l’ha fagocitata: quella di un fuoco di consistenza ontologica in grado di costituirne l’identità. Sparito il socialismo di stato, sorto il senso di colpa per la morte del padre, è venuta meno la ragion d’essere della sinistra: la difesa dell’eguaglianza sociale[3]. Il criterio primo che dovrebbe animare l’azione politica di ogni sinistra, l’inclusione della “parte dei senza parte”, degli esclusi, è diventato un semplice residuo di un “tempo che non c’è più”. Per la sinistra italiana, l’ansia di presentarsi come alternativa ad una storia di cui troppo facilmente si è celebrata la sconfitta e il funerale, l’ha portata a rinnegare tutto ciò che sapeva di sinistra e di eguaglianza sociale, in primis la lotta contro ogni ineguale trattamento o discriminazione sociale. E’ incominciato un lento avvicinamento, a “passo di leopardo”, verso le posizioni di un liberalismo che sempre più si sovrappone alle istanze di una certa destra, quella che ritiene le differenze qualcosa da congelare attraverso politiche che rendono i cittadini meno eguali sul piano dei diritti. Questa forma di liberalismo che confonde la libertà con la facoltà di ridisegnare una società di caste è assurta a paradigma della politica vincente. La storia della fine della sinistra in Italia è anche la storia della rimozione di un’identità percepita come troppo scomoda e ingombrante per poter essere riattualizzata. L’avvento del neo-liberismo[4] è l’accadere escatologico di una verità nel vuoto prodotto dall’evaporazione dei significati propri della sinistra.

D’Alema, Veltroni e Occhetto, pur con accenni diversi, si sono adoperati, spinti da una furia iconoclasta, per distruggere un passato ritenuto troppo ingombrante. E’ iniziata l’opera di avvicinamento all’universo post-liberale degli ex democristiani, cattolici dal passato irreprensibile capaci di restituire legittimità politica ai figli bastardi del partito di Stalin. Quest’ansia di centro, ricercato con insistenza quale "pharmakon" (φάρμακον), è l’unica cifra distintiva della sinistra italiana degli ultimi 20 anni. Insomma, ciò che ieri rappresentava il “totalmente altro” rispetto alle istanze socialiste è oggi assurto a modello di riferimento per una sinistra che si vuole moderna, progressista, includente, all’altezza delle sfide poste in essere dalla globalizzazione[5]. “Larghe intese per una sinistra moderna”, questo lo slogan che ha contraddistinto la storia recente degli eredi del PCI, questa la via maestra per la definitiva dismissione politica di un partito che «non serve più a niente» se non a garantire il godimento sparso delle sue componenti.

Quella che è stata l’invenzione politica di Aldo Moro, la sintesi disgiuntiva tra il centro e la sinistra socialista, è divenuta la strada maestra. La ricerca dell’accordo a tutti i costi ha prodotto un pessimo significante, un insieme vuoto riempito di pezzi sparsi troppo diversi per saldarsi in una struttura più ampia. Il trauma dell’elezione del Presidente della Repubblica è soltanto l’ultimo di una storia politica che da un certo punto in poi, con uno scarto progressivo proporzionale al disfarsi dei diversi socialismi di stato, ha ricercato la sopravvivenza politica e il riconoscimento pubblico dei vari Cossiga, piuttosto che l’eguaglianza e la giustizia sociale.

Ciò che serve oggi alla sinistra italiana, orfana di un partito in grado di far valere le istanze che dovrebbero appartenergli di diritto, è un movimento che, partendo dalla Costituzione nata dalla Resistenza, ridefinisca la propria identità intorno ad un elenco minimale di caratteristiche distintive in grado di orientarne la politica nel medio-periodo. Proponiamo di seguito quelli che riteniamo i punti fondamentali di un programma di massima.

Un movimento di sinistra deve:

1) Attuare politiche in grado di contrastare le diseguaglianze sociali.

2) Favorire l’inclusione sociale della “parte dei senza parte”, attraverso politiche tese ad ampliare i diritti delle minoranze di qualunque genere.

3) Contrastare la deriva finanziaria dell’economia capitalista favorendo lo sviluppo di forme alternative di economia sostenibile.

4) Favorire politiche tese all’affermazione del principio di “libertà” relativamente al nascere, curarsi e morire degli esseri umani (legge sull’eutanasia o sul suicidio assistito, trattamenti di fine vita, trapianto degli organi, fecondazione assistita, trattamento degli embrioni, etc.).

5) Attuare politiche in grado di garantire ad ogni uomo beni sufficienti a condurre una vita dignitosa (reddito minimo di cittadinanza).

6) Attuare politiche che garantiscano a tutti l’istruzione, la sanità e la protezione sociale (forme di garanzia per la vecchiaia e per i disoccupati).

7) Favorire la piena affermazione della libertà di pensiero e di espressione attraverso politiche che limitino le forme di censura implicite ed esplicite.

8) Favorire criteri di selezione meritocratici- basati sulle diverse “competenze” - per l’esercizio dell’attività politica.

9) Attuare politiche tese al ridimensionamento del “conflitto di interesse” nei diversi ambiti dell’amministrazione pubblica (politica, magistratura, università, forze armate, etc.).

10) Attuare politiche a sostegno della cultura con particolare riferimento al patrimonio nazionale.

Qualche idea, tanto per incominciare…

http://www.sinistrainrete.info/politica ... orire.html


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Re: Pd, se si scinde è meglio

Messaggioda ranvit il 01/05/2013, 11:32

Il solito mare di chiacchiere che si squaglia al primo contatto con i problemi reali!

Certo che bisogna puntare su due poli! Ma non con la visione novecentesca di Cacciari!

Ma le ali estreme o si adeguano alla maggioranza del polo di cui, se vogliono, fanno parte oppure vanno isolate! Per esempio, la sinistra-sinistra italiana va tenuta alla larga! Incapace com'è di essere forza di Governo!
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Pd, se si scinde è meglio

Messaggioda Robyn il 01/05/2013, 12:12

flaviomob nelle democrazie compiute i cattolici sono sparsi in tutti partiti.I cattolici progressisti stanno a sinistra nel labour party o come lo vogliamo chiamare e accettano la collocazione nel Pse,i cattolici conservatori stanno a destra,non esistono cioè partiti sù base etnica e religiosa.Gesù dopo la resurrezione disse ai suoi spargetevi per il mondo e portate il mio messaggio.I partiti moderni non si differenziano sulla composizione laica o cattolica.Per questo auspico il ritorno al collegio uninominale
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Re: Pd, se si scinde è meglio

Messaggioda Iafran il 01/05/2013, 15:22

flaviomob ha scritto:I "pezzi staccati" di una sinistra che non smette di morire
EffeEmme
... Qualche idea tanto per incominciare ...

Intanto, non sono "progetti copia-incolla" a disposizione di quelli che vogliono buttare solo fumo negli occhi per fare quel che vogliono dopo essere stati proclamati parlamentari d'Italia e ... (questi sì) perpetuare i problemi che hanno creato alla società italiana.
Queste sono idee al servizio di quelli che vogliono fare politica per i cittadini, guardando al loro futuro.
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