Merkel per salvare la Grecia dovrà mettere a rischio gli equilibri interni
di Alessandro Merli19 giugno 2015
Il presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, teneva sulla scrivania alla Casa Bianca un fermacarte con una scritta in corsivo, piccola, ma ben visibile ai suoi visitatori: “The buck stops here”, la responsabilità ultima è soltanto mia.
Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, il più trumaniano, se così si può dire, dei leader europei dal dopoguerra, un politico poco sensibile all'ideologia e ispirato soprattutto dal senso comune, sa che, suo malgrado, la responsabilità ultima della soluzione della crisi greca spetta a lei. L’egemone riluttante dell’eurozona aveva cercato, in tutta la prima fase del caso Grecia, e soprattutto dopo l’ascesa al potere ad Atene del Governo di Syriza, di evitare che la vicenda si trasformasse in un affare bilaterale tra Grecia e Germania, come volevano le sue controparti e le caricature, e ha puntato a non essere coinvolta direttamente nella gestione della crisi, ma ad affidarla interamente ai tecnici. Nelle ultime settimane, però, ha assunto su di sé un compito che pure non voleva, quando ha visto che ogni altro sbocco si stava chiudendo. In ultima istanza, è molto probabile, se i ministri finanziari non troveranno le risposte sperate, che tocchi a lei, al vertice europeo della prossima settimana, dire la parola decisiva sulla storia della Grecia nell’unione monetaria. Un successo, in qualche modo, per il primo ministro greco Alexis Tsipras, che ha sempre pensato che la soluzione alla crisi dovesse essere politica.
Contrariamente ai luoghi comuni su di lei, la signora Merkel è stata uno dei protagonisti più flessibili di questa storia. Ancora ieri, ha ripetuto al Bundestag che «un accordo è ancora possibile» e che «quando c’è la volontà, la strada si trova», una frase che le è cara, anche se ha puntualizzato che sono anzi tutto le autorità greche a dover mostrare questa volontà. Ma il cancelliere ha voluto anche sottolineare – un’osservazione che può suonare strana per un politico come lei, cui si attribuisce scarsa visione europea e ancor meno entusiasmo per la causa europeista – che «la decisione di avere una moneta unica rappresenta simbolicamente, come nessun’altra, l’idea di unità europea». Un’idea per la quale Angela Merkel non avrà il trasporto dei suoi predecessori, ma di cui non vuole le sia attribuita la responsabilità di averne messo in moto la fine.
L’atto finale del caso Grecia rappresenta per il cancelliere anche un difficile esercizio di equilibrismo sul fronte interno. Sulla Grecia, lei e l’unico altro vero componente di peso del suo Governo, il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, si sono divisi profondamente sulla sostanza, e non per la prima volta. Schäuble era scettico anche al momento del varo del secondo salvataggio di Atene. Quel che è certo è che non si tratta di un gioco delle parti, come suggeriva qualche commentatore. Il contrasto, ovviamente minimizzato dalle fonti ufficiali, non va tuttavia neanche letto come il prologo a uno scontro aperto, certamente non fino a che la crisi non sia risolta. Il ministro, che non ha ambizioni personali di succedere alla signora Merkel e ha un acutissimo senso di responsabilità e di lealtà, sa che chi comanda è il cancelliere e lo accetta. Appare un portabandiera estremamente improbabile di un’opinione pubblica insofferente ai salvataggi e di una rivolta parlamentare, che all’ultimo voto sulla Grecia ha contato una trentina di dissidenti e al prossimo vedrà quasi sicuramente ingrossare le proprie file. Ma, alla fine, anche i parlamentari democristiani sanno che chi li ha portati alla vittoria, tre volte di seguito, è stata Angela Merkel.
Sul retro del fermacarte di Truman c’era un’altra scritta, che solo lui poteva vedere: “I’m from Missouri”, vengo dal Missouri, uno stato del Midwest senza particolari distinzioni. Angela Merkel sa, senza bisogno di esibirlo su un fermacarte, di venire dalla Germania dell’Est, ex comunista. Per questo, quando toccherà a lei dire l’ultima parola sulla Grecia, avrà ben presente considerazioni di geopolitica che ai tecnici possono apparire secondarie. Per di più, la sua innata cautela le crea una forte avversione a soluzioni come Grexit le cui conseguenze sono altamente incerte. Una strada vorrebbe trovarla, ma la volontà dovranno mettercela prima di tutto i greci.
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Chi sa, fa. Chi non sa, insegna. Chi non sa nemmeno insegnare, dirige. Chi non sa nemmeno dirigere, fa il politico. Chi non sa nemmeno fare il politico, lo elegge.