TESI PER LA DEFINIZIONE DELLA PIATTAFORMA PROGRAMMATICA DELL'ULIVO 6 dicembre 1995 INDICE Lo Stato nuovo Tesi n° 1 Uno Stato che funziona: forma di governo ed elezioni Tesi n° 2 Garanzie per l'opposizione Tesi n° 3 Autogoverno locale e federalismo cooperativo Tesi n° 4 Una Camera delle Regioni Tesi n° 5 Le elezioni ad armi pari Tesi n° 6 Candidature trasparenti Tesi n° 7 Meno leggi, fatte meglio Tesi n° 8 Un Parlamento che decide e che controlla Tesi n° 9 Un Governo che governa Tesi n° 10 I referendum: pochi, ma buoni Tesi n° 11 L'indipendenza della magistratura Tesi n° 12 La giustizia costituzionale Tesi n° 13 Una pubblica amministrazione al servizio dei cittadini Tesi n° 14 Una pubblica amministrazione leggera e decentrata La certezza nella giustizia Tesi n° 15 Far lavorare meglio i magistrati Tesi n° 16 Migliorare i funzionari per migliorare la giustizia Tesi n° 17 Snellire l'organizzazione giudiziaria Tesi n° 18 Accelerare la giustizia civile Tesi n° 19 La giustizia amministrativa Tesi n° 20 Dei delitti e delle pene Tesi n° 21 Giusta punizione, ma punizione giusta Tesi n° 22 Poter uscire di casa tranquillamente Tesi n° 23 La lotta alla criminalità organizzata L'Italia e gli altri Tesi n° 24 Una Europa più unita: la revisione del Trattato di Maastricht Tesi n° 25 Una Europa più grande: l'integrazione dei nuovi Stati Tesi n° 26 La riforma dell'ONU Tesi n° 27 L'Italia e gli altri organismi internazionali Tesi n° 28 L'Italia e i luoghi di crisi: come aiutare la pace Tesi n° 29 L'Italia e i paesi deboli: come aiutare lo sviluppo Tesi n° 30 L'Italia e gli altri: come rilanciare la politica economica all'estero Tesi n° 31 Un nuovo modello di difesa Le buone regole dell'economia nazionale Tesi n° 32 Finanza sana per uno Stato sano Tesi n° 33 Bilancio agile e corretto Tesi n° 34 Come deve essere il fisco Tesi n° 35 Tasse semplici e razionali Tesi n° 36 Come combattere l'evasione fiscale Tesi n° 37 Federalismo fiscale Tesi n° 38 L'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e gli assegni familiari Tesi n° 39 Tassazione delle attività finanziarie Tesi n° 40 Come tassare il reddito d'impresa Tesi n° 41 Come tassare gli immobili Tesi n° 42 Chi inquina paga Tesi n° 43 Una Repubblica fondata davvero sul lavoro Tesi n° 44 Il Mezzogiorno Tesi n° 45 Una politica industriale al passo con l'Europa: il mercato unico e l'innovazione tecnico-scientifica delle imprese Tesi n° 46 Far nascere il mercato, il colpo d'ala che serve al Paese Tesi n° 47 Aprire il mercato dei capitali Tesi n° 48 Liberare il mercato: le privatizzazioni Tesi n° 49 Liberare il mercato: una nuova politica per i servizi pubblici e la tutela della concorrenza Tesi n° 50 La creazione e la crescita di imprese innovative Tesi n° 51 L'informazione Tesi n° 52 Il futuro delle telecomunicazioni Tesi n° 53 Modernizzare l'agricoltura Tesi n° 54 Una distribuzione commerciale in linea con l'Europa Tesi n° 55 Migliorare la qualità del sistema turistico italiano Tesi n° 56 L'artigianato: una tradizione a cui dare modernità Tesi n° 57 La questione delle abitazioni La nuova alleanza con la natura Tesi n° 58 Conservare la biodiversità Tesi n° 59 Portare l'acqua da bere in tutte le case Tesi n° 60 Il riassetto idrogeologico del territorio Tesi n° 61 L'aria che respiriamo Tesi n° 62 Trasporti moderni, puntuali e senza danni Tesi n° 63 Rifiuti: uscire dall'emergenza e dall'illegalità Tesi n° 64 Politica dell'energia Tesi n° 65 Ricostruire la città costruita: una politica per le città Un'Italia che sa, un'Italia che vale Tesi n° 66 La Scuola è la base di ogni ricchezza Tesi n° 67 Formazione professionale, educazione continua e partecipazione Tesi n° 68 Far crescere l'Università per far crescere il Paese Tesi n° 69 Nuove strategie per la ricerca scientifico-tecnologica Tesi n° 70 Riorganizzare le professioni, evitare le corporazioni Il nuovo patto sociale Tesi n° 71 Il futuro dei giovani, il futuro del Paese Tesi n° 72 I giovani al servizio della comunità Tesi n° 73 Una società di donne e di uomini Tesi n° 74 I diritti degli anziani Tesi n° 75 La famiglia come ricchezza civile Tesi n° 76 Garantire i diritti dei minori Tesi n° 77 Governare l'immigrazione Tesi n° 78 I servizi sociali Tesi n° 79 Le imprese senza profitto: un progetto di economia civile Tesi n° 80 I tre pilastri della previdenza sociale Una cultura non marginale Tesi n° 81 La cultura come risorsa Tesi n° 82 I beni culturali Tesi n° 83 Tutelare lo sport agonistico, rilanciare lo sport di base La promozione della salute Tesi n° 84 Vivere di più, vivere meglio Tesi n° 85 Sanità e federalismo: un nuovo modello di servizio per la salute Tesi n° 86 La cittadinanza sanitaria Tesi n° 87 Ricerca biomedica e sanitaria Tesi n° 88 Bioetica e sanità Lo Stato nuovo Tesi n° 1 Uno Stato che funziona: forma di governo ed elezioni Un patto da riscrivere insieme La garanzia della libertà di individui e gruppi e del rispetto dei diritti può ammettere solo i vincoli necessari ad assicurarla. Per questo il Governo della società deve essere al tempo stesso rappresentativo delle esigenze dei cittadini e delle loro libere associazioni, e responsabile. Da ciò discende oggi l'opportunità di modifiche costituzionali, da realizzare nel pieno rispetto del procedimento prescritto dalla Costituzione. Il mandato che chiediamo agli elettori su questi temi non ha lo stesso significato di quello sugli ulteriori contenuti programmatici in cui è giusto che la maggioranza applichi il suo programma. Sulle regole comuni il mandato è per aprire un confronto aperto e libero, non per conclusioni unilaterali. Completare la transizione Il nostro Paese ha bisogno di completare la transizione aperta dalla stagione referendaria senza indugiare oltre in una terra di nessuno dove rischiano di cumularsi i difetti del vecchio sistema e quelli del nuovo. Si tratta di rifarsi allo spirito riformatore di quella stagione per realizzare un equilibrio organico tra diritti della maggioranza e contropoteri dell'opposizione, nonché tra centro e periferia all'insegna di un federalismo cooperativo. Il fondamento di una nuova forma di governo: partiti responsabili, non formazioni intermittenti. La nuova forma di governo che è necessaria, modellata sull'esperienza delle grandi democrazie parlamentari del Continente, si fonda non sulla distruzione dei partiti, sostituendoli con aggregazioni e limitate al momento elettorale. Dai partiti del passato che interferivano con la vita delle istituzioni si deve passare, anche attraverso nuove regole, a partiti programmatici che si impegnano a perseguire obiettivi di legislatura e che ne rispondono con un preciso mandato politico davanti ai cittadini-arbitri. Il Governo del Primo Ministro Per ottenere questi risultati appare opportuna nel nostro Paese l'adozione di una forma di governo centrata sulla figura del Primo Ministro investito in seguito al voto di fiducia parlamentare in coerenza con gli orientamenti dell'elettorato. A tal fine è da prevedere, sulla scheda elettorale, l'indicazione - a fianco del candidato del collegio uninominale - del partito o della coalizione alla quale questi aderisce e del candidato premier da essi designato. Secondo i modelli vigenti negli altri Paesi in cui la forma di governo si orienta intorno al Primo Ministro, appare opportuno dare vita ad una convenzione costituzionale secondo la quale un cambiamento di maggioranza di Governo richieda di norma e comunque in tempi brevi lo scioglimento della Camera politica e il ricorso a nuove elezioni. Viceversa resta possibile la sostituzione del Premier all'interno della medesima maggioranza col metodo della sfiducia costruttiva. Ai fini di una maggiore legittimazione democratica per ciò che concerne il sistema elettorale, appare preferibile l'adozione del collegio uninominale maggioritario a doppio turno di tipo francese. La garanzia del Capo dello Stato Al Capo dello Stato è affidata la funzione di garante delle regole e rappresentante della unità del Paese e della continuità delle istituzioni democratiche. Questa alta funzione di equilibrio costituzionale deve essere marcata, rivedendo le modalità di elezione in modo da sottrarla alla maggioranza parlamentare pro tempore, esaminando varie possibili modalità, compresa la sua elezione diretta. Procedure per la definizione delle riforme Per quanto riguarda le procedure per la definizione delle riforme e per il loro coordinamento complessivo, può essere prevista l'istituzione con legge costituzionale di una Commissione Bicamerale con compiti redigenti. Tesi n° 2 Garanzie per l'opposizione Le nuove garanzie per le opposizioni, per bilanciare il carattere chiaramente maggioritario del sistema, comprendono: - la introduzione di Commissioni parlamentari di inchiesta su deliberazione di un quarto dei membri di ciascuna Camera; - la facoltà per minoranze parlamentari qualificate (un quarto, un terzo), di ricorrere direttamente alla Corte Costituzionale contro decreti legge del Governo emanati fuori dalle condizioni costituzionalmente previste; - tempi garantiti all'opposizione nella programmazione dei lavori parlamentari; - il rafforzamento dei quorum di garanzia per l'elezione dei giudici costituzionali, dei membri parlamentari del Consiglio Superiore della Magistratura, per le modifiche dei regolamenti parlamentari, ecc. Tesi n° 3 Autogoverno locale e federalismo cooperativo Le Regioni sono state istituite venticinque anni fa. Eppure, di fatto l'impostazione centralista dello Stato e dell'amministrazione non é mutata. Le amministrazioni locali non hanno piena responsabilità nel governo del territorio e la legislazione statale interviene o interferisce largamente anche nei settori di competenza delle Regioni. Anche per quanto riguarda la finanza, gli enti locali sono vincolati dall'amministrazione centrale e la loro autonomia é molto limitata. L'organizzazione decentrata dei pubblici poteri ha invece proprio l'obiettivo di realizzare i principi di sussidiarietà e di autogoverno delle comunità territoriali, nel rispetto dell'unità nazionale, della solidarietà tra le aree più sviluppate del Paese e quelle meno sviluppate, in coerenza con l'integrazione nel quadro dell'Unione Europea. Il potenziamento delle autonomie territoriali dovrà ampliare la funzione legislativa delle Regioni, rafforzare la funzione amministrativa degli enti locali e accrescerne l'autonomia organizzativa. La responsabilità di governo deve accompagnarsi alla responsabilità nell'utilizzo delle risorse. Le linee di intervento proposto sono le seguenti: - Istituire la Camera delle Regioni (vedi "Una Camera delle Regioni"). - Attribuire alle Regioni la funzione legislativa, ad eccezione delle materie espressamente riservate allo Stato, in base a normative approvate anche dalla Camera delle Regioni, salvo interventi sostitutivi in carenza di legislazione regionale. - Dare piena autonomia alle Regioni nella disciplina della propria forma di governo e nella definizione degli Statuti regionali, purché non in contrasto con la Costituzione. - Attribuire alle Regioni la facoltà di disciplinare l'ordinamento degli enti locali, compresi i governi delle aree metropolitane, garantendo però costituzionalmente i comuni dalle tentazioni del centralismo regionale e favorendo il massimo decentramento delle funzioni amministrative agli enti locali. - Dare alle regioni la possibilità di realizzare accordi interregionali per scopi sovraregionali in ambiti non riservati allo Stato. - Sopprimere i controlli sugli atti amministrativi delle Regioni e degli enti locali e attribuire i compiti ispettivi alla Corte dei Conti, opportunamente rinnovata; sopprimere il potere governativo di rinvio delle leggi regionali, salva l'impugnazione davanti alla Corte Costituzionale. - Dare agli enti locali ampia autonomia organizzativa, eliminando i vincoli legislativi sugli organici e sulle assunzioni di personale nell'ambito di una generale riforma della pubblica amministrazione; dando responsabilità piena nelle nomine, nell'impiego e nella mobilità dei dirigenti, incluso il segretario comunale, scelto dal sindaco nell'ambito di un apposito albo di idonei. Il solo vincolo che deve essere mantenuto e rafforzato Ž quello del pareggio di bilancio, perché all'autonomia piena si accompagni una piena responsabilizzazione. La sanzione per la violazione del vincolo dovrà consistere nella perdita temporanea, parziale o totale, dell'autonomia stessa, fino allo scioglimento degli organi di governo o al commissariamento; e gli eventuali deficit locali non dovranno essere dichiarati dallo Stato, ma posti a carico della stessa collettività locale. - Dare agli enti locali ampia autonomia finanziaria, attraverso l'ampliamento dell'autonomia impositiva e la compartecipazione ai tributi erariali; con opportuni meccanismi di compensazione per ovviare agli squilibri. - Rafforzare la presenza delle Regioni nell'Unione Europea, con forme autonome di rappresentanza nelle sedi comunitarie, raccordate con la Presidenza del Consiglio. Occorre inoltre incrementare l'effettiva capacità delle amministrazioni italiane di usufruire tempestivamente delle misure incentivanti previste dall'Unione Europea, a vantaggio delle diverse aree e settori dell'economia nazionale. Tesi n° 4 Una Camera delle Regioni La realizzazione di un sistema di ispirazione federale richiede un cambiamento della struttura del Parlamento. Il Senato dovrà essere trasformato in una Camera delle Regioni, composta da esponenti delle istituzioni regionali che conservino le cariche locali e possano quindi esprimere il punto di vista e le esigenze della regione di provenienza. Il numero dei Senatori (che devono essere e restare esponenti delle istituzioni regionali) dipenderà dalla popolazione delle Regioni stesse, con correttivi idonei a garantire le Regioni più piccole. Le delibere della Camera delle Regioni saranno prese non con la sola maggioranza dei votanti, ma anche con la maggioranza delle Regioni rappresentate. I poteri della Camera delle Regioni saranno diversi da quelli dell'attuale Senato, che oggi semplicemente duplica quelli della Camera dei Deputati. Alla Camera dei Deputati sarà riservato il voto di fiducia al Governo. Il potere legislativo verrà esercitato dalla Camera delle Regioni per la deliberazione delle sole leggi che interessano le Regioni, oltre alle leggi costituzionali. Tesi n° 5 Le elezioni ad armi pari Va salvaguardata la parità di condizioni nell'accesso e nella partecipazione delle forze politiche alle competizioni elettorali e referendarie, attraverso l'assicurazione di spazi di propaganda disponibili gratuitamente, la limitazione dell'uso dei mezzi di comunicazione (stampa, radio e televisione) per propaganda a pagamento, obblighi di imparzialità a carico dei gestori di mezzi di comunicazione in regime di concessione, limiti alle spese elettorali accompagnati da effettivi controlli sulla stessa. Va nuovamente affrontato il tema del "costo della politica" prevedendo forme di finanziamento pubblico in condizioni di parità delle forze politiche soprattutto attraverso l'accesso gratuito o agevolato a servizi; nonché regole rigorose e controlli effettivi e indipendenti (affidati ad esempio alla Corte dei Conti) su tutte le forme di finanziamento privato, diretto e indiretto, dei partiti, da non precludere ma da rendere assolutamente trasparente. Tesi n° 6 Candidature trasparenti Il problema, che ha carattere generale, dei conflitti di interessi nello svolgimento delle funzioni politiche rappresentative va affrontato a nostro giudizio attraverso una revisione organica della legislazione sulle cause di ineleggibilità e di incompatibilità alle cariche elettive politiche ed amministrative, eliminando previsioni oggi superate e integrando previsioni oggi mancanti. Si propone di sancire l'ineleggibilità a cariche di governo dei titolari di posizioni di controllo di diritto o di fatto in imprese di informazione (giornalistiche o radiotelevisive) o in altre grandi imprese aventi carattere strategico per il paese. In questa materia si dovrà anche modificare la norma costituzionale che attribuisce alle stesse Camere il giudizio definitivo sulla regolarità delle elezioni e sulla eleggibilità e compatibilità dei loro membri, attribuendo tale giudizio definitivo alla Corte Costituzionale. Tesi n° 7 Meno leggi, fatte meglio Riguardo al passato si deve procedere ad un forte accorpamento e semplificazione delle leggi esistenti. L'Italia é caratterizzata da una produzione legislativa caotica, frammentaria e scoordinata. Il Parlamento interviene su temi di interesse particolare o tecnico, invadendo anche aree di competenza locale. Il Governo viene così impedito nella propria azione, ed a sua volta invade il campo del Parlamento con il ricorso a decreti legge che impediscono qualsiasi ordinata programmazione legislativa. La precarietà di questa normativa straordinaria danneggia le certezze dei cittadini. - Si deve ridurre drasticamente l'area coperta dalle leggi del Parlamento. - Si deve definire costituzionalmente una riserva di regolamento in tutti i campi non riservati alla legge. - Si devono vietare leggi che sostituiscano provvedimenti amministrativi. - Si devono definire con rigore i casi di necessità e urgenza che giustifichino il ricorso del Governo al decreto legge, vietandone la reiterazione, escludendone l'emendabilità in sede di conversione; consentire a minoranze parlamentari qualificate di impugnare i decreti legge davanti alla Corte Costituzionale. Si propone, prima ancora di avere introdotto queste riforme, l'immediata abolizione della prassi della reiterazione dei decreti legge, eventualmente consentendo l'approvazione in commissione delle leggi di conversione. Per garantire la legalità e non indebolire la fiducia dei cittadini nella legge e nelle istituzioni va escluso radicalmente il ricorso alle varie forme di condono che premiano l'illegalità e parificano ingiustamente i trasgressori delle leggi e coloro che le rispettano. Tesi n° 8 Un Parlamento che decide e che controlla Il Parlamento, liberato dal carico della legislazione minore attraverso misure di delegificazione e di decentramento, non più soffocato da decreti legge a ripetizione, deve essere reso a sua volta capace di svolgere efficacemente la funzione di grande legislazione, in stretto coordinamento con il governo nelle materie che investono il suo programma, nonché la funzione ispettiva. I regolamenti parlamentari dovranno essere modificati secondo le seguenti linee: - riduzione dei tempi di discussione dei provvedimenti, assicurando tempi certi per il voto sui progetti del Governo; - revisione della disciplina degli emendamenti, con facoltà al Presidente di selezionare quelli da mettere in votazione; - revisione delle modalità di votazione palese per temi oggetto di questione di fiducia, per evitare i "maxi-emendamenti"; - divieto della questione di fiducia su votazioni in materia di diritti fondamentali; - riserva di tempi per iniziative legislative parlamentari, specie se proposte dall'opposizione; - istituzione di spazi settimanali per interrogazioni non preannunciate, con risposta immediata del Governo; - rafforzamento delle attività di indirizzo e controllo delle Commissioni; - rafforzamento degli strumenti di partecipazione preventiva del Parlamento e delle Regioni alla definizione delle politiche europee del governo. Tesi n° 9 Un Governo che governa Nessun cambiamento della forma di governo può assicurare davvero coerenza ed efficacia all'azione governativa, se non si organizza adeguatamente la struttura stessa del governo, oggi caratterizzata da segmentazione (i vari ministeri come "repubbliche" autonome), e da debolezza della guida centrale. Il nostro programma istituzionale si incentra sul rafforzamento della figura del Primo ministro al quale devono essere riconosciuti espressamente: - il potere di scegliere i ministri e di proporne al Capo dello Stato la revoca in caso di dissenso rispetto all'indirizzo governativo; - il potere di dirigere e coordinare effettivamente la politica generale del governo, essendo pienamente informato dell'attività dei singoli ministri, potendo sospendere i loro atti e devolvere la decisione al consiglio dei ministri; guidando direttamente l'azione delle rappresentanze italiane presso le istituzioni europee; disponendo di un'unica struttura tecnica centrale deputata all'elaborazione di tutti i progetti di legge governativi, degli emendamenti governativi ai progetti di legge in discussione al parlamento, dei regolamenti governativi; - il potere di condizionare l'organizzazione dei lavori delle camere per assicurare la tempestiva discussione delle proposte governative; - il potere di opporre un veto alle iniziative ed agli emendamenti parlamentari tendenti ad accrescere la spesa, sia in sede di discussione delle leggi di bilancio e finanziarie, sia in sede di discussione delle leggi di spesa. Deve essere ridotto il numero dei ministri che partecipano al consiglio dei ministri senza escludere l'introduzione di figure di ministri "juniores" con compiti delimitati, che non partecipano al consiglio. Va abolita la necessità di organizzare le funzioni governative e amministrative centrali attraverso ministeri, rendendo possibile la creazione di strutture di governo flessibili e di strutture amministrative poste sotto la guida di dirigenti professionali scelti dal governo e resi responsabili dell'impiego delle risorse e dei risultati della loro azione. L'attuazione del decentramento regionale e il passaggio di quasi tutta l'amministrazione periferica in capo alle Regioni ed agli enti locali comporterà a sua volta l'abolizione o la forte riduzione delle strutture amministrative centrali. Ministeri e strutture collegate Intendiamo ridurre il numero dei ministeri e dei ministri articolando la struttura del governo intorno ai seguenti gruppi: 1. i ministeri d'ordine, per svolgere le funzioni relative alla politica estera, alla difesa, all'ordine pubblico e alla giustizia; 2. i ministeri economici, per svolgere le funzioni relative alle entrate e alle spese; 3. i ministeri delle attività produttive, per svolgere le funzioni relative all'industria, all'agricoltura, al turismo, alle telecomunicazioni, al commercio; 4. i ministeri dell'ambiente e del territorio, per svolgere le funzioni relative ai trasporti, alle infrastrutture, ai lavori pubblici, all'ambiente; 5. i ministeri sociali, per svolgere le funzioni relative all'istruzione, alla sanità, alla previdenza, al lavoro, alla cultura. Per i Ministeri compresi nei gruppi 3, 4, 5, si prevede un forte processo di trasferimento delle funzioni delle strutture alle regioni ed agli enti locali e, di conseguenza, una riduzione delle dimensioni e dei compiti. All'interno di ciascun gruppo, le funzioni saranno accorpate secondo criteri di omogeneità e di complementarietà, in modo da ridurre le duplicazioni e da superare la frammentazione. Tesi n° 10 I referendum: pochi, ma buoni Il referendum abrogativo previsto dalla Costituzione ha svolto una utile funzione di arricchimento della dialettica e del dibattito democratico, di critica e di stimolo nei confronti delle forze politiche operanti nelle istituzioni. Ma l'uso eccessivo e agitatorio dello stesso, in funzione di disegni politici generali anziché per porre questioni specifiche, e taluni improvvidi indirizzi giurisprudenziali della Corte Costituzionale in tema di condizioni di ammissibilità dei quesiti, hanno spinto verso un uso "manipolativo" del referendum, in contrasto con l'originario suo carattere abrogativo, e hanno prodotto una distorsione dell'istituto. Noi proponiamo una revisione della sua disciplina, realizzabile in parte con legge ordinaria e in parte con legge costituzionale, secondo le seguenti linee: - innalzamento del numero di sottoscrizioni necessario per proporre il referendum; - divieto di raccolta contestuale di sottoscrizioni per più referendum; - limitazione del numero di referendum che possono svolgersi contemporaneamente; - anticipazione del giudizio di ammissibilità ad una fase anteriore alla raccolta delle sottoscrizioni, sulla base di una iniziativa qualificata appoggiata da un certo numero di elettori; - abolizione delle norme che vietano lo svolgimento contemporaneo di referendum e di elezioni e delle relative campagne; - divieto di quesiti "manipolativi" che richiedono l'abrogazione di parti di leggi prive di autonomo significato; - revisione dei casi di inammissibilità del referendum. Per altro verso può essere considerata l'eventualità di introdurre nella Costituzione la previsione di forme di referendum "propositivo" collegate all'iniziativa popolare, con tutte le regole e le cautele necessarie in tema di condizioni dell'iniziativa, di formulazione dei quesiti e di disciplina della consultazione. Tesi n° 11 L'indipendenza della magistratura La costituzione in vigore garantisce efficacemente l'indipendenza della magistratura e dei magistrati ordinari nei confronti del potere politico. Tali garanzie, incentrate sul sistema dell'auto governo attraverso il Consiglio Superiore della Magistratura, non vanno indebolite ma anzi estese a tutte le magistrature. Nella disciplina della composizione e della formazione del Consiglio Superiore della Magistratura vanno assicurate la piena funzionalità e l'imparzialità dell'organo. Va disciplinata l'attività del Consiglio Superiore della Magistratura sulla base del nuovo ordinamento giudiziario, garantendo l'autonomia dei singoli magistrati nell'attività giurisdizionale e la loro responsabilità per l'osservanza dei doveri loro propri. I magistrati del pubblico ministero debbono continuare a far parte dell'ordine giudiziario, sia pure accentuando la distinzione tra funzione requirente e funzione giudicante, ed essere garantiti nella loro indipendenza. L'azione penale deve essere obbligatoria. I poteri ispettivi del ministro della giustizia vanno regolamentati in modo da evitare che interferiscano nell'autonomia della magistratura. Tesi n° 12 La giustizia costituzionale Nel campo della giustizia costituzionale la linea di sviluppo deve essere nel senso di un accorto ampliamento delle vie di accesso alla Corte Costituzionale, a garanzia dei diritti, della legittimità costituzionale delle leggi e del rispetto delle sfere di attribuzioni costituzionali. Noi proponiamo: - la possibilità di ricorso diretto alla Corte a tutela della autonomia dei comuni; - il ricorso da parte delle minoranze parlamentari contro i decreti legge del governo; - la anticipazione del giudizio di ammissibilità dei quesiti referendari; - il ricorso diretto dei singoli cittadini che lamentino violazioni di diritti fondamentali, una volta esauriti i rimedi ordinari previsti. Queste innovazioni vanno accuratamente disciplinate, prevedendo adeguati sistemi di filtro e di organizzazione, per evitare che la funzionalità della Corte sia pregiudicata da un possibile forte aumento dei procedimenti. Tesi n° 13 Una pubblica amministrazione al servizio dei cittadini La crisi istituzionale e politica che sta attraversando il paese è, prima di tutto, crisi di fiducia nei confronti dei poteri pubblici, della loro capacità di decidere, di gestire e di soddisfare le richieste e le esigenze della collettività. Una pubblica amministrazione efficiente e moderna è condizione indispensabile per assicurare i diritti dei cittadini. Per garantire il diritto alla salute non bastano buone leggi: ci vogliono bravi medici e un'amministrazione sanitaria attenta alle esigenze dei malati. Per garantire il diritto all'istruzione ci vogliono bravi insegnanti e una buona amministrazione scolastica. Bisogna passare da un'amministrazione che costa molto e produce poco, attenta alle carte e alle formalità, ad un'amministrazione che dia servizi soddisfacenti e sia attenta ai risultati, ai prodotti, agli obiettivi. Un'amministrazione disordinata e arretrata diventa, inoltre, facile terreno di coltura della corruzione e dell'illegalità: l'arretratezza della pubblica amministrazione italiana è stata fra le cause principali della corruzione amministrativa. Troppe regole e divieti inutili e procedure senza senso hanno caricato i cittadini e le imprese di pesanti oneri, che a volte hanno fatto sembrare la corruzione l'unica via d'uscita. Per uscire da Tangentopoli e perché Tangentopoli non si ripeta non bastano i processi ai corrotti e ai corruttori, che pure si devono svolgere: occorre agire sulle condizioni che favoriscono la corruzione e, prima di tutto, sul sistema amministrativo, semplificando le regole e le procedure, riducendo gli adempimenti richiesti ai cittadini e alle imprese, rendendo chiara e trasparente, ma anche veloce ed efficiente l'azione amministrativa. La riforma dell'amministrazione è un obiettivo strategico, al quale occorre destinare apposite risorse finanziarie e che va perseguito sull'arco dell'intera legislatura. Per porre l'amministrazione pubblica al servizio dei cittadini occorre: - ridefinire il "patto" fra cittadini e amministrazione, sancendo nella Costituzione i nuovi diritti dei cittadini nei confronti delle amministrazioni pubbliche: il diritto di essere sentiti, il diritto di essere informati, il diritto di partecipare, il diritto a decisioni tempestive e motivate; - realizzare una vasta opera di semplificazione, in modo da ridurre e sciogliere l'intrico di regole che oggi avviluppa l'attività amministrativa e i cittadini, eliminando i mille inutili permessi, le duplicazioni, i circoli viziosi dei procedimenti amministrativi. Bisogna operare sia mediante la delegificazione, diminuendo il numero delle leggi, sia mediante la deregolazione, eliminando le regole inutili; - costruire un'amministrazione che fa meno e meglio: lo Stato leggero si realizza restringendo l'intervento pubblico alle funzioni veramente necessarie e garantendo parità di condizioni e di diritti a tutti. I servizi possono essere pubblici o privati, ma tutti devono rispettare le stesse regole e garantire i diritti e la soddisfazione degli utenti: a tal fine vanno diffuse e generalizzate le Carte dei servizi; - restituire all'amministrazione la capacità e la possibilità di scegliere e di agire: di adottare un piano, di fare un appalto, di concedere un contributo, di acquistare ciò che le serve. Bisogna sostituire ai tanti controlli inutili, formali e costosi, pochi controlli, chiari e volti a verificare il raggiungimento effettivo degli obiettivi e dei risultati; - costruire un'amministrazione europea: assicurare la partecipazione italiana al processo di integrazione comunitaria, preparando i funzionari, migliorando la comunicazione fra gli uffici, utilizzando a pieno i fondi assegnati all'Italia e potenziando la capacità di progettare e di ottenere risorse aggiuntive. Tesi n° 14 Una pubblica amministrazione leggera e decentrata Una pubblica amministrazione efficiente e moderna è indispensabile per attuare le politiche di governo. Nessun governo può decidere una politica dell'ambiente, del territorio, delle infrastrutture, delle attività produttive, e realizzarla senza un sistema amministrativo ordinato ed efficiente. Nessun governo può giocare a pieno titolo il suo ruolo nell'Unione Europea se l'amministrazione non è in grado neanche di utilizzare i fondi assegnati. Il buon funzionamento dell'amministrazione pubblica è un fatto cruciale per assicurare la competitività del sistema Italia rispetto agli altri paesi. La riforma dell'amministrazione deve essere ispirata al principio del più ampio decentramento e si realizza anche mediante l'attribuzione di compiti, attività, poteri e risorse alle regioni e agli enti locali. L'organizzazione dell'amministrazione centrale deve cambiare, di conseguenza, lungo le seguenti linee: - l'organizzazione deve essere rivista in modo da adeguarla alle funzioni da svolgere alla luce della riforma federale e in modo da ridurre i costi, accorpando i ministeri, sopprimendo enti inutili, introducendo modelli organizzativi moderni e flessibili. Bisogna eliminare le duplicazioni e la dispersione dei compiti, in modo che il cittadino sappia sempre a quale ufficio rivolgersi e l'ufficio sia in grado di risolvere i problemi direttamente; - bisogna introdurre nell'amministrazione le tecnologie moderne: con l'uso dell'informatica e della telematica si deve garantire che i cittadini abbiano sempre una risposta chiara, corretta e veloce ai loro problemi; - bisogna affrontare i problemi della finanza pubblica, che non derivano solo dal debito pubblico, ma anche dall'arretratezza degli strumenti di gestione, modificando in profondità il bilancio dello Stato, introducendo strumenti moderni di pianificazione finanziaria e indicatori di efficienza; - bisogna semplificare le procedure di acquisto della pubblica amministrazione, in modo da diminuire i costi e aumentare il rendimento della spesa pubblica; - bisogna riqualificare il personale pubblico, le cui energie migliori sono oggi spesso sprecate e frustrate. Bisogna creare un sistema efficiente e moderno di formazione, riqualificazione e aggiornamento professionale, trasformare la Scuola Superiore della pubblica amministrazione in un centro di eccellenza che recluti e formi i dirigenti, attivare nuove procedure di selezione e di promozione che recluti i migliori e i più capaci, rivedere la struttura degli stipendi e delle carriere per assicurare trattamenti a chi lavora meglio e di più, promuovere e remunerare l'assunzione di responsabilità. La certezza nella giustizia Tesi n° 15 Far lavorare meglio i magistrati Le nostre priorità sono: - potenziamento ed ampliamento delle forme semplificate di giurisdizione, come quelle consentite dall'istituzione del giudice di pace; - modifica dei criteri di reclutamento e di formazione di magistrati ed avvocati, per giungere ad una cultura della giurisdizione comune ad entrambi; - maggiore distinzione tra funzioni del giudice e funzioni del pubblico ministero, con una restrizione delle possibilità di passare dalle une alle altre, senza però arrivare alla separazione delle carriere; - temporaneità degli incarichi direttivi. Per quanto la possibilità di ricorrere al giudice sia garantita dalla Costituzione, occorre che nei casi in cui è possibile si possa ricorrere a forme semplificate di giurisdizione. Le soluzioni già istituite, come quella del giudice di pace, portano a ritenere molto vantaggiosa la distinzione tra magistratura ordinaria, per i casi giustificati e privi di alternative, e "magistratura onoraria" negli altri casi. Bisogna allora potenziare le soluzioni già adottate e insistere su questo percorso. Ciò concorrerà anche a contenere sia il numero dei magistrati, sia i costi in termini di denaro e di personale che i procedimenti giudiziari comportano. Ai fini di creare una comune cultura della giurisdizione tra magistrati ed avvocati, devono essere modificati anche i criteri di reclutamento e di formazione alla professione. La revisione del reclutamento ordinario prevede l'istituzione di una scuola per le attività giurisdizionali che formi i futuri magistrati ed avvocati e che porti gli ammessi al concorso finale, per optare poi fra magistratura e professione forense. Le altre forme di reclutamento della magistratura comprenderanno i vincitori di concorsi riservati a chi abbia rilevanti esperienze professionali nell'avvocatura, nella pubblica amministrazione e nella stessa amministrazione giudiziaria. Potranno essere inclusi anche i docenti universitari. Per quanto riguarda la professione forense, afflitta da un affollamento, si regolerà l'accesso, innanzitutto mediante una scuola forense obbligatoria, con un esame finale per l'ammissione al tirocinio; quest'ultimo deve avere una durata di uno o al massimo due anni. Alla formazione del magistrato, infine, deve essere dedicata molta attenzione, prima e dopo l'assegnazione delle funzioni, con valutazioni periodiche dell'idoneità e delle attitudini. La professionalità dei magistrati deve essere maggiormente specificata e valutata, anche con riferimento alle funzioni di essi, rispetto ad oggi; in particolare bisogna distinguere maggiormente tra funzioni del giudice e funzioni del pubblico ministero. Occorrerà pervenire ad una migliore definizione della responsabilità disciplinare. La verifica effettiva delle attitudini e del tipo di professionalità potrà poi limitare la possibilità di passare dall'una all'altra. Questa distinzione non comporta però la separazione dei pubblici ministeri dalla magistratura giudicante. Gli incarichi direttivi dovranno essere in futuro temporanei per evitare tutti i pericoli propri delle lunghe permanenze dei magistrati nel medesimo incarico. Tesi n° 16 Migliorare i funzionari per migliorare la giustizia Le nostre priorità sono: - riqualificazione del personale con attribuzione di responsabilità e di prospettive di carriera; - professionalizzazione dell'ufficiale giudiziario. Il personale amministrativo soffre di problemi molto evidenti: è scarso, poco professionale e poco responsabilizzato. Le sue funzioni devono quindi essere riviste; in particolare esso deve poter usufruire di una formazione adeguata, di prospettive di carriera e di responsabilità nell'ambito della giurisdizione volontaria e dell'esecuzione civile, per contribuire tra l'altro a sgravare il carico di lavoro dei magistrati. In particolare, il servizio dell'ufficiale giudiziario deve essere rivisto in chiave libero-professionale, considerandolo un privato che esercita una pubblica funzione, in vista sia di economie di bilancio, sia di miglioramenti del servizio. Tesi n° 17 Snellire l'organizzazione giudiziaria Le nostre priorità sono: - creazione delle circoscrizioni giudiziarie di base, mediante l'unificazione di tribunali e procure; - concezione del Ministero di Grazia e Giustizia come Ministero dei servizi e Ministero delle funzioni. L'organizzazione delle circoscrizioni giudiziarie deve essere rivista, eliminando i rami secchi e ridimensionando gli uffici di dimensioni eccessive. È necessario creare una circoscrizione giudiziaria di base, il circondario, che unifichi i tribunali e le preture, e riequilibrare il criterio istitutivo delle Corti d'Appello in base alla mole di lavoro e al territorio. Il Ministero di Grazia e Giustizia deve essere inteso come "Ministero di servizi", con una struttura manageriale che renda efficiente la gestione delle risorse, e come "Ministero di funzioni", rivedendo i compiti dell'Ispettorato e le possibilità di intervento del ministro, senza che ciò si traduca in una interferenza sulla attività giurisdizionale. Tesi n° 18 Accelerare la giustizia civile Le nostre priorità sono: - estensione delle competenze del giudice di pace; - limitazione delle possibilità di ricorso in Appello e in Cassazione; - potenziamento delle sezioni-stralcio per smaltire l'arretrato; - unificazione tra pretura e tribunale. La crisi della giustizia civile, dovuta soprattutto alla durata dei processi (in media dai 6 ai 10 anni), ha portato ad una situazione di "giustizia denegata" e ad un'assenza del diritto che in certe zone favorisce la ricerca di tutela all'esterno delle istituzioni, talvolta anche tramite l'intervento della criminalità organizzata. Gli interventi da attuare riguardano per prima cosa le competenze del giudice di pace, che devono essere aumentate nelle cause in campo automobilistico, dei danni alle persone, dei rapporti contrattuali, delle utenze pubbliche, delle assicurazioni ecc. Poi si limiterà la possibilità dell'appello per le cause relative a rapporti patrimoniali di modesto importo, fatto salvo il ricorso in Cassazione. Vi è anche un problema che riguarda i ricorsi alla Corte Suprema di Cassazione, che devono essere ridotti; oltre ad alcuni aggiustamenti procedimentali, si propone di ammettere i ricorsi solo in caso di effettivo difetto assoluto di motivazione. Per quanto riguarda la questione del procedimento per dare esecuzione alle sentenze del giudice, è inevitabile constatare delle carenze non compensate dalla riforma recente. Data la tecnicità della questione, tuttavia, si prevede per ora solo uno studio di fattibilità per rendere più celere la procedura esecutiva e per tutelare le ragioni del debitore, spesso oggetto di pregiudizi dannosi. Infine è necessario potenziare le sezioni-stralcio, per definire l'ingente arretrato pendente in sede civile. Occorre porre particolare attenzione ai problemi della famiglia e del minore anche attraverso l'istituzione di un "tribunale per la famiglia". Tesi n° 19 La giustizia amministrativa La giustizia amministrativa costituisce un irrinunciabile strumento di garanzia della legalità e dei diritti dei cittadini nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Oggi la giustizia amministrativa opera efficacemente solo attraverso misure cautelari, con notevole danno per la certezza delle situazioni giuridiche e per la trasparenza dell'attività giurisdizionale. I tempi lunghi e non prevedibili dei giudizi di merito e l'esistenza dell'unico rimedio del ricorso al Consiglio di Stato contro le sentenze dei TAR rendono spesso vana l'efficacia dello strumento giurisdizionale. La riforma regionalistica dello Stato implica il decentramento del processo amministrativo, che dovrebbe esaurirsi, almeno per quanto riguarda l'applicazione del diritto regionale, in sede regionale o interregionale, attraverso la previsione di organi giurisdizionali di appello a tale livello e la riserva all'organo centrale per le sole questioni di massima o di diritto statale. Ciò richiede la riorganizzazione dei tribunali amministrativi con l'introduzione di un secondo grado di giudizio decentrato. La magistratura amministrativa d'altra parte dovrà definitivamente divenire un corpo giudiziario ordinario, sia pure specializzato, separando le funzioni di consulenza e di controllo del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti dalla funzione di giurisdizione e attribuendo ai magistrati amministrativi e contabili le stesse garanzie dei magistrati ordinari. Il giudice amministrativo come giudice ordinario specializzato dovrà essere competente per tutte le controversie in cui sia parte l'amministrazione come autorità, superando la vecchia distinzione (ormai quasi solo italiana) tra tutela dei diritti e tutela degli interessi legittimi. Il cittadino deve poter chiedere al giudice amministrativo la tutela delle sue posizioni sostanziali, e i poteri del giudice devono essere tutti e solo quelli necessari per assicurare tale tutela (non serve ottenere l'annullamento di un atto se poi questo può e magari deve essere riprodotto con lo stesso contenuto). Dovranno essere semplificate le procedure di ricorso. Tesi n° 20 Dei delitti e delle pene Le nostre priorità sono: - riconoscimento della centralità del principio di personalità della responsabilità; - istituzione di pene alternative alla detenzione; - recupero della centralità del giudice; - riduzione del carico di lavoro del giudice, distinguendo tra giudizio dibattimentale e giudizio semplificato (per i reati meno gravi); - limitazione delle possibilità di appello; - unificazione tra pretura e tribunale. Bisogna intervenire con urgenza e priorità nella disciplina dei delitti: - contro la pubblica amministrazione: qui, a proposito dell'abuso d'ufficio, bisogna distinguere fra l'illecito soltanto amministrativo e l'abuso penalmente rilevante; inoltre bisogna distinguere tra corruzione e concussione, introducendo la concussione ambientale, riconducendo la concussione alla tipologia dell'estorsione e promuovendo incentivi per rompere il patto criminoso tra privato e pubblico ufficiale nel caso della corruzione. - associativi: occorrerà definire meglio le forme di partecipazione all'associazione delittuosa; - contro il patrimonio: qui si devono aggiornare i criteri di tutela del patrimonio, ormai non più attuali; si dovrà poi concentrare l'attenzione sulla microcriminalità, soprattutto nelle aree urbane; si dovrà intervenire sui temi del diritto penale dell'economia. Altri mutamenti prioritari da introdurre nella giustizia penale riguardano i seguenti punti: - introduzione e valorizzazione di sanzioni alternative alla pena detentiva; - recupero del principio di personalità della responsabilità penale mediante il riconoscimento della centralità del principio di colpevolezza, anche con riferimento alla disciplina del concorso di persona nel reato; - maggiore specificazione della disciplina del concorso di persone al reato; - introduzione di una forma di responsabilità penale della persona giuridica, ad esempio per i reati connessi alla politica di impresa. Oltre al problema della lentezza dei processi, vi è anche quello dello spostamento del baricentro del procedimento verso le indagini preliminari del pubblico ministero e la custodia cautelare. Bisogna recuperare la centralità del ruolo del giudice e del giudizio. Prioritaria è in ogni caso la riduzione del carico giudiziario, che può essere ottenuta creando due circuiti differenziati: per i reati più gravi e per la giustizia penale minore, che può essere affidata al giudice di pace snellendo le forme processuali e riducendo gli interventi penali tramite forme di composizione bonaria, diverse forme di risarcimento e di riparazione dell'offesa. Queste misure possono essere applicate a casi di ingiurie, minacce, lesioni lievi, risse, reati contravvenzionali o patrimoniali di scarsa entità, ecc. Per deflazionare il dibattimento dinanzi al giudice collegiale e portarlo a dimensioni sopportabili, bisogna limitarlo ai casi in cui l'imputato si avvale del diritto di chiedere l'accertamento della prova mediante il sistema accusatorio, o al caso di certi reati particolarmente gravi. In caso contrario, il giudizio sarà semplificato e condotto davanti al giudice; a questo proposito verrà introdotta la figura del giudice monocratico in primo grado e verranno unificati preture e tribunali. Il patteggiamento deve essere razionalizzato: l'accordo tra le parti deve intervenire nel corso delle indagini o al massimo prima della conclusione dell'udienza preliminare. L'alternativa fondamentale è dunque quella tra giudizio dibattimentale e giudizio semplificato, il primo su richiesta o per certi tipi di reati, il secondo automatico. Il nuovo sistema accusatorio non ha intaccato il sistema delle impugnazioni, pensato per il sistema inquisitorio precedente. Date le caratteristiche del nuovo sistema, l'appello dovrebbe essere limitato alla prospettazione della violazione di regole procedurali e di valutazione; nel caso del giudizio semplificato, l'appello potrebbe essere limitato alle condanne senza sospensione condizionale della pena. Anche il ricorso in Cassazione dovrebbe essere limitato e riportato alla sua vera funzione: il controllo di legittimità sulla violazione delle norme penali e processuali e non di terzo grado di giudizio di merito come di fatto avviene oggi. La custodia cautelare dovrà attuarsi in circuito separato da quello dell'espiazione di pena. Ciò ha delle conseguenze anche per l'esecuzione della pena, che potrà essere anticipata sotto forma di custodia cautelare (o di sua prosecuzione se già in atto) dopo condanne di primo grado superiori a 5-10 anni, con una serie di garanzie aggiuntive per l'imputato. L'anticipazione verrebbe sospesa in caso di ammissibilità dell'appello. In ogni caso, il rafforzamento del ruolo della difesa non va affrontato diminuendo i poteri del pubblico ministero, ma accentuando il suo ruolo e la posizione di terzietà dell'organo giurisdizionale. Andrà inoltre ripensato globalmente il sistema penale, processuale e quello del trattamento e della rieducazione dei minori, anche nell'ambito di una revisione generale dell'ordinamento giudiziario minorile, che tenga conto, tra l'altro, della territorializzazione dei servizi. Tesi n° 21 Giusta punizione, ma punizione giusta Le nostre priorità sono: - potenziamento delle pene non detentive e creazione di nuove forme di espiazione; - rilancio della finalità educativa del carcere. I due problemi maggiori del sistema penitenziario sono: - l'eccesso di popolazione carceraria rispetto alle strutture e al personale; - il trattamento insoddisfacente, soprattutto a causa del sovraffollamento, che non attua il principio costituzionale della rieducazione. Si devono seguire innanzitutto le indicazioni della Corte Costituzionale relative al diritto del condannato al riesame periodico dell'espiazione, per accertarne l'efficacia rieducativa e alla ricerca di misure alternative alla detenzione. In particolare si dovranno potenziare le pene non detentive già esistenti, come la pena pecuniaria, proporzionata al reddito del condannato, e le prestazioni di pubblica utilità. Nuove forme di pena potrebbero essere gli arresti del tempo libero o di fine settimana, le sanzioni interdittive o incapacitative, l'affidamento in prova, la semilibertà o la detenzione domiciliare. Il secondo obiettivo, il rilancio della finalità educativa, può essere perseguito oltre che dalla diminuzione della popolazione carceraria, anche mediante la creazione di circuiti differenziali per soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, per soggetti a bassa pericolosità, per la delinquenza individuale tradizionale, per i tossicodipendenti, per i malati (soprattutto di AIDS), per i detenuti extracomunitari. Tesi n° 22 Poter uscire di casa tranquillamente Molti cittadini si sentono insicuri camminando per le vie della propria città. Da almeno due decenni si registra in Italia un forte aumento dei reati contro il patrimonio, a fronte di una diminuzione di quelli contro la persona e soprattutto degli omicidi. La microcriminalità cresce anche in rapporto all'organizzazione spazio-temporale delle attività lecite, produttive e non, cresce cioè col crescere delle opportunità e delle occasioni per commettere reati: l'uso preponderante di contante negli sportelli bancari spiega la percentuale superiore alla media europea delle rapine in banca; il degrado delle periferie favorisce il prodursi di situazioni rischiose. Le preoccupazioni e le paure dei cittadini devono essere prese in seria considerazione, sia che si convenga che in determinate realtà metropolitane le rappresentazioni sociali di insicurezza siano realistiche, sia che si possa ritenere che in altre realtà esse siano sovrastimate rispetto ai rischi oggettivi di essere vittime della criminalità. I sentimenti di insicurezza determinano domande di sicurezza differenziate: le madri con bambini piccoli chiedono parchi sicuri e protetti; le donne chiedono maggiore tutela contro la violenza e le molestie; le persone anziane temono in particolare gli scippi e i borseggi; i negozianti chiedono protezione contro il rischio di taglieggiamenti; i genitori vorrebbero più sorveglianza davanti alle scuole. Dobbiamo quindi guardare alla sicurezza pubblica con l'occhio del cittadino, con l'obiettivo di rassicurare piuttosto che di intimorire ulteriormente le persone. Il tema della sicurezza dalla microcriminalità va quindi affrontato con un approccio diverso, che non si affidi alla sola repressione penale o alla sola lotta contro il disagio sociale. Un approccio che faccia sentire a tutti che esiste un impegno comune delle istituzioni e delle società civile. Un impegno che non ci costringa a rassegnarci all'idea di una società nella quale si é sicuri solo se ci si barrica in casa armati. Le linee di azione che proponiamo considerano quindi numerosi aspetti: la prevenzione delle situazioni di rischio, il rapporto tra i cittadini e le forze dell'ordine, la repressione. - Istituire "unità territoriali di pubblica sicurezza". In ogni territorio polizia, carabinieri, vigili urbani e altre forze dell'ordine devono essere coordinate, dando ai cittadini un riferimento sicuro come il poliziotto di quartiere, o la volante o la stazione mobile di quartiere. Vanno unificati 112 e 113. Vanno aumentate le macchine presenti su strada ogni sera e ogni notte. Per ottenere questo risultato bisogna migliorare l'organizzazione interna delle forze dell'ordine, per mettere più personale sul territorio. - Sviluppare la partecipazione dei cittadini sotto forma di volontariato, di controllo dei pensionati davanti alle scuole, di guardie ecologiche nei parchi urbani, di disponibilità al controllo e alla denuncia. - Favorire la prevenzione delle situazioni a rischio, sia con forme di sicurezza privata (TV a circuito chiuso, polizia privata), sia con politiche urbanistiche e ambientali dei Comuni (illuminazione, trasporti, pulizia, aree verdi e spazi di incontro, orari degli esercizi pubblici); occorre un'organizzazione della città a misura del rischio-stupro e di quello delle violenze sui minori. I cittadini vanno informati sui rischi presenti nel territorio dove risiedono, dove lavorano, dove transitano, sulle politiche di repressione in atto e su quelle di prevenzione. - Promuovere una legge a favore delle vittime di tutte le forme di criminalità, con possibilità di riparazione diretta del danno da parte dei colpevoli. Tesi n° 23 La lotta alla criminalità organizzata La criminalità organizzata rappresenta una minaccia per le fondamenta dello Stato democratico: attiva ed influente all'interno dell'economia legale e del mondo politico, con l'esercizio della corruzione e della violenza acquisisce posizioni di dominio; con le enormi risorse acquisite illegalmente altera il funzionamento del mercato e della libera concorrenza, non solo nelle regioni meridionali. Soprattutto la mafia é stata in grande misura causa delle condizioni di mancato sviluppo economico e di emarginazione delle regioni meridionali: l'espansione per decenni pressoché indisturbata dell'impresa mafiosa, del racket, della corruzione politico-amministrativa hanno danneggiato profondamente l'economia delle regioni più colpite. Per ogni investimento e per ogni imprenditore di marca criminale, ne esiste almeno un altro di tipo non mafioso eliminato dalla competizione attraverso attentati, estorsioni, esclusione dai mercati e dagli appalti più redditizi; esiste poi il fenomeno della fuga di capitali "puliti" dalle aree meridionali che contribuisce ad accrescere il peso relativo del potere economico e politico della criminalità organizzata. Nel biennio 1992-94 lo Stato ha condotto un'azione particolarmente forte di contrasto della mafia; é stata avviata un'azione incisiva di contrasto ai fenomeni dell'usura e del racket, grazie soprattutto alla coraggiosa denuncia di numerosi imprenditori. Di fronte alla riduzione del numero degli attentati e degli omicidi che ha caratterizzato l'ultimo anno, non é tuttavia possibile alcuna diminuzione di impegno da parte delle istituzioni e della società civile. Se infatti la criminalità organizzata appare meno violenta ed anche più debole nella capacità di acquisire consenso sociale, é sempre più potente in campo economico, più feroce e professionalizzata. Anche se non si tratta solo di un fenomeno italiano: Cosa Nostra, le mafie dell'Est Europa e dell'Asia condizionano ormai i mercati economico-finanziari internazionali. Si pensa che in Italia venga riciclato un miliardo al minuto: il riciclaggio é un grande affare "lecito" che tocca ogni settore dell'economia. Cosa Nostra crea circuiti bancari paralleli; influenza il mercato dei cambi, penetra sui mercati borsistici. E dove arriva il denaro della mafia, arriva anche l'organizzazione e l'intimidazione mafiosa. Nessuna regione italiana può ritenersi immune dal rischio di inquinamento mafioso. Le linee d'azione che proponiamo sono: - Difendere l'economia legale, con un'azione di integrazione costante tra lo Stato e i privati, al fine di ridurre la vulnerabilità dei mercati legali, aiutando i soggetti economici in difficoltà sia nei "normali" momenti di crisi, sia sottraendoli agli attacchi magari mascherati da aiuti delle organizzazioni criminali. In quest'ottica sarà approvata una nuova legge sull'usura, sviluppando contemporaneamente una politica del credito che dia opportunità reali di non ricorrere all'usura stessa. Va inoltre affrontato il problema di un'economia illegale in quanto sommersa che corre il rischio di essere attratta dall'economia criminale piuttosto che di sfociare nell'economia legale. - Colpire le organizzazioni criminali sotto il profilo economico: non basta catturare i soggetti criminali, bisogna "catturare" anche le ricchezze criminali. Le leggi vigenti - legge antiriciclaggio, disciplina della cessione di partecipazioni, composizione della base sociale delle società di capitali, cessione di terreni ed esercizi commerciali, sequestro preventivo, misure di confisca - sono efficaci per la lotta contro il riciclaggio. Ma questi strumenti devono coniugarsi con indagini patrimoniali concatenate all'interno delle inchieste penali, per la realizzazione di accertamenti a tenaglia. E soprattutto le leggi sulla confisca e il sequestro dei beni vanno applicate sistematicamente, riorganizzando e professionalizzando gli apparati investigativi in modo adeguato. - Mantenere due strumenti che si sono rivelati di grande efficacia nella lotta alla criminalità mafiosa: il regime carcerario duro per i capimafia e la legge sui pentiti. Va approfondita la possibilità di affiancare alla legge sui collaboratori di giustizia qualche ulteriore norma tesa a facilitare la diserzione dalle file della mafia, offrendo ad esempio, riduzioni di pena a chi, abbandonando l'organizzazione criminale, si limiti a denunciare i propri reati. E al tempo stesso va sviluppata un'azione tendente a sottrarre i figli e i parenti dei mafiosi da un destino criminale. In materia di collaboratori di giustizia la disciplina va rivista alla luce delle esperienze statunitensi, verificando la possibilità di distinguere le organizzazioni che gestiscono e assistono i collaboratori di giustizia dagli organismi di indagine. - Ricostruire la macchina della giustizia civile, per garantire forme rapide e affidabili di tutela dei diritti (vedi "Accelerare la giustizia civile"). - Favorire strumenti di autonomo controllo degli imprenditori rispetto alle infiltrazioni della criminalità organizzata, ad esempio con l'intervento delle associazioni di categoria e con forme codificate di autoregolamentazione per le imprese, da sperimentare inizialmente con le imprese che lavorano con lo Stato, secondo i principi indicati dalla Commissione antimafia nell'XI legislatura. - Rafforzare la lotta alla criminalità sul piano internazionale, sviluppando sinergie nazionali ed internazionali: con un dialogo tra banche dati, affinché sia possibile uno sfruttamento incrociato - tra amministrazioni di diversi stati - delle informazioni che emergono dai processi penali (come avvenuto per il terrorismo europeo); con l'ampliamento degli spazi di collaborazione giudiziaria all'interno dei diversi stati dell'Unione Europea sul riciclaggio e la correttezza degli operatori finanziari; in prospettiva, con formazione di un nucleo di diritto penale europeo (al contrario dei sistemi giuridici, la criminalità non "conosce" confini nazionali), con un'attenta valutazione dei rapporti con i paesi off-shore. L'Italia e gli altri Tesi n° 24 Una Europa più unita: la revisione del Trattato di Maastricht L'obiettivo dell'Unione Europea, pur se largamente condiviso sul piano astratto, tende nel concreto ad essere percepito dall'opinione pubblica come un vincolo più che un'opportunità. In gran parte questo sentimento è da fare risalire alle stesse istituzioni comunitarie caratterizzate da: - eccesso di burocratismo; - scarsa partecipazione democratica e assenza di una politica di immagine; - procedure decisionali non sempre trasparenti; - difficoltà a parlare con un'unica voce e ad agire efficacemente sulla scena internazionale. Dal prevalere di queste percezioni negative sui tangibili vantaggi che la costruzione dell'Europa ha fino ad oggi portato, potrebbero derivare forti tendenze al nazionalismo, che rischiano di indebolire ulteriormente le prospettive di integrazione. Occorre dunque non solo ripensare, ma soprattutto ripresentare il significato politico dell'impresa europea, che malgrado tutto mantiene intatto il suo significato profondamente rivoluzionario. E' responsabilità di tutti gli europei riprendere lo slancio ideale dei tempi della fondazione dell'Unione. Riteniamo che la prossima riforma del Trattato di Maastricht sia decisiva, poiché da essa emergerà l'alternativa futura: diluizione o rafforzamento. Il contributo italiano si presenta come particolarmente difficile e impegnativo. Oggi viviamo infatti un preoccupante distacco dall'Europa, che si sostanzia nella difficoltà al rispetto dei criteri di convergenza di Maastricht, nell'uscita dal sistema monetario europeo, nei ritardi per l'applicazione a Schengen, nella limitata partecipazione alle iniziative comuni in materia di difesa. E soprattutto una perdita di credibilità e di immagine presso i nostri partner che solo parzialmente stiamo oggi ricostruendo. Per un paese che ha contribuito con coraggio e lungimiranza alla fondazione della Comunità questo è un passo indietro di incredibile gravità. In vista e in preparazione del negoziato per la revisione del Trattato devono emergere chiaramente le priorità strategiche dell'Italia nei confronti dell'Europa, ed in particolare: - Spendere ogni energia per accompagnare l'integrazione politica con quella economica. Va avanzata la richiesta che l'Unione non si costruisca solo nel campo economico, ma che si estenda rapidamente agli aspetti politici e di sicurezza. E' questo un interesse vitale per l'Italia collocata al centro dell'area di crisi Est-Sud. - Il completamento dell'Uem. L'impegno per l'Unione Economica e Monetaria va mantenuto saldo, anche perché il raggiungimento della moneta unica di fatto costituisce un elemento fondamentale di quel "governo dell'economia" europeo che oggi ancora manca all'Unione. - Le politiche comuni. E' necessario sostenere l'idea, condivisa anche da altri partner comunitari, che l'Europa economica non è solo la moneta unica: occupazione, competitività, investimenti sono gli aspetti di un'economia reale che ancora stenta ad emergere nell'Unione. Al di là della disciplina fiscale ci interessa un'Europa delle opportunità positive: l'occupazione deve divenire il tema dei prossimi anni. Sugli aspetti generali della Conferenza di revisione, l'Italia deve appoggiare le soluzioni che: - rafforzino la politica estera e di sicurezza collegandola sempre più strettamente alle attività e alle procedure comunitarie; - accelerino il processo di avvicinamento dell'UEO (Unione dell'Europa Occidentale) all'Unione; - diano sostanza alla tutela della sicurezza dei cittadini dell'Unione attuando le disposizioni relative agli affari interni e della giustizia; - riformino le istituzioni equilibrando la rappresentatività con criteri di maggiore efficacia. In particolare la Conferenza risponderà a queste richieste se: - verranno estesi il voto a maggioranza qualificata o procedure analoghe a tutti e tre i "pilastri" (economico, di politica estera, di sicurezza dei cittadini); - il potere di codecisione del Parlamento europeo diverrà la regola principe; - la Corte di Giustizia estenderà il proprio ruolo alla tutela della sicurezza interna dei cittadini; - si toglierà il potere di veto all'articolo del Trattato che prevede le future revisioni (art. N); - si ridurranno e semplificheranno le procedure decisionali; - le procedure decisionali dell'UEO saranno rese compatibili con quelle dell'Unione; - saranno rafforzati i poteri del Comitato delle Regioni, rendendo il loro parere vincolante per le materie di loro competenza. Tesi n° 25 Una Europa più grande: l'integrazione dei nuovi Stati L'allargamento dell'Unione Europea ad altri paesi costituisce un argomento importante per le future strategie di integrazione, ma non ne è la sola ragione. In verità la questione dell'assetto futuro dell'Unione si sarebbe posta in ogni caso. L'allargamento non fa altro che accelerarne i tempi e sottolinearne i caratteri di urgenza. Da un punto di vista più generale, inoltre, la richiesta di allargamento non può essere respinta o diluita troppo a lungo nel tempo: - politicamente essa rafforza il ruolo di stabilità e di sicurezza che è connaturato al processo di integrazione e serve quindi ad evitare il rischio del nazionalismo; - economicamente prospetta un mercato sempre più vasto e competitivo; - dal punto di vista della sicurezza può rappresentare il punto di partenza di un nuovo sistema paneuropeo di garanzie. L'Italia deve quindi appoggiare l'allargamento sia verso il Centro-Est Europa che verso i paesi europei del Sud. Va però data una soluzione al problema di come mantenere un carattere fortemente integrato a questa Europa più larga e, allo stesso tempo, come permettere ai paesi che lo vorranno e lo potranno, di procedere più rapidamente degli altri. Semplificando, le possibili opzioni sono: o la riedizione dei progetti di cooperazione del tipo "Europe a la carte", per singoli progetti e con strumenti istituzionali diversi di volta in volta, o il mantenimento di una base istituzionale unica, ma con diversi gradi di intensità di integrazione al proprio interno (differenziazione). Riteniamo che questa seconda soluzione sia da preferire, per il semplice motivo che essa permette di mantenere intatto ed unitario il patrimonio di integrazione costruito con fatica in tutti questi anni. Si possono prevedere cadenze e percorsi "differenziati" in ambiti o materie specifiche. Essenziale è che sia mantenuta l'unità del sistema istituzionale e che gli organi decisionali siano gli stessi e con la stessa composizione, garantendo così un elemento decisionale comune. Il processo di revisione dovrà : - consentire ad ogni paese membro dell'Unione Europea di partecipare - sulla base dei criteri comunemente stabiliti - ad ogni fase di integrazione; - consentire, al tempo stesso, a quei paesi che lo ritenessero, di non partecipare temporaneamente a singoli aspetti del processo di integrazione, senza che questo impedisca agli altri di procedere; - promuovere procedure e provvedimenti che facilitino la progressiva armonizzazione e il graduale raggiungimento da parte di tutti i paesi degli stadi desiderati di integrazione. Tesi n° 26 La riforma dell'ONU Malgrado i segnali di grande debolezza dimostrati dalle Organizzazioni internazionali, il sistema multilaterale va preservato e migliorato con grande determinazione ed urgenza per bloccare l'offensiva del nazionalismo. Anche nei confronti del sistema multilaterale l'Italia si trova in una posizione difensiva. E' quindi essenziale che il Paese reagisca elevando il livello di partecipazione alle iniziative intraprese dalle organizzazioni internazionali e promuovendo attivamente la riforma dei loro meccanismi istituzionali e delle loro politiche. Fra i principi informatori della riforma delle principali organizzazioni internazionali vanno sempre tenuti presenti l'imparzialità, l'efficacia e la partecipazione. Per l'ONU si deve proporre una maggiore rappresentatività ed efficacia del Consiglio di sicurezza attraverso: l'aumento del numero dei membri con la creazione di una terza categoria di candidati, intermedia fra i membri permanenti e quelli a rotazione; il risalto da dare, nella scelta dei nuovi membri, al criterio dell'effettivo contributo che ciascun paese sta fornendo; l'introduzione di limitazioni al diritto di veto. Nelle operazioni di mantenimento della pace e militari, l'ONU potrebbe migliorare la propria efficacia attraverso: il rafforzamento del quartiere generale a New York; l'utilizzazione di personale qualificato da formare attraverso specifici centri di addestramento; la concessione, sulla base di un chiaro mandato, di una delega più ampia, sia politica che militare, a chi opera sul terreno; la creazione, sulla base di accordi con gli Stati, di unità militari da utilizzare per le operazioni delle Nazioni Unite; l'intensificazione della cooperazione con le organizzazioni regionali, che talora, come nel caso della NATO nel contesto europeo, possono offrire un contributo decisivo al mantenimento e ristabilimento della pace. L'ONU dovrà inoltre accentuare il proprio impegno nel controllo del rispetto dei diritti umani, coordinare meglio le agenzie specializzate per la promozione del progresso economico e sociale, rafforzare gli strumenti per uno sviluppo ecologicamente sostenibile, definire standard e principi comuni, nel rispetto delle varie tradizioni culturali e religiose. Per far fronte alla crisi finanziaria dell'organizzazione occorre da un lato accrescere l'efficienza generale del sistema, dall'altro contare anche su nuove fonti proprie, come la tassazione di alcuni servizi internazionali. Tesi n° 27 L'Italia e gli altri organismi internazionali L'esigenza di un adattamento del multilateralismo alla nuova situazione internazionale non vale solo per l'ONU, ma per l'insieme delle altre Organizzazioni, sia economiche che di difesa. Il Vertice dei Sette mantiene un ruolo chiave per la stabilità del sistema economico internazionale e per la nuova fase di liberalizzazione degli scambi commerciali che dovrà attuarsi attraverso la nuova Organizzazione per il Commercio Mondiale (OMC). Esso dovrà suggerire i criteri per il coordinamento delle altre istituzioni multilaterali al fine di evitare il riproporsi di guerre commerciali e per renderne più efficace il rispettivo ruolo nella gestione di determinate iniziative. Il rafforzamento dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), è essenziale, data la sua dimensione paneuropea, per offrire a tutti i paesi europei uno spazio comune di principi e regole condivise. Vanno in particolare sviluppate alcune funzioni chiave dell'Osce: la promozione dei diritti umani, la prevenzione dei conflitti, l'aggiornamento degli accordi per il controllo degli armamenti, l'assistenza ai nuovi stati indipendenti. A tal fine l'Italia proporrà alcune riforme della struttura e del modo di funzionamento dell'organizzazione e in particolare: l'attribuzione di un maggior potere di iniziativa al Segretario Generale; nuove limitazioni al diritto di veto; un potenziamento degli organi addetti alla promozione dei diritti umani. Per quanto riguarda la NATO il tema chiave è quello dell'allargamento. L'Italia sosterrà un graduale allargamento della NATO ai paesi dell'Europa centrale e orientale, ma insisterà nel contempo perché: - vengano preservati degli efficienti meccanismi decisionali e la credibilità complessiva dell'Alleanza atlantica come strumento di difesa collettiva; - si rafforzino i legami di consultazione politica e cooperazione militare (Nacc/PfP) con i paesi che non entreranno nel prevedibile futuro a farne parte; - si sviluppino le iniziative di cooperazione e i legami, anche militari, con la Russia, senza il cui contributo non si può stabilizzare l'Europa; - si rafforzino le altre istituzioni europee dall'UEO, come "pilastro" dell'Unione europea della Nato, all'Osce quale futura cornice di una sicurezza comune estesa a tutto il Continente. Tesi n° 28 L'Italia e i luoghi di crisi: come aiutare la pace L'Italia è al centro di una delle principali aree di crisi del mondo: l'arco di paesi che va ad Est dai Balcani all'Asia Centrale ex-sovietica e a Sud dall'Africa sub-sahariana al Mediterraneo è afflitto da sottosviluppo economico, crisi dei sistemi politici, frammentazione etnica, dispute territoriali e sulle risorse. Le conseguenze di queste crisi strutturali ricadono direttamente sull'Europa e sull'Italia attraverso: - proliferazione degli armamenti, conflitti militari, terrorismo, traffico di droga e armi; - emigrazione di massa alla ricerca di lavoro e rifugio dai conflitti; - diffusione di ideologie autoritarie (nazionalismo radicale, estremismo religioso). Il nostro paese deve puntare con forza alla realizzazione di una strategia multilaterale di: - soluzione delle cause politico-economico delle crisi; - prevenzione e gestione dei conflitti; - sviluppo di una cultura democratica fondata sul rispetto della legalità, sulla solidarietà, sul dialogo e sulla multietnicità. L'Italia non deve accettare un ruolo passivo, di semplice "piattaforma" per azioni altrui, ma sostenere presso i nostri partner una strategia per l'inserimento di tutte le aree ai confini prossimi dell'Europa nel 'ciclo virtuoso' dello sviluppo economico e della stabilità politica, attraverso la realizzazione da parte dell'Unione di un regionalismo Est-Sud, equilibrato e compatibile con l'interdipendenza mondiale. A livello comunitario l'Italia deve perciò stimolare attivamente: una strategia coordinata di allargamento dell'Unione verso Est e un forte sviluppo del partnerariato Euromediterraneo verso Sud; l'ingresso nell'Unione di Malta, Cipro e Turchia; l'elaborazione di una politica comunitaria dell'immigrazione, che non si limiti ai soli aspetti di sicurezza. Tesi n° 29 L'Italia e i Paesi deboli: come aiutare lo sviluppo La politica di cooperazione allo sviluppo rappresenta un principio essenziale nella politica estera di un Paese civile e democratico. L'Italia non può rinunciare a questo strumento, neppure in ragione degli scandali di passate gestioni e delle ristrettezze di bilancio. L'azione di risanamento è necessaria e urgente, ma vanno rimessi in moto subito gli strumenti operativi. Contemporaneamente va varata una riforma del settore che doti il nostro paese di strumenti adeguati alla gestione di questo delicato aspetto della nostra politica estera. Questa revisione implica: - la destinazione delle azioni di cooperazione non ai singoli governi, ma alle popolazioni ed in particolare ai gruppi più svantaggiati e a maggiore rischio; - la scelta di criteri di identificazione delle aree geografiche determinata dagli interessi dei beneficiari e non da quelli dei donatori; - l'attivazione di processi di sviluppo umano e sostenibile delle aree e delle popolazioni svantaggiate, piuttosto che il semplice trasferimento di beni o la realizzazione di opere; - l'inserimento, ove possibile, delle iniziative di cooperazione nel contesto delle politiche e dei piani nazionali di sviluppo, in stretto coordinamento con quanto realizzato da altre agenzie e organismi internazionali; - il collegamento e scambio di esperienze tra realtà locali ed istituzionali italiane e quelle dei paesi in cui si coopera. In questo contesto troveranno spazio anche le iniziative volte a favorire il coinvolgimento dei cittadini immigrati provenienti dai paesi in via di sviluppo e delle loro organizzazioni. Sotto il profilo organizzativo, l'unica soluzione possibile è quella di separare il momento politico dell'attività di cooperazione da quello programmatico-operativo. Va favorito il coordinamento fra agenzie internazionali e organismi nazionali, nonché la progressiva comunitarizzazione della politica di cooperazione a livello dell'Unione, in particolare per gli aiuti di emergenza e per la politica mediterranea. Inoltre va posto l'accento sulla rivitalizzazione del rapporto con il mondo del volontariato e con tutte le altre strutture che all'interno della società civile hanno dimostrato interesse e capacità a partecipare alle attività di cooperazione (Regioni, Comuni, università, fondazioni e centri di ricerca). Tesi n° 30 L'Italia e gli altri: come rilanciare la politica economica all'estero Ferma restando l'importanza della politica estera multilaterale, alla quale spetta il compito di garantire un ambiente internazionale gestito da regole e da comportamenti corretti, è di vitale importanza per l'Italia ripensare radicalmente la propria politica economica esterna. In questo specifico settore oggi il paese attraversa un momento di particolare debolezza. Sono insufficienti le strutture cui compete il sostegno al processo di internazionalizzazione del nostro sistema industriale e non funziona l'integrazione e il coordinamento fra le istituzioni preposte. Gli strumenti disponibili (SACE, SIMEST, ICE) operano in un sostanziale vuoto di indirizzi, in mancanza di un centro di raccordo della politica economica esterna. Inoltre le risorse finanziarie disponibili sono minime. Occorre dunque che: - si anticipino le linee strategiche di sviluppo dell'attività internazionale del Paese e si conduca quella necessaria opera di coordinamento fra i diversi settori interessati ad essa; - si individuino le aree geografiche prioritarie per l'impegno bilaterale e vengano concentrate le risorse su queste aree; - si privatizzino in larga parte gli strumenti finanziari ed assicurativi, pur lasciando una responsabilità primaria all'intervento pubblico. In particolare è necessario: - dare alla SACE una struttura ed una mentalità che permetta l'assunzione corretta di responsabilità, con l'inserimento di elementi professionali e con migliori capacità di valutazione dei rischi politici e commerciali; - coordinare la potenzialità degli interventi finanziari di sostegno, oggi frammentata tra Medio Credito Centrale, SIMEST e FINEST; - unificare l'azione della "diplomazia commerciale" all'estero superando i dualismi oggi esistenti tra sedi ICE all'estero e servizi economici delle ambasciate. Tesi n° 31 Un nuovo modello di difesa Le recenti crisi internazionali hanno messo in evidenza, a livello governativo e parlamentare italiano, l'incapacità di impostare una politica di sicurezza e di difesa adeguata alle nuove minacce e alle diverse responsabilità del paese nel mondo. Anche in questo caso occorre riprendere una forte iniziativa italiana volta ad evitare un duplice rischio: - di divenire una pura e semplice piattaforma militare per operazioni multilaterali; - di assistere, su scala europea, ad una progressiva rinazionalizzazione delle politiche di difesa, con conseguenze negative per l'Italia. Pertanto è necessario che sul piano della difesa nazionale si riprenda il progetto del Nuovo Modello di difesa comprendente: - una forte integrazione nella Nato e, in futuro, nel pilastro europeo dell'UEO per la difesa del territorio nazionale dalle potenziali minacce missilistiche provenienti da Est o da Sud; - l'adeguamento a livello europeo della qualità degli armamenti e della preparazione dell'esercito, dell'aeronautica e della marina per la partecipazione a forze multinazionali nelle operazioni di mantenimento e imposizione della pace; - la tendenza ad aumentare gradualmente l'esercito di tipo professionale pur mantenendo il servizio di leva. A nostro avviso un mix equilibrato fra leva e volontari può essere la migliore strategia da adottare. Questa proposta si collega strettamente al progetto di dare vita nel paese ad un servizio civile che consenta ai giovani di optare tra leva e servizio civile (vedi "I giovani al servizio della comunità"); - la fissazione, assieme alla forma da dare al nuovo modello di difesa, di parametri finanziari e di una programmazione pluriennale della spesa relativa alle trasformazioni da operare. In genere, nell'affrontare tutte queste esigenze, quello a cui devono puntare fermamente il governo e il parlamento è una maggiore europeizzazione della difesa, nel quadro della revisione del Trattato di Maastricht. Le buone regole dell'economia nazionale Tesi n° 32 Finanza sana per uno Stato sano Nell'ultimo quindicennio si è avuto un aumento senza precedenti dell'interdipendenza fra sistemi economici nazionali, determinato dalla globalizzazione dei mercati finanziari e dall'abbattimento delle barriere commerciali. Il mercato unico accentua, e rende irreversibile, la spinta all'integrazione delle economie europee. La partecipazione all'Unione Europea impone un processo di convergenza alle condizioni prevalenti nelle economie più forti e più stabili. In conseguenza, si riducono gli spazi di autonomia delle politiche macroeconomiche nazionali: i tentativi di espansione economica attraverso politiche monetarie e di bilancio in un solo paese non sono sostenibili; cresce l'importanza delle politiche microeconomiche; una crescita sostenibile richiede inflazione bassa, cambio stabile e assenza di squilibri strutturali di finanza pubblica, e credibilità delle politiche economiche. In Italia, l'inflazione è stata più alta e variabile, il cambio si è deprezzato, il debito pubblico ha raggiunto limiti allarmanti. Questa devianza non trova compensi in una crescita più elevata, in un miglioramento nella dotazione di infrastrutture, in una riduzione delle disuguaglianze sociali e territoriali, in una minore disoccupazione. Il debito e la spesa per interessi irrigidiscono la finanza pubblica; impongono oneri alle nuove generazioni; rappresentano un costo per le imprese. In conseguenza, in Italia i gradi di libertà delle politiche macroeconomiche sono ancor più esigui. Il controllo dell'inflazione e la prosecuzione dello sforzo di risanamento della finanza pubblica rappresentano due vie obbligate, dalle quali non si può deviare. Queste costrizioni non derivano solo dai vincoli del Trattato di Maastricht per l'adesione all'Unione Economica e Monetaria. Un'inflazione elevata e variabile è comunque dannosa. Un allentamento della guardia sul fronte della finanza pubblica produrrebbe comunque più alti tassi d'interesse e il rischio di crisi finanziarie. Una nostra estraneità al processo di convergenza verso l'Unione Monetaria aumenterebbe questi costi: restare ai margini della costruzione europea, di cui l'Unione Monetaria costituisce una tappa, provocherebbe danni irreversibili alle possibilità di sviluppo e alla stabilità economica. Il controllo dell'inflazione deve essere conseguito attraverso l'uso congiunto di tre strumenti. Deve essere proseguita la politica dei redditi impostata con gli accordi del 1992 e del 1993, che ha consentito di contenere i costi della svalutazione in termini di inflazione. La prassi della concertazione con le parti sociali deve restare a fondamento della politica per la stabilità monetaria. Essa non implica che il governo abdichi alle sue responsabilità; consente piuttosto di ottenere soluzioni cooperative, che, attraverso la convergenza negoziata di comportamenti liberamente adottati dalle parti, producano esiti desiderabili ma non raggiungibili altrimenti. L'indipendenza della Banca centrale nel perseguire l'obiettivo di disinflazione deve essere mantenuta e, semmai, rafforzata. Quanto più una banca centrale è credibile, tanto minore è il costo di una politica monetaria che assuma come fine preminente la stabilità dei prezzi: gli scomposti attacchi mossi in passato contro la Banca d'Italia hanno certamente reso più difficile l'opera delle autorità monetarie. Si deve portare a termine nei prossimi due anni il risanamento della finanza pubblica, per persuadere i mercati che le esigenze di bilancio non interferiranno con l'autonomia della politica monetaria. La finanza pubblica italiana ha intrapreso dal 1992 un cammino di risanamento: al netto degli interessi, il bilancio del settore statale e quello delle pubbliche amministrazioni ha un avanzo strutturale; dal 1994 la spesa pubblica si riduce in quota del prodotto interno lordo. Il Documento di Programmazione economico-finanziaria prevede che con una manovra di bilancio da 32.500 miliardi per il 1996 e con ulteriori interventi per 27mila e per 25mila miliardi (poco più dell'1% del PIL), nei due anni successivi l'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni verrà riportato al di sotto del limite del 3% del PIL, richiesto dal Trattato di Maastricht, entro il 1998. E' molto, ma non è abbastanza per entrare in Europa: l'esame del rispetto delle condizioni di convergenza avverrà nel 1998 e avrà dunque come riferimento il 1997; é virtualmente certo che gli obiettivi del Governo per il 1996 verranno mancati, perché gli effetti della manovra saranno inferiori a quelli previsti e soprattutto perché la spesa per interessi è sottovalutata nei documenti ufficiali. Per poter vantare un buon diritto di ammissione all'esame europeo del 1998, occorre anzitutto un intervento aggiuntivo per il 1996; potrà manifestarsi necessario nel 1997 un intervento più pesante di quello previsto. Si tratta di un compito non facile e che richiede grande rigore, poiché la pressione fiscale è già a livelli assai elevati e superiori a quelli europei, mentre i tagli operati hanno già ridotto la spesa in alcuni settori ben al di sotto dei livelli europei. In questa situazione, un governo responsabile, che non voglia vendere promesse inesigibili di prosperità, deve impegnarsi: - a mantenere la pressione fiscale invariata nel prossimo triennio rispetto ai livelli del 1995; - a reperire risorse tramite l'intensificazione della lotta all'evasione fiscale; - ad assicurare una riduzione della quota della spesa pubblica sul prodotto interno lordo di due-tre punti percentuali. L'urgenza del compito non può impedire che ad esso si faccia fronte con riforme strutturali e in una prospettiva di lungo periodo. In materia di entrate proponiamo una riforma tributaria fattibile che poggia su: semplificazione; forma cooperativa di federalismo fiscale; riforma dell'imposizione sui redditi, personali, da attività finanziarie e societarie; riforma dell'amministrazione finanziaria e dell'accertamento. Un maggior gettito, richiesto dall'invarianza della pressione fiscale, è reso compatibile con i principi di semplicità, di trasparenza e di equità, che devono ispirare un moderno sistema tributario. Il contenimento della spesa pubblica deve avvenire con scelte ragionate, e non con tagli operati in base al solo criterio di minimizzarne il costo politico, senza riguardo alle conseguenze negative di lungo periodo. Una prima opportunità di contenimento della spesa deriva dalla coerente applicazione del principio di uno Stato leggero, con il ritiro della presenza pubblica da quei settori ove essa non sia giustificata dall'esigenza di provvedere a servizi non altrimenti ottenibili, di garantire uguaglianza di opportunità, di assicurare le condizioni per un impiego produttivo delle risorse nelle aree meno favorite del Paese. Una seconda e ampia opportunità di contenimento si rinviene in un miglioramento dell'efficienza e nella razionalizzazione della spesa: non si tratta in questo caso di tagliare l'offerta di servizi e di beni pubblici, ma di ridurne il costo, conferendo autonomia, attribuendo responsabilità e imponendo severi vincoli di bilancio ai centri di spesa. I primi tentativi seri di riforma dell'amministrazione centrale si sono mossi in questa direzione. Si muove in questa direzione il federalismo fiscale che noi proponiamo: trasferendo ai livelli inferiori di governo funzioni e possibilità di prelievo, anche volto a specifiche finalità che si manifestano a livello locale, decentramento e federalismo coniugano autonomia di decisioni e più diretta responsabilità per la gestione e per le scelte di impiego delle risorse di fronte ai cittadini destinatari dell'offerta di beni e servizi pubblici. L'opera di risanamento della finanza pubblica sarà resa più facile se un governo stabile la considera esplicitamente un suo compito prioritario. Un tale impegno, quando sia reso credibile da atti di amministrazione e di legislazione, viene compensato da una riduzione dei tassi d'interesse richiesti sui titoli pubblici e dunque del costo del debito e della spesa per interessi: la differenza fra tassi italiani e tassi tedeschi, oggi di 5 punti e mezzo, potrebbe ridursi di due - tre punti. Maggiore è lo sforzo iniziale, maggiore è il rendimento che se ne ottiene in termini di diminuzione del disavanzo. Una riduzione dell'onere di interessi più rapida di quanto un'opportuna cautela suggerisce di mettere in conto potrà consentire in parte una più corposa riduzione del disavanzo, in parte un alleggerimento della pressione fiscale. Tesi n° 33 Bilancio agile e corretto Per meglio conseguire il fine del contenimento e della razionalizzazione della spesa a livello centrale e per restituire funzionalità e dignità politica al processo di decisione del Governo e del Parlamento sulla destinazione dei flussi di spesa, il nostro programma prevede una riforma delle istituzioni di bilancio, che assicuri: l'esercizio effettivo dei poteri di indirizzo e di controllo da parte del Parlamento; la piena responsabilità e trasparenza delle decisioni; la possibilità di accertare la cause e le responsabilità degli scostamenti rispetto agli obiettivi. Proponiamo pertanto: - Una riscrittura dell'art. 81 della Costituzione, per stabilire anzitutto il principio che l'indebitamento possa essere utilizzato solo a copertura dei programmi di investimento a orizzonte temporale definito e per ammettere limitazioni alle facoltà di emendamento degli strumenti legislativi di finanza pubblica. - Il riconoscimento al Governo di una facoltà di veto sospensivo di deliberazioni legislative, sia in assemblea sia in commissione, motivato con la violazione delle richiamate regole di equilibrio. - Una riorganizzazione dei contenuti del bilancio e della legge finanziaria in un unico strumento normativo, con limiti assai stretti di emendabilità. - La votazione del bilancio sulla base di un'aggregazione che individui i centri di responsabilità politica e amministrativa. Tesi n° 34 Come deve essere il fisco Nei paesi moderni il fisco è una faccia della democrazia: pagare le imposte deve dare il senso di appartenenza ad una collettività locale e ad uno Stato nazionale. Dunque, se il fisco non funziona anche la democrazia ne soffre e con essa il senso della nostra libertà. Non bisogna credere a chi promette di superare il disagio fiscale con un colpo di bacchetta magica, con proposte improvvisate e fumose, estranee all'architettura fiscale comune a tutti i paesi sviluppati. In questo modello comune, il fisco può essere però ragionevolmente tollerabile oppure insopportabilmente vessatorio, iniquo e paradossale, come è avvenuto negli ultimi anni in Italia. Le cause stanno soprattutto nella concitata e improvvisata legislazione d'emergenza e nella colpevole indifferenza verso il progressivo sfascio degli apparati fiscali. Per ricostruire un rapporto di civiltà tra fisco e cittadini, il sistema fiscale: - deve essere molto efficiente da un punto di vista amministrativo. Sono gli apparati fiscali, e non i tipi d'imposta, a fare la differenza tra un fisco nordeuropeo e un fisco sudamericano; - deve essere decentrato e dunque vicino a noi affinché si possa meglio giudicare l'azione degli amministratori che manovrano le imposte; - deve essere moderatamente progressivo per consentire a chi più ha di essere coscientemente solidale con chi ha meno, evitando però tassazioni velleitarie, destinate come tali a restare lettera morta; - non deve intralciare le attività produttive, da cui deriva l'occupazione e lo sviluppo del paese e deve consentire la nascita di nuove imprese seguendone in modo flessibile lo sviluppo e la crescita; - deve spingere i giovani, soprattutto quelli delle aree meno sviluppate, ad essere imprenditori di se stessi creando ricchezza nelle loro comunità locali; - deve favorire l'occupazione, sostituendo ciò che aumenta il costo del lavoro con altri tributi che non gravino sulle scelte occupazionali; - deve aiutarci a tutelare l'ambiente disincentivando l'inquinamento di terra, cielo e mare; - deve essere semplice, comprensibile e trasparente per la grande massa dei cittadini, per non farci maledire ogni volta l'adempimento degli obblighi tributari; - deve eliminare tutti i tributi anacronistici, che danno più fastidio ai cittadini che soldi alle casse dello Stato e reintrodurre il buon senso nei controlli fiscali, eliminando i pretestuosi formalismi nei confronti di chi non ha evaso una lira; - deve dare la certezza, anche per non suscitare l'invidia sociale, che tutti coloro che hanno lo stesso ammontare di reddito e di patrimonio, paghino lo stesso ammontare di imposte. Tesi n° 35 Tasse semplici e razionali La semplificazione formale e sostanziale del sistema tributario è il primo passo da fare per sanare la frattura che si è creata tra fisco e contribuenti. Non dobbiamo perdere tempo e denaro negli oscuri meandri delle leggi e dell'amministrazione quando dobbiamo pagare le imposte. L'onere del carico tributario deve essere mitigato almeno da un alleggerimento degli obblighi, eliminando gli adempimenti non necessari oggi imposti ai contribuenti. Vi è ampio spazio per abolire alcuni tributi il cui costo di gestione e di riscossione, per l'amministrazione e ancor più per i contribuenti, è sproporzionata rispetto al gettito. Le nostre proposte comportano: - la soppressione: - dei contributi sanitari, della tassa sulla salute, dell'ILOR e dell'ICIAP (da assorbire in una imposta regionale), - di numerose tasse di concessione governativa (da trasformare, eventualmente, in tariffe o canoni statali, regionali, comunali); - la radicale riorganizzazione: - delle imposte di bollo, - della imposta di successione, - della imposta di registro, - della imposta sul possesso di autoveicoli, natanti e aeromobili. L'introduzione nella amministrazione di una unica e telematica "rete fiscale e contributiva" consentirà di gestire ad ogni livello di governo ogni posizione del contribuente relativa a dichiarazioni, rimborsi, versamenti, accertamenti, ecc.. Tale "rete" deve essere affiancata da una ulteriore semplificazione delle diverse dichiarazioni dei redditi e dalla possibilità di pagare le imposte con qualunque mezzo di pagamento (assegni, carte di credito, bonifici bancari, ecc.). L'amministrazione deve inoltre creare nelle grandi città uffici a livello territoriale, per rispondere alle richieste dei contribuenti e fornire servizi di consulenza e assistenza tributaria, sostituendo l'ottica attuale del controllo-repressione con quella della assistenza-prevenzione. Tesi n° 36 Come combattere l'evasione fiscale Evasione ed elusione costituiscono elementi distorsivi della concorrenza, contribuiscono ad alimentare la permanenza di molti soggetti economici nel settore dell'economia sommersa, sono fonte di iniquità, aumentano la disaffezione per la cosa pubblica, minano la coesione sociale. Frenano dunque lo sviluppo di medio e lungo periodo dell'economia italiana. La riduzione dell'evasione e dell'elusione fiscale può essere seguita dalla riduzione delle aliquote al fine di mantenere invariata la pressione tributaria macroeconomica. Eccezionalmente, una parte del gettito così recuperato potrebbe essere temporaneamente utilizzata per la riduzione del fabbisogno pubblico. Sin qui le forze politiche, nella migliore delle ipotesi, si sono limitate a mediare ambiguamente lo scontro tra le parti sociali (minimum tax e concordato di massa lo dimostrano). All'eccessivo rafforzamento dell'apparato formale di controllo, con insopportabili obblighi e gravose sanzioni, si sono accompagnate politiche dirette ad evitare scontri con le categorie più a rischio, concedendo condoni più o meno travestiti e ipotizzando, invece di controlli pregnanti, grossolani meccanismi di determinazione catastale del reddito d'impresa e di lavoro autonomo. Il fenomeno evasivo va invece affrontato subito e riportato, seppur gradualmente, alla fisiologia. Una riforma strutturale dell'amministrazione finanziaria e dell'accertamento deve essere parte integrante e prioritaria di ogni ipotesi di riforma, per evitarne il fallimento. Al punto in cui siamo, infatti, o l'amministrazione finanziaria si modernizza e si mette al passo con qualunque tipo di riforma tributaria o si cede il passo ai soliti condoni, concordati di massa e periodiche stangate. Proponiamo quindi: - di riorganizzare l'amministrazione finanziaria secondo criteri aziendalistici, con operatori opportunamente selezionati e qualificati, pagati a prezzi di mercato, ma sottoposti a più rigidi controlli. E' infatti necessaria un'amministrazione in grado di entrare in contraddittorio con il contribuente, di revocare o annullare anche gli atti assunti; di saper utilizzare al massimo le grandi possibilità che offre l'informatica; di fare convenienti concordati senza cadere nella trappola della corruzione o della concussione o, in alternativa, in grado di compiere accertamenti ragionati e di buona qualità, sostenibili con successo in sede contenziosa; - di applicare metodi di valutazione presuntiva meno rozzi di quelli finora adottati, attuando studi di settore, determinati con la collaborazione delle categorie e di promuovere, nei casi singoli, forme apposite di concordati definiti sulla base degli imponibili medi delle analoghe imprese fiscalmente "corrette". Quanto all'elusione fiscale - cioè l'aggiramento fraudolento delle norme fiscali al fine di risparmio d'imposta - proponiamo: - l'introduzione di una norma generale antielusiva, alla stessa stregua di altri paesi europei, che consenta di colpire tutte le operazioni in frode al fisco condotte con finalità extrafiscale. Una norma generale, cioè, che qualifichi come fiscalmente illeciti quei comportamenti delle parti che, pur non andando dal punto di vista formale oltre la lettera della legge, la contraddicono tuttavia sostanzialmente nel senso, nello scopo e nella effettività degli interessi. Con questa proposta non si intende istituire un indiscriminato divieto di compiere ogni operazione avente di mira il risparmio fiscale né dotare gli uffici di un potere discrezionale eccessivo. Essa non andrà infatti applicata quando l'operazione è giustificata anche da un interesse economico che dia un senso alla scelta negoziale compiuta: sono infatti da considerare assolutamente lecite le operazioni che non hanno una mera giustificazione fiscale e presuppongono finalità imprenditoriali. Tesi n° 37 Federalismo fiscale Il federalismo fiscale cooperativo che proponiamo, costituisce il presupposto di ogni riforma tributaria. Come tale esso trova la sua valorizzazione quale uno dei criteri cruciali di organizzazione della società nazionale e va assunto in un progetto politico partecipativo fondato sulla autonomia finanziaria degli enti territoriali. Esso si ispira a tre fondamentali principi: di responsabilità di chi amministra la cosa pubblica, che comporta una connessione più stretta tra decisione di spesa e responsabilità delle entrate e una maggiore autonomia amministrativa; di sussidiarietà, secondo cui un dato problema politico deve essere affrontato dal livello di governo più vicino ai cittadini; di solidarietà tra livelli di governo, in base al quale le comunità più agiate devono farsi carico dei bisogni di quelle meno dotate, per compensare le differenze che derivano da fattori non voluti e di cui non possono essere ritenuti politicamente responsabili. Il punto di partenza è un allargamento dell'autonomia tributaria degli enti decentrati, in un quadro che abbia come protagoniste le Regioni, il cui ruolo e capacità di intervento va ripristinato secondo gli orientamenti della Costituzione. Questo disegno è compatibile con la massima estensione dell'autonomia e valorizzazione del ruolo dei Comuni. L'autonomia tributaria regionale dovrà realizzarsi con forme di compartecipazioni ai grandi tributi erariali (IRPEF e/o IVA) ed anche tramite l'introduzione di un nuovo tributo regionale in sostituzione dei contributi sanitari, della tassa sulla salute, dell'ILOR e dell'ICIAP e di altri tributi minori, consentendo agli enti decentrati che lo vogliano di modificare le aliquote per finanziare livelli di servizi pubblici superiori a quelli standard. Il disegno dei rapporti tra centro e livelli di governo decentrati è definito da leggi nazionali e prevede trasferimenti perequativi di tipo orizzontale tra Regioni, in cui quelle più ricche contribuiscono ad integrare le risorse di quelle meno dotate, e trasferimenti perequativi verticali dallo Stato a favore dei comuni e degli altri enti locali. Tali trasferimenti devono consentire ad ogni ente decentrato l'offerta di livelli accettabili di servizi pubblici essenziali (sanità, assistenza, scuola, ecc.), e devono essere costruiti in modo da incentivarlo ad accertare e riscuotere i tributi di propria competenza e penalizzare le amministrazioni poco solerti su questo fronte. Resta essenziale il ruolo della politica statale nel finanziamento degli investimenti nelle aree che abbisognano di ampliamenti dei fattori produttivi, che dovrà tuttavia prevedere anche la partecipazione finanziaria degli enti periferici per responsabilizzarli nella programmazione dell'attività di investimento. A livello comunale non esistono ragioni per abbandonare l'attuale impostazione fondata sull'ICI, che potrebbe essere sottoposta ad una revisione, collegata anche all'aggiornamento del catasto, che porti al graduale assorbimento in essa del gettito dell'imposta di registro relativa ai trasferimenti immobiliari. Ci si muoverà verso il superamento della Tosap e la sua trasformazione in un sistema di canoni e tariffe da gestire in piena autonomia. Per il finanziamento degli investimenti debbono permanere strumenti di intervento statale, nella forma di trasferimenti condizionati, con la compartecipazione dell'ente periferico alla spesa, per responsabilizzarlo e indurlo ad una programmazione di tipo "imprenditoriale" delle attività di investimento. Inoltre, per consentire una maggiore autonomia e responsabilità nella programmazione degli investimenti da parte dei Comuni, potrebbe essere data loro la facoltà di introdurre imposte di scopo, finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche di interesse generale per le quali non é possibile l'autofinanziamento. Le imposte di scopo sono uno degli strumenti per aumentare la flessibilità dei Comuni nelle modalità di reperimento delle risorse: a questo fine, é possibile inoltre consentire ai Comuni sia di determinare, entro ambiti ben delimitati, tariffe e nuove fattispecie imponibili, sia di abolire tributi esistenti che neppure ripagano il costo di esazione, sia di consentire un accorto sfruttamento economico dei beni demaniali e degli immobili di interesse storico-artistico. Per le Province dovrebbe bastare l'attribuzione delle imposta di trascrizione al PRA e sulle assicurazioni RC auto, che diventerebbero autonomi prelievi provinciali. Tesi n° 38 L'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e gli assegni familiari L'IRPEF costituisce l'imposta principale per realizzare obiettivi redistributivi. Essa, pertanto, va adeguata alle esigenze delle famiglie monoreddito e di quelle con numerosi componenti a carico e meno favorite economicamente. Va tuttavia ridotto il disincentivo al lavoro connesso ad aliquote marginali troppo elevate, recuperando la progressività con maggiori detrazioni. Le nostre proposte, che tengono conto della impraticabilità costituzionale della tassazione su base familiare, riguardano: - una riduzione degli scaglioni da sette a non più di quattro, con l'innalzamento dell'aliquota iniziale e l'abbassamento di quelle più elevate; - un aumento delle detrazioni di imposta sui redditi da lavoro, sia dipendente che autonomo, per tenere conto dell'innalzamento dell'aliquota iniziale; - una revisione dell'ulteriore detrazione oggi esistente commisurandola al reddito complessivo del contribuente, anziché alle singole componenti di reddito; - una revisione del sistema di detrazioni per carichi familiari al fine di aumentarne l'entità per il coniuge a carico, ma soprattutto ed in misura assai più consistente per i figli e gli eventuali anziani a carico. Per il sostegno delle famiglie più numerose proponiamo di integrare il ruolo distributivo IRPEF potenziando fortemente gli assegni per il nucleo familiare, che devono essere estesi ai lavoratori autonomi (con gestioni finanziarie separate, almeno in una prima fase). Tesi n° 39 Tassazione delle attività finanziarie Una completa liberalizzazione valutaria in assenza di accordi internazionali per armonizzare la tassazione dei redditi di capitale tende a favorire movimenti di capitali verso le piazze finanziarie a più bassa fiscalità. Tuttavia non si può cedere al ricatto della competizione fiscale, il cui ultimo risultato sarebbe la completa esenzione dei redditi da capitale e la concentrazione della tassazione sui soli redditi di lavoro. Al contrario, per evitare una crescente competizione al ribasso delle aliquote, il nostro paese deve esercitare un ruolo attivo affinché siano individuate soluzioni coordinate a livello internazionale. La crescente internazionalizzazione dei mercati e la piena liberalizzazione valutaria e dei movimenti di capitale suggeriscono di mantenere un sistema di imposizione con ritenute alla fonte a titolo di imposta per le persone fisiche. Ai fini di rendere agevole la tassazione dei redditi finanziari e di semplificare gli adempimenti da parte del contribuente, la nostra proposta concentra l'imposizione in capo agli intermediari. La qualifica di intermediario va estesa a tutti gli operatori che custodiscono e gestiscono le attività finanziarie delle persone fisiche. La nostra proposte prevede che la tassazione delle attività finanziarie sia estesa non solo agli interessi, ma anche al risultato netto delle gestioni finanziarie. Ciò consente, con aliquote di dimensione modesta, di tassare le plusvalenze maturate (al netto delle minusvalenze) e i proventi dei prodotti innovativi, con effetti non distorsivi e non disincentivanti il funzionamento dei mercati finanziari. Le aliquote vanno tendenzialmente uniformate, così come avviene in tutti gli altri paesi dell'Europa occidentale anche per evitare arbitraggi di natura esclusivamente fiscale. Tesi n° 40 Come tassare il reddito d'impresa La tassazione del reddito d'impresa ha bisogno di una ampia e radicale riforma. Il sistema attuale discrimina infatti in funzione della scelta della forma legale (società di capitali, società di persone e imprese individuali); non è neutrale nei confronti delle decisioni finanziarie e di investimento delle imprese; favorisce il finanziamento con capitale di debito rispetto al capitale di rischio; spinge a concentrare gli utili all'estero (dove le aliquote sono più basse) e i costi in Italia (dove le aliquote sono più elevate). La nostra proposta di riforma ha lo scopo di: - stimolare la capitalizzazione delle imprese e la loro quotazione sul mercato; - rimuovere l'attuale incentivo a localizzare all'estero gli utili di impresa e gli stessi investimenti produttivi; - garantire una maggiore uniformità nella tassazione dei redditi da capitale, evitando, come ora accade, che essa incentivi gli investimenti finanziari rispetto a quelli direttamente produttivi. Riteniamo percorribile la via della suddivisione del reddito di impresa in due componenti da sottoporre a diversa imposizione: il "reddito da capitale imputato", ottenuto applicando al capitale proprio investito nell'impresa un tasso di interesse di mercato e il reddito "residuo". Il primo è tassato con la stessa aliquota di imposta a cui sono assoggettati i redditi delle attività finanziarie; il secondo è sottoposto a IRPEG o IRPEF a seconda della natura giuridica della società. Tesi n° 41 Come tassare gli immobili Il prelievo sugli immobili appare oggi molto gravoso e non neutrale rispetto al titolo di godimento dell'immobile (proprietà o affitto). Inoltre scoraggia i trasferimenti di proprietà e quindi la mobilità delle famiglie. Nei limiti imposti dalle esigenze del bilancio, occorre concedere sgravi che non creino distorsioni nell'uso delle abitazioni o ingiuste redistribuzioni dai meno abbienti ai più ricchi. Per le case date in affitto, proponiamo: - la riduzione della percentuale di tassabilità del reddito effettivo; - la riduzione di imponibile per morosità dell'inquilino; - la riduzione dell'imposta di registro sui contratti. Per le case abitate dai proprietari proponiamo una progressiva riduzione dell'imposta di registro sui trasferimenti e un ampliamento della deducibilità IRPEF. E' urgente la revisione del catasto, oggi fonte di sperequazioni e ingiustizie, facendovi partecipare i Comuni. A questi deve spettare, nel quadro di una maggiore autonomia e responsabilità fiscale, un ruolo di cogestione con lo Stato. Tesi n° 42 Chi inquina paga L'imposizione ambientale può e deve essere utilizzata come strumento di tutela dell'ambiente, di stimolo all'innovazione tecnologica, di disincentivo all'utilizzo di sostanze dannose. L'introduzione di una imposta sull'emissione di biossido di carbonio ("carbon tax") finalizzata a scoraggiare gli inquinanti, oltre a ridurre i danni ambientali, potrebbe consentire altri vantaggi in termini di redistribuzione dei carichi fiscali. In particolare, potrebbe finanziare sgravi IRPEF e degli oneri sulle imprese divenendo strumento di promozione di nuova occupazione. Qualsiasi imposizione ambientale deve tuttavia rispettare il principio di non penalizzare la competitività delle imprese italiane: per questo occorre un sistema di imposte comuni europeo, condizione indispensabile per introdurre la "carbon tax" anche nel nostro Paese. L'Italia si farà perciò promotrice presso i partner europei della realizzazione di sistemi di fiscalità ecologica. Altri interventi fiscali finalizzati alla salvaguardia dell'ambiente potrebbero riguardare sistemi di pedaggio per l'accesso ai centri storici, l'aumento dell'imposizione sullo stazionamento, la tassazione dei rifiuti, anche nella prospettiva di un maggior coinvolgimento delle autonomie locali. Tesi n° 43 Una Repubblica fondata davvero sul lavoro Nell'Unione europea vi sono oltre 18 milioni di disoccupati (il 12% delle forze di lavoro); il tasso di disoccupazione giovanile è del 22%; aumenta la quota di disoccupati di lunga durata; i recuperi occupazionali nelle fasi espansive del ciclo sono insufficienti a far discendere il tasso di disoccupazione ai livelli, pur elevati, precedenti le fasi recessive. In Italia, pur se il tasso di disoccupazione è in linea con la media europea (intorno al 12% delle forze di lavoro pari a 2.700.000 disoccupati) la situazione presenta caratteri strutturalmente più gravi: vi è divario nei tassi di disoccupazione regionali non paragonabile ad analoghe differenze in altri paesi europei; il 30% della popolazione compresa tra 25 e 54 anni non è produttiva, cioè non rientra nella forza lavoro; la disoccupazione italiana presenta caratteristiche ormai croniche che rendono il problema ancor più drammatico che non in altri paesi; i giovani italiani hanno poche probabilità di trovare un lavoro, con un tasso di disoccupazione giovanile del 31%; sul mercato del lavoro c'è ancora una sostanziale differenza tra sessi sia in termini di tassi di partecipazione che in termini di tassi di disoccupazione. Le cause di questi sviluppi sono complesse in tutti i paesi europei. La situazione del nostro Paese è resa ancor più complicata dalle debolezze della struttura produttiva, segnata da una pesante carenza di infrastrutture e da un accentuato dualismo territoriale, da un modello di specializzazione industriale che soffre la crescente concorrenza internazionale, da un settore dei servizi ormai in affanno perché gravato da ampie zone di inefficienza, da un sistema di formazione e di riqualificazione professionale estremamente carente. Non esistono pertanto, né in Italia né in Europa, soluzioni semplici e sicure: sia una crescita più elevata, sia una maggiore flessibilità sul mercato del lavoro sono condizioni necessarie, ma non sufficienti. La strategia per l'occupazione e lo sviluppo fa leva su una batteria di strumenti, che possono essere classificati in tre gruppi. Politiche dal lato dell'offerta, per aumentare la capacità dell'individuo di cercare lavoro, innanzitutto attraverso l'istruzione e la formazione professionale; per aumentare la capacità delle persone di trovare lavoro nei momenti di crisi aziendali e di passaggio da un'occupazione ad un'altra. Ristrutturare i sussidi e gli ammortizzatori sociali, per collegarli a un'effettiva disponibilità a lavorare e per facilitare mobilità e flessibilità. La Cassa integrazione guadagni deve essere ricondotta ai suoi compiti propri, di ammortizzatore per le sole crisi aziendali di natura temporanea, offrendo alle parti sociali anche la possibilità di ricorrere al contratto di solidarietà (con onere pari al risparmio che ne deriva in conto CIG). Nel caso di crisi aziendali non temporanee, la cassa integrazione viene sostituita da un Fondo per la mobilità: i lavoratori posti in mobilità riceverebbero un sussidio pari al trattamento di cassa integrazione per un periodo di tempo predeterminato; avrebbero l'obbligo di accettazione della prima chiamata al lavoro o di svolgere lavori socialmente utili, promossi dall'Agenzia per il lavoro (v. oltre). Al lavoratore in mobilità può essere lasciata la possibilità di trasferire il sussidio all'impresa che si offra di occuparlo. Ai lavoratori che rilevano in cooperativa l'azienda, il sussidio può essere dato in unica soluzione come contributo in conto capitale. Interventi sulla domanda, per facilitare la creazione di nuove opportunità imprenditoriali e per stimolare la domanda di lavoro da parte delle imprese. Creare nuove possibilità di lavoro: una nuova domanda di lavoro può derivare dalla promozione dei servizi alla persona nel "terzo settore". E soprattutto una nuova politica ambientale può generare nuovi posti di lavoro, con una concentrazione di sforzi, pubblici e privati, sul riassetto idrogeologico del territorio, nella incentivazione di produzioni energetiche di utilizzo diffuso e non inquinanti; nel recupero e valorizzazione del paesaggio, del patrimonio artistico, dei parchi e delle coste; nella ricostruzione della "città costruita". Diminuire il costo del lavoro, riducendo il cuneo fiscale tra salario per il lavoratore e costo del lavoro per l'impresa attraverso una fiscalizzazione dei contributi sanitari che li sostituisca con una nuova imposta regionale (vedi "Federalismo fiscale"). Differenziali salariali, che rispecchino differenziali di produttività tra settori produttivi e zone del Paese, possono essere realizzati in modo economicamente corretto e socialmente controllabile: non imponendo la ''camicia di forza'' delle gabbie salariali, ma ampliando il ruolo della contrattazione aziendale e territoriale. Non si tratta di concedere deroghe ai contratti nazionali ma di sollecitare le parti sociali, attraverso nuove figure di raccordo istituzionale, a contrattare accordi specifici, per obiettivi mirati di promozione di nuova occupazione in nuovi insediamenti e per un periodo predeterminato. Promuovere l'innovazione e le piccole e medie imprese. La politica industriale deve concentrare le risorse sul finanziamento di pochi programmi di innovazione tecnologica e sul sostegno alle capacità autonome di sviluppo delle piccole imprese e deve sviluppare forme flessibili di intervento pubblico. Va sostenuta in particolare la creazione di distretti industriali, che richiedono infrastrutture, incentivi alla specializzazione e regole che stimolino la flessibilità funzionale del lavoro. Interventi nel mercato del lavoro, per favorire l'incontro fra domanda e offerta e per aumentare la flessibilità. Favorire l'incontro tra domanda e offerta: le strutture del mercato del lavoro possono essere migliorate con l'istituzione di una Agenzia pubblica, che sostituisca le attuali strutture del collocamento. L'Agenzia, con statuto autonomo dalla pubblica amministrazione, promuoverà l'incontro di domanda e offerta di lavoro, migliorando e diffondendo l'informazione necessaria e sostenendo la mobilità territoriale; e potrà inserire i disoccupati nel sistema di formazione e riqualificazione professionale riformato. Aumentare le possibilità di gestire i tempi di lavoro e di vita, con due obiettivi di fondo: una progressiva riduzione dell'orario, settimanale o annuale, di pari passo con l'aumento della produttività; una maggiore possibilità di scelta del singolo circa la gestione del proprio ciclo di vita. L'intervento legislativo non può essere troppo rigido, perché la ridefinizione dei regimi di orario deve essere un processo caratterizzato dalla massima flessibilità di adattamento alle esigenze sia dei lavoratori interessati sia delle aziende. Si tratta perciò di definire un sistema di incentivi volto a rendere conveniente per le parti sociali redistribuire, in sede di contrattazione, i frutti dell'aumento di produttività non solo sotto forma di aumenti salariali ma anche, in alternativa, di riduzioni di orario; a dare ai cittadini più ampi diritti di gestione flessibile dei propri tempi e percorsi lavorativi, prevedendo la possibilità per il lavoratore di usufruire di periodi di congedo autofinanziati, e rendendo più flessibile l'età di pensionamento, sia in aumento che in riduzione. Favorire maggiormente la flessibilità nel mercato del lavoro, con una riforma che: - favorisca il movimento dei lavoratori all'interno dell'impresa, rendendo più elastica la determinazione delle mansioni all'interno di qualifiche definite, anche per rendere il lavoratore partecipe di tutto il processo produttivo; consenta l'interscambiabilità tra lavoratori in modo da evitare blocchi, anche parziali, del processo quando venga a mancare uno degli addetti, promuovendo, in conseguenza, i processi formativi interni; - adotti una disciplina dei cosiddetti "contratti atipici", per regolamentare il lavoro interinale, ampliare l'ambito di applicazione del lavoro a termine, incentivare, anche con opportune innovazioni sul modo di calcolo degli oneri sociali, il lavoro a tempo parziale; - favorisca una flessibilità salariale per l'inserimento delle fasce deboli (giovani, adulti obsoleti). Tesi n° 44 Il Mezzogiorno Per molto tempo si é pensato che il problema del Mezzogiorno fosse solo economico e che la soluzione fosse l'intervento straordinario dello Stato: dare incentivi alle imprese per investire al Sud, costruire le infrastrutture, fare arrivare l'industrializzazione dall'alto. Si è invece trascurato il funzionamento ordinario delle istituzioni centrali e locali. L'impegno delle risorse pubbliche ha reso possibile una crescita del reddito che ha consentito al Mezzogiorno di rimanere agganciato al Centro-Nord Italia, una delle aree a più alti consumi del mondo. Ma non é riuscito ad innescare uno sviluppo autonomo, capace di sostenersi da solo. Non c'é autonomia con un tasso di disoccupazione intorno al 20%, il triplo rispetto al Centro-Nord, con una forte diffusione del lavoro irregolare e precario, con una bassa qualità dei servizi fondamentali, come la scuola (dove si registrano alti i tassi di abbandono scolastico e ripetenza). E' vero: molte risorse sono state destinate al Mezzogiorno, tuttavia, gli strumenti finora utilizzati di intervento straordinario hanno avuto quattro limiti: per il loro dirigismo non hanno stimolato l'assunzione in loco di iniziative autonome, coerenti con le vocazioni proprie delle aree interessate; per il loro costo eccessivo sono divenuti insostenibili dal punto di vista politico e finanziario nel lungo termine; poiché prevedevano processi decisionali discrezionali e non trasparenti, sono stati fonte di corruzione e hanno provocato un peggioramento dei sistemi di selezione della classe dirigente locale politica ed imprenditoriale; poiché hanno garantito assistenza, hanno impedito che forti tensioni e spinte al cambiamento rompessero un equilibrio di sottosviluppo. Il primo interesse della società meridionale é avere una classe politica nuova. E soprattutto una classe politica responsabile di produrre risultati per i cittadini. Segnali di cambiamento provengono già da molte amministrazioni locali. Il federalismo é lo strumento per dare anche ai cittadini del Mezzogiorno il controllo sui risultati conseguiti dai politici e dalle amministrazioni locali e sulla destinazione delle imposte che pagano. E' lo strumento per ribaltare la logica dell'assistenzialismo, che, se ha trasferito risorse nel Mezzogiorno, ne ha anche soffocato l'autonomia e la capacità di crescita interna. Decentramento e federalismo fiscale non significano però l'abbandono di politiche qualificate da parte dello Stato, lasciando le regioni meridionali a sé stesse, né rafforzare le regioni significa rafforzare le regioni come sono oggi. Le linee d'azione che proponiamo sono: - Una cooperazione tra amministrazione centrale e regioni, con nuovi meccanismi di cofinanziamento, con nuove modalità di selezione dei progetti da finanziare, con un sistema di controllo a posteriori dei progetti in base ai risultati conseguiti, con interventi che si integrino efficacemente con le politiche comunitarie. - Una riforma nei settori ordinari dell'intervento pubblico (in particolare scuola, sanità, giustizia); con azioni che portino a compimento il vecchio intervento straordinario, e, soprattutto, con azioni che consentano di attuare l'intervento del Quadro Comunitario di Sostegno 1995-99 dell'Unione Europea. Per fare questo, e più in generale, per un utilizzo puntuale ed efficiente delle risorse, bisogna rafforzare i processi formativi delle autonomie locali e la capacità dell'amministrazione centrale di coordinare ed assistere tecnicamente Regioni ed enti locali. - Promuovere la cultura di impresa, creando casi di successo tecnologico ed imprenditoriale, concepiti anche per aumentare positivi effetti di imitazione e promuovendo la vocazione all'esportazione, moltiplicando le occasioni di formazione e di attività non necessariamente legate al "posto fisso". La cultura d'impresa si promuove anche attraverso incentivi mirati allo sviluppo di distretti industriali ad alto tasso di innovazione, mettendo a punto con gli imprenditori coinvolti pacchetti di incentivazione fiscale e finanziaria, infrastrutture e flessibilità del lavoro in grado di generare situazioni di rottura. In questa direzione, vanno semplificate le procedure amministrative per favorire le imprese che vogliano localizzarsi nel Mezzogiorno, con servizi di assistenza e consulenza agli imprenditori del tipo "chiavi in mano". - Togliere centralità alla cultura mafiosa attraverso una graduale affermazione della cultura del governo e della buona pubblica amministrazione, con azioni esemplari quali: estendere agli uffici giudiziari esperienze di organizzazione e di informatizzazione avanzate; selezionare un certo numero di scuole secondarie superiori, già a un buon livello di efficienza, per sperimentare nuovi modelli di formazione; perseguire maggiormente l'integrazione tra università e sistema produttivo, soprattutto laddove già esistono le premesse. - Per quanto riguarda il lavoro: ristrutturare la formazione professionale, per dare ai giovani concrete opportunità di ottenere un reddito con mezzi legali; rivedere la cassa integrazione guadagni; favorire le imprese sociali e non profit; rafforzare l'esperienza della Società per l'imprenditoria giovanile, protagonista di uno dei pochi casi di successo di politica regionale in Italia. Occorrono chiarezza di obiettivi, controllo sui risultati, e nuove modalità di finanziamento su obiettivi identificabili. L'occupazione va sviluppata in settori quali il turismo, il recupero dell'ambiente, la manutenzione delle opere pubbliche, la creazione di servizi innovativi per le imprese (il che non significa rinunciare all'obiettivo di costituire una solida base industriale secondo criteri moderni). L'agricoltura va aiutata, ma aiutata a crescere non a sopravvivere. - Diminuire la distanza dai mercati di sbocco, sviluppando infrastrutture di trasporto per integrare "fisicamente" il Mezzogiorno, anche concentrando le risorse disponibili su reti di telecomunicazione in grado di localizzare lavori ad alta professionalità nel Mezzogiorno. - Concentrare le risorse dedicate alle infrastrutture in tre direzioni: - l'acqua, e in particolare la soluzione del problema idrico in alcune città meridionali; - il sistema dei trasporti ferroviari e stradali e i collegamenti con interventi intermodali alle infrastrutture portuali e al sistema viario delle città; - la creazione in alcune aree urbane particolarmente congestionate di una rete ferroviaria metropolitana. Tesi n° 45 Una politica industriale al passo con l'Europa: il mercato unico e l'innovazione tecnico-scientifica delle imprese Nella Nuova Europa la costruzione del "mercato unico" è la prima politica industriale. La nostra crescita economica e sociale è destinata a soffrire di qualunque forma di chiusura nei confronti degli altri Paesi, di qualunque forma di protezionismo o di commercio guidato. Essa ha, piuttosto, bisogno di un salto di qualità nell'impegno del governo italiano, della nostra amministrazione pubblica, nel concorrere con gli altri governi europei a disegnare e nell'attuare il processo di integrazione dei mercati. La piena affermazione delle quattro fondamentali libertà di circolazione - persone, merci, servizi e capitali - oramai patrimonio comune dell'Unione Europea, rappresenta il punto fermo da cui deve partire qualunque azione di politica industriale. Nella nostra partecipazione a questo processo possono realizzarsi, devono realizzarsi, le due aspirazioni che convivono oggi in ogni cittadino europeo. Quella locale, che trova corrispondenza nella stessa natura nazionale di questa programma. Quella globale, cui ciascuno è proiettato dalla straordinaria circolazione di idee, di immagini, di capitali, di uomini e donne che segna la fine del secolo. Scaturisce dalla convivenza di queste aspirazioni una nuova forma di competizione fra le nazioni: non più solo competizione militare o mercantile ma competizione "istituzionale", laddove per istituzioni intendiamo non solo le amministrazioni pubbliche, bensì anche l'insieme delle norme che reggono la vita sociale ed economica di un Paese. E' in questa più ampia prospettiva che occorre inquadrare tutto il ventaglio delle politiche microeconomiche: dalla politica della concorrenza alla politica industriale, dagli interventi sul sistema finanziario (banche e mercati) alle politiche per il mercato del lavoro. Negli anni '90, le nuove politiche industriali dell'Unione Europea - sancite all'art. 130 nello stesso Trattato di Maastricht - richiedono: - l'innalzamento della capacità tecnologica delle imprese europee che devono fronteggiare la "sfida asiatica" e i giganti americani. La principale azione comunitaria riguarda quindi lo sviluppo della ricerca e l'adozione di nuove tecnologie. Vi è poi un'attenzione ad alcuni settori ritenuti rilevanti per lo sviluppo dell'industria europea (come, ad esempio, le biotecnologie, e l'industria elettronica e dell'informatica): quei settori nei quali si generano e si diffondono le innovazioni che avranno poi ricadute in una molteplicità di altri settori industriali - la capacità di innovare continuamente. La nostra capacità, al pari di quella degli altri Paesi di storica industrializzazione, di rispondere alla sfida rappresentata da una nuova divisione internazionale del lavoro - a cominciare dalla "sfida asiatica" - è eminentemente legata: - alla diffusione dell'istruzione superiore fra i nostri giovani: la cura nella formazione delle risorse umane è, nel nostro tempo, la prima politica economica; - a un deciso innalzamento dello sforzo che il Paese compie nell'attività di "ricerca e sviluppo", nonché a una profonda modifica del modello organizzativo della ricerca che non consente, oggi, quell'organico e proficuo rapporto con il mondo dell'industria; - all'ampiezza ed eccellenza delle produzioni ad alto contenuto tecnologico. Il conseguimento di miglioramenti in tutte queste direzioni fa da sfondo al nostro programma di politiche microeconomiche. Tesi n° 46 Far nascere il mercato, il colpo d'ala che serve al Paese La nostra visione della società ci porta inevitabilmente a ritenere che la dinamica sociale si fondi sull'esistenza di un pluralismo di idee e nel contempo di una pluralità di iniziative, che debbono tra loro competere in un contesto fortemente unito da regole e sentimenti comuni. In questo disegno l'azione del governo non deve sostituirsi all'azione dei singoli, ma deve garantire le condizioni di accesso, le regole del gioco, la tutela e in taluni casi la gestione di quei beni pubblici che garantiscono l'effettiva pluralità dell'iniziativa individuale. "Stato leggero" non significa però Stato assente, quanto piuttosto Stato garante della libertà di iniziativa privata, ma anche delle pari opportunità. Significa Stato che non si sostituisce al mercato, ma lo promuove. Promuovere il mercato, a sua volta, significa agire sulle istituzioni rendendo certe ed uguali per tutti le "regole del gioco". Partecipando ad una organizzazione sovranazionale, quale è l'Unione Europea, le regole prime con le quali il Paese deve confrontarsi sono quelle che vengono dalla Nuova Europa. L'Italia ha raccolto la sfida rappresentata dal rilancio del processo di integrazione europea, improntato alla piena realizzazione delle quattro fondamentali libertà di circolazione (persone, merci, servizi, capitali), ma la risposta non è stata all'altezza della sfida. E' mancato il colpo d'ala che consentisse di impostare profonde riforme istituzionali. Il colpo d'ala di cui il Paese ha bisogno si realizza, essenzialmente, su due piani. Il primo è "fondante": occorre completare quel telaio di regole, che l'Italia attende dal dopoguerra, indispensabili perché il mercato esista. Sono regole costitutive, essenziali, durature, non indirizzate dirigisticamente a raggiungere singoli obiettivi e continuamente aggiustate. Esse attengono: - alla riforma del mercato dei capitali; - alla privatizzazione delle imprese pubbliche; - alla nuova regolamentazione nei settori dei servizi pubblici; - al rafforzamento delle politiche di tutela della concorrenza, ivi compresa la tutela del mercato da indebiti "aiuti di Stato" alle singole imprese nazionali. Il secondo piano ha a che fare con "l'ambiente" nel quale le imprese nascono e si sviluppano: occorre liberare e accompagnare l'iniziativa imprenditoriale con un'azione di governo leggera, ma continua e flessibile, attraverso: - le politiche industriali volte a valorizzare quanto spontaneamente si genera sul territorio. La ricerca industriale e il trasferimento tecnologico, così come l'aiuto all'internazionalizzazione delle imprese ne sono i capisaldi. - un vigoroso programma per la creazione di piccole imprese innovative, specie nel Mezzogiorno, segnato da un altissimo tasso di disoccupazione. Attribuiamo a questo programma un alto significato civile, oltreché strettamente economico-produttivo. Creare nuove piccole imprese significa, infatti, aumentare il numero delle persone capaci di autogestirsi, arricchendo così la società civile. Tesi n° 47 Aprire il mercato dei capitali Il compito di mantenere competitivo il nostro sistema economico è affidato in misura rilevante a un rinnovamento profondo del sistema finanziario, del mercato mobiliare e del governo societario, in una parola, del mercato dei capitali inteso in senso lato. C'è oggi nel paese una domanda crescente dei risparmiatori di potere investire, direttamente o attraverso istituzioni specializzate, in titoli azionari a condizioni che offrano tutela dagli errori e dai comportamenti devianti degli imprenditori. E c'è una domanda crescente degli imprenditori di raccogliere capitali per lo sviluppo delle imprese. Particolarmente forte è la domanda di accesso alle opportunità imprenditoriali che viene da vaste fasce di ceto medio come da fasce sempre meno ristrette di classe operaia, specie quella dei distretti industriali del Nord-Est. A questa domanda occorre dare risposta. Deve consistere, questa risposta, nel disegno di un nuovo assetto istituzionale che, senza rinunciare allo zoccolo duro della famiglia e del mutualismo, metta in campo altri strumenti: un ampio mercato dei capitali e forti e diffuse istituzioni finanziarie. E' questa la risposta da dare alla domanda delle piccole e medie imprese, come di quelle medie e grandi, che sono consapevoli dell'angustia delle scelte finanziarie con cui affrontano oggi la competizione con i concorrenti di tutti i paesi. La tutela degli interessi del pubblico risparmio può articolarsi, secondo il nostro pensiero, su tre diversi fronti, e questo programma propone di agire su di essi contemporaneamente: - il monitoraggio interno, da garantire attraverso nuove regole per il governo degli organi societari, per il voto in assemblea, per la trasparenza dell'informazione a tutti gli azionisti; - il monitoraggio esterno di mercato, fondato su una revisione delle regole per il trasferimento di pacchetti di controllo delle società quotate, su una più completa informazione sui loro risultati e sui loro programmi, sulla appropriata considerazione delle relazioni di gruppo; - il monitoraggio esterno giudiziario, fondato su una chiara definizione dei doveri di responsabilità degli amministratori e sull'effettiva possibilità di accesso degli azionisti al giudizio dei tribunali sull'effettivo rispetto di questi doveri. Per molte delle misure riconducibili a queste tre linee di azione, le difficoltà di adattare la normativa alla continua evoluzione del mercato, consigliano di seguire, ogni volta che sia possibile, la strade dell'autoregolamentazione. A nulla serviranno le nuove regole se non vi saranno investitori istituzionali incentivati ad usarle. Le istituzioni finanziarie cui è affidato primariamente il compito di dare consulenza, orientare o gestire direttamente il pubblico risparmio vanno incentivate ad esplorare le nuove opportunità. E' quindi indispensabili assicurare l'indipendenza e il pluralismo delle istituzioni finanziarie e la loro rispondenza a una trasparente logica di profitto. In prospettiva un contributo sempre più rilevante dovrà venire da fondi di investimento e da fondi pensione, da realizzare rapidamente procedendo secondo le direttive indicate dalla legislazione recentemente approvata. Vanno altresì sviluppate le forme di partecipazione dei lavoratori al capitale delle imprese, attraverso l'azionariato e i fondi pensione. Tesi n° 48 Liberare il mercato: le privatizzazioni Uno "Stato leggero" persegue con determinazione e senza tentennamenti la privatizzazione delle banche e delle imprese pubbliche italiane; ma uno Stato che non è indifferente deve evitare che dal monopolio legale pubblico si passi all'omologo monopolio legale privato o che si rafforzino le solite "mani private". Uno Stato leggero, ma non indifferente è uno Stato che regola invece di gestire. Si deve dunque cogliere l'occasione della privatizzazione per allontanare i partiti politici dalla gestione dell'economia, per creare nuovi mercati, per fare nascere nuovi imprenditori, per dare una robusta dose di competitività alle industrie e alle banche italiane, per accrescere il mercato dei capitali privati. In sintesi, la privatizzazione costituisce l'occasione propizia per allargare le ristrette basi del capitalismo italiano, per accrescerne la pluralità di protagonisti. Lo Stato italiano perde così il controllo diretto delle sue imprese pubbliche per trasformarle in imprese private soggette alle normali leggi del mercato, o - nel caso di quelle operanti nel campo dei servizi pubblici - alla regolazione di apposite agenzie indipendenti la cui vocazione è anche quella di promuovere la concorrenza proprio nei settori ove essa stenta a manifestarsi. Questa delle privatizzazioni è indubbiamente una delle decisive linee d'azione per far nascere il mercato. La proprietà pubblica di imprese industriali o di servizio non si è dimostrato uno strumento adeguato nè a favorire una maggiore competitività del sistema produttivo italiano, né a fornire servizi in modo efficiente ed equo. La peculiarità italiana, rispetto agli altri paesi europei a questo riguardo è stata quella di partire in ritardo nel processo di privatizzazione e di portarlo avanti con estrema lentezza. A questo bisogna ovviare rapidamente collocando le imprese sul mercato usando modalità trasparenti ed in grado di mobilitare la maggior quantità di risorse possibili. La privatizzazione delle banche pubbliche sta al centro del processo di riforma del mercato dei capitali. Così riavviato, il sentiero delle privatizzazioni può andare avanti in tutte le altre direzioni: imprese manifatturiere, di servizio, e così via. A quest'ultimo riguardo è però necessario introdurre la fondamentale distinzione fra le imprese che operano in concorrenza e le imprese che forniscono servizi di pubblica utilità in condizioni di almeno parziale monopolio. La privatizzazione delle imprese che già operano in mercati concorrenziali può avvenire rapidamente, non essendovi infatti ragioni strategiche che possano giustificare la presenza pubblica in questi settori. Non solo, queste privatizzazioni, costituiscono l'occasione per irrobustire il mercato azionario e rendere più pluralistico l'assetto proprietario dell'economia italiana. Possono altresì essere l'occasione per accrescere la presenza di qualificati operatori esteri, capaci di collocare in Italia la loro base per una espansione produttiva (specie nel Mezzogiorno) o per il coordinamento delle attività europee (nel caso di imprese americane o asiatiche). La privatizzazione delle imprese che operano nel campo dei servizi pubblici. Gli obiettivi di liberalizzazione perseguiti dall'Unione Europea costituiscono il quadro di riferimento per una profonda ridefinizione degli attuali assetti regolamentativi dei servizi pubblici nel nostro Paese. A questo riguardo vanno privatizzate le imprese di produzione e gestione dei servizi. Le modalità di privatizzazione dovranno in questo caso tener conto della specificità di queste imprese. Data la natura di queste imprese la loro privatizzazione deve cioè essere preceduta dalla definizione di regole che tutelino i consumatori contro comportamenti dei nuovi soggetti privati in contrasto con i criteri di accessibilità ed equità. Le imprese di servizio possono essere collocate sul mercato coinvolgendo, nel loro capitale, anche le banche una volta privatizzate. Se queste considerazioni e proposte valgono soprattutto per le privatizzazioni di rilievo nazionale, va altresì segnalato che ampi sono, nel nostro Paese, i margini di manovra per politiche di privatizzazione di rilievo locale. In ciascuna delle "cento città d'Italia" numerose sono le attività economiche, i servizi di pubblica utilità, le consistenti proprietà immobiliari che - in presenza del necessario quadro di regole - possono essere privatizzate. Tesi n° 49 Liberare il mercato: una nuova politica per i servizi pubblici e la tutela della concorrenza I servizi pubblici I servizi devono essere efficienti, disponibili a tutti e caratterizzati da un adeguato rapporto prezzo/qualità. Per ottenere questo obiettivo è necessario definire un quadro di regole volte a: - promuovere la concorrenza fra le imprese di fornitura o gestione ovunque ciò sia possibile; - garantire l'accessibilità al servizio a tutte le fasce di utenza; - promuovere la qualità del servizio stesso; - tutelare il consumatore/utente attraverso una adeguata informazione. A questo riguardo i soggetti coinvolti nelle attività di regolazione devono essere i Ministeri competenti, limitatamente all'indirizzo politico, e le Autorità settoriali, con compiti "tecnici" di monitoraggio sulla osservanza delle regole da parte delle imprese e di tutela nei confronti dei consumatori/utenti. E' di grande rilevanza che le Autorità settoriali siano caratterizzate da grande indipendenza ed autonomia, nonché da elevate competenze tecniche in modo da essere in grado di sottrarsi a pressioni politiche o lobbistiche. Politiche di tutela della concorrenza Con 100 anni di ritardo rispetto agli Stati Uniti e quasi quaranta con riferimento agli altri grandi paesi europei anche l'Italia si é dotata di una propria legge antitrust. L'importanza di una legislazione antitrust sta nella sua capacità di tutelare i consumatori e le stesse imprese contro un esercizio del potere di mercato (economico) che attraverso il rafforzamento di posizioni monopolistiche riduce la possibilità di una più efficiente ed equa allocazione delle risorse. I poteri e l'azione della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) vanno dunque rafforzati e resi più incisivi. Questo risultato può essere ottenuto: - rafforzando la specializzazione della AGCM ed assegnandole tutte le competenze antitrust (quelle sui media e il credito, ora assegnate, rispettivamente, al Garante per l'Editoria e alla Banca d'Italia) ed estendendo la sua sfera di azione anche ai settori soggetti a regolazione; - migliorando il grado di trasparenza. Data la rilevanza ed i poteri di cui gode l'Autorità è necessario che vengano formulati principi interpretativi chiari che consentano di ridurre le aree di incertezza per le imprese e gli altri soggetti coinvolti circa i criteri di riferimento utilizzati dalla Autorità nelle sue decisioni. L'intervento deve prevalentemente configurarsi come severo e tempestivo, ma allo stesso tempo trasparente ed incisivo. La concorrenza può essere minacciata non solo da espliciti comportamenti delle imprese, ma anche dalle politiche pubbliche di sostegno alle imprese sia nella forma di aiuti diretti, per altro già proibiti dalla normativa comunitaria, sia nella forma di sgravi fiscali od incentivi. Tali politiche hanno una chiara ripercussione sulle condizioni di entrata e sopravvivenza delle imprese sul mercato e possono pertanto costituire una modalità attraverso la quale si falsa o si influenza il funzionamento del mercato. L'art. 90 del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea già rende possibile intervenire per quanto riguarda le distorsioni che gli aiuti inducono nel mercato unico. E' pertanto necessario introdurre una previsione analoga per quanto riguarda il mercato italiano, che tenga comunque conto dei diversi contesti in cui tali aiuti vengono erogati. Appropriate politiche di sostegno allo sviluppo delle piccole e medie imprese non distorcono, infatti, il funzionamento del mercato; ne consentono, anzi, un miglior funzionamento nel momento in cui lo rendono accessibile anche ai soggetti strutturalmente più deboli. Tesi n° 50 La creazione e la crescita di imprese innovative Sia l'aumento del reddito individuale medio (col quale cresce la differenziazione dei bisogni), sia lo sviluppo dell'elettronica e dell'informatica (che ha ridotto in molti rami di attività la soglia critica della quantità che può essere prodotta economicamente) hanno reso possibile, negli ultimi decenni, una espansione degli spazi per le piccole imprese. Ciò non di meno, lo sviluppo delle piccole imprese incontra particolari difficoltà, riconducibili in generale ai seguenti elementi: i costi generali relativamente elevati; difficoltà d'introdurre innovazioni che richiedono laboratori, anche solo per l'adattamento di innovazioni già note; difficoltà di vendere nei mercati esteri; difficoltà di ottenere finanziamenti bancari a costi ragionevolmente bassi; difficoltà di promuovere la formazione specifica dei lavoratori di cui le imprese hanno bisogno. In tale situazione, le misure che possono servire per sostenere le piccole imprese esistenti e per stimolare la nascita di nuove aziende sono diverse: - promozione di "incubatori di nuove imprese" (costruzione di una struttura centrale, collegamenti con le università e con istituti di ricerca, creazione di laboratori particolari in ogni "incubatore"); - rafforzamento e promozione, anche con il concorso pubblico, di consorzi fra piccole imprese per la garanzia dei fidi, nonché di altri strumenti (fondo interbancario ecc.), capaci anche di rafforzare, soprattutto nel Mezzogiorno, il potere contrattuale con le banche; - rafforzamento della capacità di consulenza e assistenza finanziaria da parte della banche locali; - rilancio del mercato telematico per le piccole e medie imprese; - promozione di particolari corsi di formazione professionale, d'intesa con le associazioni imprenditoriali; - promozioni di distretti industriali; - costituzione di un'Agenzia delle innovazioni, con una struttura centrale che limiti al minimo l'apparato amministrativo e decentri al massimo l'organizzazione dei punti di assistenza tecnica. - pieno utilizzo dei "Fondi strutturali europei" disponibili per le attività di ricerca e sviluppo, di innovazione tecnologica, di trasferimento tecnologico alle imprese, per il rilancio delle aree industriali in crisi, fondi che l'Italia utilizza ancora in modo del tutto inadeguato rispetto alla sua rilevanza economica. Il nostro paese corre il grave rischio di rimanere emarginato nell'ambito dei paesi industrializzati: le sue produzioni ad alta tecnologia rappresentano una quota troppo modesta della produzione e delle esportazioni complessive. Tale emarginazione, che è già in atto, ma che può ulteriormente aggravarsi, ha un duplice effetto negativo: costituisce un freno allo sviluppo della cultura scientifica e, nel lungo periodo, rende il nostro Paese vulnerabile anche alla concorrenza di un numero crescente di Paesi del Terzo mondo, man mano che questi riescono a impadronirsi di certe tecnologie moderne. Da questo punto di vista il nostro Paese ha bisogno di rilanciare una vigorosa politica di sviluppo della ricerca scientifica, teorica e applicata, nel cui ambito va inserita la politica volta a favorire la creazione di piccole imprese innovative. Questa politica riveste poi un significato particolare per il nostro Mezzogiorno, un significato che va oltre lo sviluppo economico. Promuovervi la creazione di piccole imprese riveste infatti un alto significato civile. La loro crescita contribuirebbe sì a ridurre la disoccupazione - che nel Sud è patologicamente elevata - ma contribuirebbe altresì ad aumentare il numero delle persone capaci di autogestirsi. Diminuirebbe così il clientelismo, che costituisce un grave ostacolo allo sviluppo civile. Un circolo virtuoso fra una società civile ricca e una industria ricca è stato uno degli ingredienti fondamentali del decollo delle regioni del Nord-est italiano; quel circolo virtuoso che non c'è, almeno in misura sufficiente, nel nostro Mezzogiorno. Costituirlo è, in ultima analisi, l'obiettivo di fondo che qui proponiamo. Se l'accesso al credito e, più in generale, una profonda riforma del mercato dei capitali, da un lato, e una vigorosa politica di sviluppo della ricerca scientifica, teorica ed applicata, dall'altro, sono le due grandi linee d'azione sulle quali si muovono le nostre politiche, altri cinque progetti ne completano il quadro: - progetto internazionalizzazione: le imprese italiane vanno spinte a operare a livello internazionale e a partecipare a consorzi internazionali fornendo loro strumenti finanziari adeguati e capacità tecniche; - progetto qualità: sono molte le imprese italiane che non vendono all'estero perché non possiedono certificazioni adeguate secondo gli standard internazionali: è necessaria pertanto una grande campagna per giungere in tempi brevi a una qualificazione internazionale dei nostri prodotti; - progettare verde: la difesa ambientale è oggi un volano importante dell'innovazione ed uno dei suoi campi di azione più promettenti. Oggi è possibile promuovere innovazioni di progetto (di cose, processi e sistemi), cos" come di gestione, che consentono di migliorare l'impatto ambientale di produzioni e di consumi, di ridurre il consumo di energia e materie prime e allo stesso tempo di rafforzare la competitività internazionale dell'economia italiana. Per conseguire tale obiettivo bisogna creare le basi necessarie alla formazione dei nuovi progettisti di prodotti, processi e sistemi, acquisire nuovi strumenti e avviare programmi di cooperazione tra scuola, impresa, pubblica amministrazione ed associazionismo ambientalista, per tradurre le nuove conoscenze in un concreto beneficio per la società; - progetto grandi lavori per il Paese: lo sviluppo del sistema innovativo nazionale mediante i contratti per forniture e servizi, banditi dallo Stato, è una grande opportunità di fronte al Paese. Attraverso la spesa pubblica si deve creare la necessità, per poter vincere la gara d'appalto od effettuare il contratto, che l'impresa sviluppi l'innovazione di prodotto o di processo richiesta; - progetto "tirar fuori il nuovo": dentro alle amministrazioni pubbliche, agli ospedali, alle scuole, agli istituti per l'assistenza agli anziani vi sono una enorme quantità di innovazioni potenziali in materia di istruzione, servizi sociali, salute, tempo libero, ambiente, grandi costruzioni che costituiscono un altro grande sentiero innovativo del futuro. Tesi n° 51 L'informazione Un sistema dell'informazione e della comunicazione libero e pluralista è una condizione essenziale per la democrazia. Per questo sono necessarie nuove regole, che evitino il riformarsi nel prossimo futuro di situazioni di assenza di regole che hanno negativamente segnato questi anni; regole, soprattutto, che siano adeguate ai nuovi sviluppi tecnologici e all'avvento delle strategie multimediali che caratterizzano la "società dell'informazione". Società dell'informazione significa innanzitutto nuove possibilità per gli individui di formarsi, divertirsi, comunicare tra loro in un ambito sempre più aperto al mondo. A questo fine è necessario il pluralismo sia delle fonti di informazione, sia dei sistemi di comunicazione e distribuzione, liberando tutte le risorse finanziarie che sono oggi vincolate all'esistenza dei monopoli. Il settore radiotelevisivo italiano opera in una situazione di sostanziale duopolio (Rai-Fininvest), che rende estremamente difficile l'ingresso di nuovi operatori. Un mercato, per altro, troppo piccolo per permettere la crescita di statura sul mercato globale. E' pertanto necessario, da una parte, aprire il mercato interno ad una maggiore concorrenza e dall'altra operare verso una sua integrazione nel mercato unico europeo ed in quello globale. Qualsiasi intervento sul settore radiotelevisivo deve essere improntato chiaramente al principio che, dato il rapidissimo mutare dello scenario tecnologico, non può essere inserita alcuna forma di cristallizzazione delle tecnologie. Gli obiettivi di intervento sono: - Promuovere il superamento del duopolio di fatto anche dando al paese accesso alla più ampia offerta di servizi da tutto il mondo. Obiettivo finale é consentire ad ogni editore di avere un solo canale generalista via etere terrestre e di cedere quelli in più. Su mezzi diversi dall'etere potrà invece avere un numero illimitato di canali tematici. La situazione potrà poi essere cambiata all'avvento della TV digitale. Occorre comunque un controllo - sia sulle concentrazioni proprietarie sia sulle quote di mercato - che garantisca una situazione di effettiva concorrenza. L'obiettivo intermedio consiste nella contestuale cessione di una delle reti generaliste da parte sia della RAI che di Fininvest e nell'apertura ad altre forme di offerta televisiva. - Ridefinire i compiti del servizio pubblico in termini di promozione del pluralismo, della sperimentazione della valorizzazione delle nostre identità. Una precisa motivazione del servizio pubblico va trovata nel sostenere i diritti e il pluralismo culturale e quello politico. Il servizio pubblico può e deve operare a livelli competitivi e di qualità elevatissima, deve dare spazio alla formazione, al paesaggio, all'arte, al dibattito politico, alla partecipazione di ciò che è locale, al commento dei fatti nostri e del mondo, deve qualificarsi per la attenzione che deve prestare alla valorizzazione dei talenti, dei giovani, del nuovo. Il canone annuo coprirà i costi del servizio pubblico. In questo contesto a regime la rete generalista della RAI potrà competere sul libero mercato della pubblicità solo per una parte del proprio tempo nell'ambito di limitazioni specifiche sulla quantità e sul tipo di ricavo pubblicitario. - Per il superamento del duopolio è anche necessario uno sforzo di promozione della concorrenza nel settore allargato TV-telefonia. E' necessaria una Autorità che specializzi in due direzioni: una è rappresentata dall'insieme delle infrastrutture di teleradiodiffusione e di telecomunicazione, l'altra dagli aspetti editoriali. - Stimolare l'internazionalizzazione: tutto il sistema radiotelevisivo deve essere spinto ad operare sul mercato globale ed in particolare la RAI. L'internazionalizzazione della RAI deve avvenire prima di tutto sul fronte della distribuzione offrendo nuovi sbocchi sui grandi mercati, partendo da quello europeo, ai nostri programmi, anche con grandi accordi con operatori stranieri, in produzioni che valorizzino le nostre risorse e diversità culturali. Le due principali linee da seguire sono l'impostazione di canali tematici da distribuire via satellite ed orientati all'esportazione e l'apertura delle possibilità di cambiare e di creare teleporti anche ai grandi operatori televisivi e telefonici internazionali sulla base di condizioni di reciprocità. - Il rapporto con il sistema politico non può essere definito in termini di subordinazione e condizionamento ma unicamente in termini di indirizzo e controllo. Perché ciò sia possibile è necessario un nuovo statuto che recepisca le linee strategiche del servizio pubblico, e le fonti di nomina degli organi di governo della RAI. Il sistema di nomina che si sta delineando in questi giorni, adatto ai periodi di transizione che stiamo vivendo, dovrà molto probabilmente essere rivisto nel nuovo scenario qui delineato. A regime, quando sarà superato il duopolio, il governo della nuova RAI dovrà probabilmente passare all'Autorità indipendente, cui spetterà nominare una commissione di garanti che sceglierà il presidente e i consiglieri della azienda che, nell'ambito degli obiettivi e delle risorse loro assegnate, dovranno poter operare in piena autonomia. Tesi n° 52 Il futuro delle telecomunicazioni Il settore delle telecomunicazioni già oggi si sta rapidamente integrando con quello dell'informatica e rappresenta uno dei principali pilastri del progetto di forte ripresa del paese. Su questo processo di integrazione l'offerta in Italia è già di buon livello, vista nel contesto europeo, ma deve avvicinarsi rapidamente a quello Statunitense. Le linee di crescita debbono riguardare sia l'innovazione tecnologica sia l'evoluzione del mercato, a partire da quello delle aziende (dove sistemi informatici e di telecomunicazione tendono ad essere gestiti in modo sempre più integrato) per arrivare ai servizi al cittadino (con cui contribuire al rinnovamento del rapporto tra comunità e burocrazia, e al decentramento amministrativo e fiscale) e alle opportunità offerte dal telelavoro. Elemento fondamentale per il futuro saranno lo sviluppo delle tecnologie e delle infrastrutture per la multimedialità e l'internazionalizzazione di tutto il sistema dei servizi. Un secondo processo di integrazione non così vicino nel tempo ma comunque prossimo è quello tra telecomunicazioni e televisione. In questo contesto, il pluralismo sia delle fonti di informazione che dei sistemi di comunicazione e distribuzione è indispensabile a far convergere sul sistema le risorse finanziarie ed umane che certamente non mancano, ma che ora sono in gran parte incatenate dai vincoli del monopolio. La creazione di una situazione di concorrenza tra vari operatori, anche provenienti da settori diversi e ai quali in prospettiva non potranno essere imposti confini settoriali, è pertanto - allo stesso tempo - strumento da utilizzare per superare la situazione attuale e obiettivo da perseguire e mantenere. Occorre anche garantire che il meccanismo del libero mercato non si lasci alle spalle sacche di arretratezza per categorie economiche e diverse zone del paese. Ciò tuttavia dovrà essere perseguito senza mai intaccare il principio che la libertà di concorrenza è motore insostituibile per la crescita di tutto il sistema. Deve essere ben chiaro peraltro che la libera concorrenza, anche tra infrastrutture, non si sviluppa semplicemente liberalizzando il mercato quando lo stesso è stato a lungo in condizione di monopolio; occorre trovare delle modalità per superare l'asimmetria delle condizioni di partenza, ad esempio limitando, per un periodo di transizione, la libertà di azione dell'attuale monopolista nel settore della televisione diffusa. Per tutto ciò servono regole nuove, in primo luogo perché le regole generali poste a protezione della concorrenza non sono sufficienti (si deve perseguire non solo l'abuso della posizione dominante ma la nascita stessa della posizione dominante); secondo, perché va garantita comunque l'equità dell'accesso a tutti, indipendentemente da geografia e condizioni socioeconomiche. Le regole principali devono riferirsi a : - disposizioni a favore della concorrenza nella realizzazione e nell'esercizio di reti TLC e TV-cavo; - limiti ed obblighi del gestore oggi monopolista nella realizzazione e nella gestione di reti TLC e TV-cavo; - procedure di rilascio delle licenze; - eventuali limiti al ruolo del misure a favore del servizio universale. Va infine definita un'unica Autorità di settore per TV e telefonia, un'Autorità che operi con due unità ben definite, l'una dedicata alle infrastrutture e l'altra ai contenuti editoriali. Tesi n° 53 Modernizzare l'agricoltura L'agricoltura italiana sta vivendo uno dei suoi momenti più difficili. Il ricambio generazionale nelle imprese agricole è ridotto; l'occupazione passa da forme stabili (di tipo professionale annuale o stagionale) a forme occasionali (sia con imprenditori - part-time, sia per i lavoratori autonomi o dipendenti). E' mutato lo scenario internazionale per il sistema agro-alimentare: le protezioni crollano, in modo irreversibile, date le pressioni finanziarie esercitate sui vari governi europei per ridurre le spese a sostegno dell'agricoltura (riforma PAC) e come conseguenza degli accordi internazionali sul commercio (GATT). Il rapporto tra agricoltura e altri settori si é radicalmente trasformato: chi controlla il rapporto con il mercato - grossisti, industrie di trasformazione, grande distribuzione - acquisisce un ruolo predominante. Gli agricoltori, quindi, devono ampliarsi ed associarsi per trovare forme di coordinamento innovative con l'industria di trasformazione e con la grande distribuzione, con un'evoluzione tanto profonda quale quella realizzata in altri paesi europei. Rendere moderno il nostro sistema agro-alimentare richiede quindi di: - Aumentare la competitività attraverso una riorganizzazione dell'offerta agricola e con servizi pubblici più efficienti. Le associazioni dei produttori e le cooperative sono gli strumenti per integrare le imprese agricole con il mercato: va data loro piena funzione imprenditoriale, attraverso la definizione di criteri più selettivi per il loro riconoscimento, innalzando i limiti quantitativi e qualitativi per la concentrazione dell'offerta, favorendo la loro concentrazione in poche e robuste realtà nazionali per ciascuna filiera. Stimolare la cooperazione ad agire non solo come strumento di difesa dei suoi soci, ma anche come organismo economico presente sul mercato in competizione con altre imprese concorrenti, senza tradire i principi di solidarietà che la animano. Il problema della cronica sotto capitalizzazione va affrontato ripensando i rapporti tra socio e cooperativa, rendendo più efficienti i criteri di selezione del management, pensando ad adattamenti che rendano le cooperative di secondo grado capaci di competere con le società per azioni sul piano dell'operatività (valutazione dei marchi, delle reti distributive, ecc.). - Sostenere le esportazioni e difendere il "made in Italy", con la creazione, sull'esempio di Francia e Germania, di un'agenzia, a capitale misto pubblico-privato, rivolta a sostenere i prodotti delle piccole e medie imprese che non hanno la dimensione economica per organizzarsi con una struttura commerciale all'estero. - Favorire la crescita delle dimensioni delle imprese: il numero delle aziende agricole deve diminuire e la dimensione media deve aumentare. La frammentazione comporta limitate capacità di accesso all'innovazione e ai capitali, difficoltà di ingresso nei canali della moderna distribuzione e soprattutto difficoltà nel perseguire politiche di marketing efficaci sia nel mercato interno che in quelli esteri. Gli strumenti sono una vera politica fondiaria basata sull'affitto e la proprietà. - Modernizzare l'agricoltura attraverso la leva fiscale, con il passaggio lento e graduale dall'imposizione basata sulle tariffe catastali alla tassazione a bilancio, mantenendo eventualmente l'attuale sistema per le piccole aziende. - Ritoccare il "salario medio convenzionale" sul quale si calcolano i contributi agricoli, ogni ulteriore incremento della pressione previdenziale, infatti, avrebbe l'unico effetto di ridurre l'occupazione e di favorire il disimpegno delle imprese, con lo spostamento dell'attività verso coltivazioni estensive. - Garantire una maggiore e più qualificata presenza italiana in sede Europea per tutelare le produzioni mediterranee (ortofrutta, vino, olio, ovicaprini, ecc.) tradizionalmente meno sostenute di quelle continentali e che oggi, in un quadro di riduzione complessiva degli aiuti, sono ancor più penalizzate. - Incrementare la nostra capacità di innovare i prodotti, collegando la ricerca pubblica con le imprese, anche al fine di trovare soluzioni adeguate alle cento agricolture italiane, che hanno più capacità di successo e più specializzazioni. Innovare i prodotti significa anche favorire e sostenere l'agricoltura biologica, a partire dalle aree protette, riducendo così l'impatto chimico e rafforzando la qualità e la tipicità dei prodotti. - Guardare l'agricoltura come il principale strumento di tutela del territorio: una agricoltura moderna può esercitare un ruolo sempre più centrale per la salvaguardia del territorio e per la tutela dell'ambientale. A difesa dei valori paesaggistici, per uno sviluppo equilibrato del territorio, per il miglioramento della qualità delle produzioni alimentari. La mancata difesa delle aree rurali svantaggiate o montane provoca degrado economico e sociale. Lo spazio agricolo non utilizzato dalle imprese può risultare carente di azioni di manutenzione diretta e diffusa. E in questa parte di territorio possono più facilmente verificarsi fenomeni di dissesto idrogeologico (frane, erosione superficiale, ecc.). Tesi n° 54 Una distribuzione commerciale in linea con l'Europa La struttura del sistema distributivo e il ruolo che questo svolge nel sistema economico hanno riflessi importanti sul costo e la qualità dei servizi offerti all'utente finale, sull'occupazione e sulle attività a monte, segnatamente quella industriale. Il problema occupazionale è grave perché ogni nuovo posto creato dalla grande distribuzione cancella 2-3 posti di lavoro nel commercio tradizionale. Le azioni di difesa e gli ostacoli creati negli ultimi 25 anni allo sviluppo della distribuzione moderna non ne hanno fermato lo sviluppo; è mancata invece un'azione vera che facendo leva su meccanismi di mercato e di incentivi consentisse alle imprese di piccole dimensioni di giocare un ruolo più incisivo. Nel settore alimentare e dei beni di largo consumo standardizzati sembrano non esservi soluzioni diverse dalla realizzazione di più elevate economie di scala ottenute attraverso forme di aggregazione non episodiche, che consentano alle minori imprese commerciali uno sforzo in direzione di una maggiore efficienza e quindi condizioni di sopravvivenza; nei settori non alimentari la concorrenza a scala europea si farà più pesante ma la situazione è meno deteriorata e, se affrontata, consentirà alle nostre aziende commerciali un rinnovo rapido ed efficace. La scarsa trasparenza e la lunghezza delle procedure amministrative ha fino ad oggi limitato oltre ogni possibile aspettativa l'entrata di grandi distributori non nazionali; tale barriera invisibile non può però costituire ancora per molto un filtro sostenibile, sia per la maggiore capacità degli stranieri di costruire collaborazioni con operatori locali, sia per la necessità che l'Italia ha di avvicinarsi alle normative degli altri paesi dell'Unione Europea. Le politiche effettuate fino ad oggi nella distribuzione commerciale non favoriscono, tra l'altro, la creazione di competenze e lo sviluppo di competitività sia nelle imprese di piccole che in quelle di grandi dimensioni; se quelle tradizionali tendono a soccombere, quelle di maggiore entità hanno le caratteristiche per costituire un potenziale obiettivo di acquisizione da parte di imprese non nazionali. Tali caratteristiche fanno riferimento a rendite di posizione accoppiate ad organizzazioni meno efficienti rispetto ai concorrenti internazionali e non sufficientemente in grado di gestire gli aspetti più innovativi dell'attività, quali la marca commerciale, la logistica e la gestione della sovrabbondanza di informazioni. L'entrata e la presenza di distributori non nazionali facilita inoltre l'entrata di prodotti e derrate provenienti da altri paesi visto che si afferma la prassi degli eurocontratti tra grandi produttori e grandi distributori europei. Non va neppure dimenticato che l'utente finale sostiene il prezzo di forme distributive poco efficienti, come mostrano i dati sulle differenze tra i prezzi all'industria e i prezzi al consumo. Gli interventi che proponiamo sono: - Governare con gli incentivi prima che con i divieti: tali incentivi devono essere non transitori e orientati all'agevolazione sia dell'innovazione e della riqualificazione del servizio offerto, che alla riduzione dei costi e dell'aumento di produttività, favorendo, in particolare: - l'adeguamento dimensionale, la riconversione aziendale e la mobilità sul territorio delle imprese commerciali per un più efficiente posizionamento sul mercato e per una integrazione con azioni di progettazione del centro storico e commerciale; - l'assistenza tecnica, l'innovazione tecnologica ed organizzativa e la qualificazione professionale; - l'innalzamento della qualità e del livello dell'associazionismo tra imprese: gli incentivi sono rivolti a favorire la nascita e l'attività di centrali sia di origine industriale sia di origine commerciale, che coordinino, anche se non controllano in senso proprietario, più punti vendita, fornendo servizi che aumentino la produttività o la capacità competitiva delle imprese associate; - l'accesso al credito anche mediante la prestazione di garanzie collettive. - Favorire la realizzazione di economie di scala alle dimensioni minori, oltre che la creazione di competenze di ordine superiore nella gestione della filiera di attività a monte dell'attività distributiva. - Giungere ad un prelievo più equo e più semplice, impostato su una maggiore chiarezza e trasparenza con il fisco, ad esempio sostituendo i contributi sanitari e la tassa sulla salute con la nuova imposta regionale; con la semplificazione e la ristrutturazione di alcune imposte (TOSAP e TARSU). I rapporti con il fisco vanno impostati su accertamenti concordati, basati su studi di settore, uscendo dall'incoerente susseguirsi di misure punitive e di condoni. La tassazione del reddito d'impresa sarà rivista, attribuendo una aliquota bassa alla parte di utile che remunera il capitale investito; - Modificare la politica di concessione delle licenze per grandi superfici, che devono procedere sulla base della presentazione di un progetto di impatto urbanistico ed economico e dell'eventuale contributo dell'impresa alla realizzazione delle infrastrutture. - Inserire nella pianificazione urbanistica lo spazio per le attività commerciali. In tale ambito intervenire sulle aree dismesse e sui centri storici riducendo oneri immobiliari e creando servizi di supporto operativo per favorire la riorganizzazione e la competitività delle piccole imprese che si vogliono muovere sul piano dell'efficienza e dell'efficacia. Il ruolo di centro commerciale naturale del centro storico si addice e caratterizza il profilo urbanistico e sociale del territorio italiano, ne costituisce un importante motivo di rivitalizzazione e di mantenimento di un alto livello di qualità della vita, rappresentando inoltre una importante infrastruttura per l'industria turistica e per lo svolgimento di attività culturali. Tale centro storico e commerciale deve essere caratterizzato da servizi coerenti sia con le finalità urbanistiche che con quelle commerciali, la cui realizzazione avviene con il contributo e l'incentivo del governo locale e delle categorie economiche. - Rivedere sotto il profilo istituzionale il numero e il ruolo degli attori coinvolti in politiche di indirizzo e di impianto dell'attività commerciale. Le responsabilità di Comune, Area Metropolitana, Provincia e Regione devono essere adeguate all'impatto dell'attività commerciale sul territorio e sulle sue dimensioni socio-economiche. - Semplificare l'esercizio dell'attività commerciale riducendo drasticamente il numero di interlocutori ai quali chiedere autorizzazioni per l'esercizio, il trasferimento e l'ampliamento dell'attività, introducendo regolamenti orientati all'utente e procedure di silenzio-assenso. In caso contrario non si favorisce la nascita di nuovi imprenditori commerciali. - Favorire il processo di internazionalizzazione delle aziende commerciali di medie-grandi dimensioni. Tesi n° 55 Migliorare la qualità del sistema turistico italiano L'industria turistica del nostro paese non riesce ad esprimere appieno le potenzialità insite nello straordinario patrimonio di risorse diffuse in tutte le regioni italiane. I nuovi bisogni privati e sociali connessi alla crescente mobilità e alla domanda di turismo, cultura, tempo libero hanno trovato una risposta solo parziale lasciando aperti, specie nel Mezzogiorno, spazi importanti di iniziativa economica che potrebbero creare, vista l'incidenza elevata nel turismo del fattore lavoro, importanti sbocchi occupazionali. Crisi negli equilibri ambientali, carente messa in valore delle risorse, problemi di ordine pubblico, disfunzioni nei servizi, difficoltà a rinnovarsi delle piccole aziende isolate, eccessivo stagionalismo che limita la professionalizzazione dei lavoratori e le possibilità di investimento delle imprese, pesantezza burocratica dell'Organizzazione Turistica pubblica a cui corrisponde una insufficiente capacità di valorizzare l'immagine Italia all'estero e una modesta spinta di promozione alla commercializzazione dei singoli prodotti sono i punti di debolezza che frenano il formarsi di un sistema turistico italiano, che partono dalla difficoltà del nostro paese nel confrontarsi con la competizione sempre più agguerrita. Alla base di queste difficoltà c'è una ancora troppo limitata disponibilità ad agire insieme degli innumerevoli soggetti, privati e pubblici, che devono diventare protagonisti di un rilancio del turismo italiano e c'è una carenza di strumenti di "ascolto" e di tutela dei turisti. La tutela del consumatore - turista sta diventando, a livello internazionale, il cardine delle politiche pubbliche. Dentro questo concetto sono da ricomprendere i criteri della salvaguardia ambientale e dell'ospitalità ecologicamente compatibile, della tutela e protezione delle risorse non rinnovabili, del rifiuto delle forme di turismo che ledono la dignità della persona umana o che non sono in sintonia con i valori locali, della qualità del prodotto di ospitalità da garantire e certificare. L'evoluzione dei sistemi informativi e delle centrali di prenotazione impone una accelerazione nei processi di internazionalizzazione del mercato turistico. Ciò deve tradursi in una maggiore trasparenza in favore dei consumatori e a tutela del pluralismo imprenditoriale evitando che si formino posizioni dominanti di tipo monopolistico. Servono queste poche essenziali regole generali per la formazione del rinnovato sistema turistico italiano. Il resto va lasciato all'iniziativa regionale e locale, ivi compreso gran parte del reperimento delle risorse. Il sistema turistico italiano deve federare innumerevoli variegati sistemi turistici locali e deve saper incorporare a pieno titolo tutta la ricchezza della cultura materiale dei luoghi: delle attività agricole tipiche ai marchi industriali che rendono famosa una zona o una regione nel mondo, dalle attività artigianali produttive a quelle artistiche o di servizio, dalla ristorazione alle attività terziarie, congressuali e fieristiche, dalle mostre, spettacoli o eventi artistici alle stagioni culturali. Per rilanciare il turismo italiano occorre concentrare l'attenzione progettuale e la programmazione delle risorse (ivi comprese quelle di provenienza internazionale) su alcuni temi cruciali: - il mezzogiorno inteso come progetto di un unico grande cantiere della qualità in grado di stimolare l'emergere di sistemi locali fra loro coordinati. Il sud turistico è oggi caratterizzato dal divario elevato esistente fra valore delle risorse di base e qualità territoriale dell'accoglienza e dei servizi. Il primo degli obiettivi per il mezzogiorno è rigenerare il tessuto delle risorse umane e imprenditoriali, cioè la capacità di gestione del territorio e dell'ospitalità e di promozione delle attività locali. Il Mezzogiorno deve inoltre vincere la gara con gli altri paesi del Mediterraneo per offrire elevati standard ai cittadini europei che, sempre più numerosi, intendono trascorrere lunghi periodi della propria vita nei "paesi del Sole". Si tratta di un mercato potenziale di dimensioni enormi a cui bisogna dare risposta non solo in termini di imprenditorialità ma anche di organizzazione del sistema delle comunicazioni e, soprattutto, dei servizi pubblici, come sanità e sicurezza. - le aree a turismo maturo in cui stimolare processi più rapidi di riqualificazione, di internazionalizzazione delle imprese e di orientamento ai sistemi di qualità; - le città dove le tecniche del city-marketing vanno utilizzate per tenere insieme le azioni volte all'incremento dell'attrattività turistica con quelle finalizzate allo sviluppo economico e alla qualificazione della vivibilità delle città; le città e il loro territorio in una visione di area vasta, possono trovare nel turismo una leva per la rivitalizzazione dell'insieme delle funzioni urbane e per attrarre insieme, e in modo programmato, visitatori e investitori avendo come riferimento la soddisfazione dell'utilizzatore della città che sia esso residente, lavoratore pendolare o turista; - i comprensori termali da valorizzare come territori del benessere in tutte le accezioni; il rilancio delle imprese termali non può essere disgiunto da progetti locali di valorizzazione ambientale e da un impegno diretto di tutti i soggetti, pubblici e privati, interessati alla creazione di comprensori termali in sintonia con una domanda meno assistita e più evoluta; - le aree di pregio ambientale e per il turismo verde e naturalistico da promuovere con vigore per dare anche all'Italia turistica una prospettiva e un orientamento eco-compatibile a partire dalla messa in valore di elementi veri di identità dell'ambiente naturale; i nuovi modelli di consumo del tempo libero moltiplicano le opportunità di crescita economica delle aree verdi e naturalistiche; a questa varietà di aspettative occorre far corrispondere una pluralità di modelli e di forme di ospitalità conferendo pari dignità anche alle forme di accoglienza e di ospitalità che valorizzano aree marginali e che però non vanno considerate attività marginali anche quando, in partenza, sono di limitata dimensione. Per dare impulso a queste proposte, la cui gestione va collocata essenzialmente al livello regionale e dei sistemi economici locali, vanno garantiti al livello del governo centrale: - un indirizzo di politica fiscale, tributaria e di sostegno finanziario che favorisca il reinvestimento nel turismo, che privilegi i progetti di tipo integrato, fondati su reti articolate nel territorio, in grado di migliorare la qualità percepita dal turista e che ne affidi la gestione al livello locale stimolandone l'efficacia attraverso meccanismi di controllo dei risultati; - una riforma della legislazione turistica che delegiferi tutti gli aspetti programmatici e si limiti a fissare alcune essenziali regole in materia di deleghe e competenze (eliminando duplicazioni e accavallamenti), strumenti di programmazione dell'economia turistica, monitoraggio e sistema informativo, tutela del patrimonio ricettivo e turistico, qualità del servizio e tutela del consumatore, eliminando, con gradualità e in modo programmato, una serie di contingenti, vincoli e adempimenti burocratici che pesano sulla gestione pubblica e sulle attività private; - coordinamento stretto e progressiva unificazione-selezione della strumentazione pubblica turistica, culturale ed economica sia al livello della promozione verso l'estero attraverso la messa a sistema dei diversi strumenti operanti per l'immagine Italia sia a livello regionale e locale dove ancora meno si giustifica la moltiplicazione degli strumenti in funzione di un'unica finalità: la promozione di un'area in quanto immagine, sviluppo, relazioni economiche e commerciali, tutti aspetti fra loro indissolubilmente connessi; anche il sistema di informazione e accoglienza locale va aperto alla fornitura di tutti i servizi utili per rendere trasparente, accessibile e fruibile un territorio in stretta connessione con i servizi analoghi da assicurare ai residenti. Infine occorre garantire la presenza del punto di vista turistico nella definizione di un ampio arco di politiche economiche e territoriali a cominciare dall'organizzazione dei trasporti e dei beni storico - culturali, dei calendari annuali, dei periodi di ferie e dei tempi orari delle città. Tesi n° 56 L'artigianato: una tradizione a cui dare modernità L'artigianato rappresenta una grande ricchezza nel panorama dell'economia italiana: sono circa 1.450.000 le imprese presenti, localizzate anche in quelle aree del paese ove la grande impresa non ha interesse a insediarsi e a produrre; sono circa quattro milioni le persone complessivamente occupate nell'artigianato. Una politica per l'artigianato deve mirare al rafforzamento strutturale del comparto, per aumentare stabilmente la competitività, che oggi é sostenuta particolarmente dal favore di cui godono le nostre esportazioni. Occorre quindi una politica attiva di promozione, valorizzazione e di innovazione tecnica e professionale del settore artigianato. A questo fine, va sostenuta una nozione di artigianato che possa fare da ponte tra la vecchia concezione convenzionale, alla quale sono ancora prevalentemente ancorate le norme esistenti, e la nuova realtà imprenditoriale, che queste norme non riescono ancora a comprendere e soddisfare. Per superare i problemi emersi nel corso dell'applicazione della vigente legge quadro per l'artigianato, occorre quindi un insieme di nuove norme, confluenti in un apposito "statuto" per l'imprenditore artigiano, che individui la figura professionale e imprenditoriale dell'artigiano, e da cui discenda la regolamentazione dei rapporti, delle attività e degli strumenti che l'impresa pone in essere per il raggiungimento degli scopi che le sono tipici. Questo nuovo statuto deve essere rispondente alla prospettiva di integrazione europea, anche al fine di conseguire un rinnovato grado di cooperazione tra imprese artigiane e sistemi di impresa, favorendo un interscambio tecnologico e di ricerca con altri sistemi di maggiore dimensione. Intervenire per la promozione dell'artigianato significa attuare inoltre una serie di politiche in diversi settori: - nel nuovo disegno di forte decentramento dello stato, con lo sviluppo di politiche regionali che si muovano all'interno sia di un quadro nazionale di riferimento (quale ad esempio lo "statuto" dell'artigianato) sia delle esigenze di armonizzazione comunitaria; - negli interventi fiscali, con l'obiettivo di giungere ad un prelievo più equo e più semplice, impostato su una maggiore chiarezza e trasparenza con il fisco, ad esempio sostituendo i contributi sanitari e la tassa sulla salute con la nuova imposta regionale; con la semplificazione e la ristrutturazione di alcune imposte (TOSAP e TARSU). I rapporti con il fisco vanno impostati su accertamenti concordati, basati su studi di settore, uscendo dall'incoerente susseguirsi di misure punitive e di condoni. Gli adempimenti formali saranno semplificati e unificati. La tassazione del reddito d'impresa sarà rivista, attribuendo una aliquota bassa alla parte di utile che remunera il capitale investito; - nel settore del credito, con condizioni di accesso più favorevoli di quelle attuali, tenendo in considerazione soprattutto le difficoltà specifiche del Mezzogiorno, e in particolare il rischio usura a cui sono sottoposte le imprese minori anche dotate di maggiore intraprendenza e flessibilità, ma non in grado di rilasciare garanzie patrimoniali (vedi "Il Mezzogiorno"); - nella pubblica amministrazione, per semplificare le procedure che riguardano sia le incentivazioni, sia la normativa; - nelle politiche relative al trasferimento tecnologico e all'innovazione (vedi "La creazione e la crescita di imprese innovative"); - nelle politiche di formazione, ad esempio con un nuovo sistema di apprendistato (vedi "Formazione professionale, educazione continua e partecipazione"); con la creazione di centri artigianali cooperativi, in cui promuovere la formazione dei giovani, anche per valorizzare l'artigianato artistico, che costituisce una delle grandi tradizioni culturali del nostro paese; - nel sistema delle locazioni, per favorire il mantenimento delle imprese artigiane nell'ambito sociale ed economico che le ha espresse; - nella programmazione del territorio, per attuare piani di sviluppo ed aree attrezzate nel quadro di politiche capaci di coniugare lo sviluppo dell'artigianato e la tutela dell'ambiente. Tesi n° 57 La questione delle abitazioni Il mercato italiano è caratterizzato da un grande frazionamento e diffusione della proprietà, sia nel settore abitativo che in quello non abitativo, e quindi dalla prevalenza della domanda e dell'offerta di immobili in proprietà, rispetto a quelli in locazione. Questo fenomeno è dovuto alle legislazioni vincolistiche che hanno fortemente compresso l'offerta di immobili in locazione. Gli abusi che sono derivati dai pur complicati e spesso vessatori vincoli urbanistici hanno ulteriormente penalizzato l'attività di costruzione legittima. La disponibilità complessiva di immobili appare oggi sostanzialmente adeguata, anche se caratterizzata da forti squilibri geografici e tipologici rispetto alle necessità. La recente crisi congiunturale è stata aggravata, nel settore, dal forte aumento del carico fiscale sugli immobili. In questo quadro occorre: - procedere nella liberalizzazione delle locazioni e semplificare le procedure nei cambiamenti di destinazione d'uso, negli accorpamenti e nei frazionamenti, al fine di dare luogo ad un incremento dell'offerta di abitazioni, senza dovere espandere ulteriormente la quantità di superfici edificate; - ridefinire la politica dell'intervento pubblico, in particolare nel settore abitativo per le categorie più deboli, per evitare che la privatizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti pubblici si traduca in una contrazione dell'offerta di alloggi a buon mercato; - riesaminare l'imposizione fiscale sulle compravendite, che contribuisce sensibilmente all'irrigidimento del mercato (vedi "Come tassare gli immobili"); - rivedere le norme urbanistiche ed amministrative a livello centrale e locale, per mantenere le necessarie salvaguardie senza tuttavia penalizzare indiscriminatamente ogni possibilità di nuove costruzioni, ma favorendo soprattutto il riutilizzo e il recupero del già costruito. La nuova alleanza con la natura Tesi n° 58 Conservare la biodiversità Conservare la biodiversità significa conservare la diversità della specie e degli ecosistemi, la diversità genetica all'interno di una specie a garanzia della capacità di evoluzione e di adattamento. La salvaguardia degli habitat naturali, delle specie animali e vegetali é stata assunta tra gli obiettivi centrali di politica ambientale dalla Conferenza di Rio e anche dalla Comunità europea (ad esempio con la Direttiva "Habitat" che si faceva carico di istituire una serie di spazi terrestri e acquatici protetti per salvaguardare dalla minaccia di estinzione le diversità biologiche e dal degrado i loro ambienti). Il nostro Paese ha formalmente dato esecuzione a questi impegni in modo particolare con la legge quadro sulle aree protette, che mira a destinare il 10% del territorio nazionale a Parco. La legge si pone infatti come scopi prioritari alcune priorità che stanno al centro del presente programma ambientale: - la conservazione di specie animali e vegetali, di associazioni forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotipi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici; - l'applicazione di metodi di gestione e di restauro ambientale allo scopo di favorire l'integrazione fra esseri umani e ambiente anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e dell'attività agro-silvo-pastorale tradizionale; - la sperimentazione di attività produttive compatibili; - la promozione di attività educative, formative e ricreative. In conformità con questi principi é quindi necessario: - Portare a piena attuazione l'obiettivo della legge sulle "aree protette". Bisogna quindi procedere nel breve periodo allo sblocco dei finanziamenti per i nuovi parchi nazionali e per i parchi regionali del 1° Programma triennale, all'adeguamento normativo e finanziario della legge quadro per i parchi storici, al sostegno alle Regioni per i parchi regionali, all'accelerazione dell'istituzione di nuovi parchi nazionali e delle riserve marine; alla messa a punto della strumentazione prevista dalla legge quadro (carte nazionali, coordinamenti, statuti, regolamenti, direttori, etc.). Un piano di interventi nella gestione delle aree protette può avere anche significativi effetti occupazionali nei settori dell'agricoltura, del turismo, del rimboschimento e della vigilanza. - Affrontare il tema del maltrattamento degli animali, pervenendo alla applicazione concreta delle positive leggi esistenti sulla prevenzione del randagismo, con una severa disciplina della sperimentazione sugli animali; applicando le direttive europee. Tesi n° 59 Portare l'acqua da bere in tutte le case L'acqua è apparentemente una delle sostanze più abbondanti nell'intero pianeta: eppure numerosi sono gli organismi internazionali che annunciano una drammatica crisi mondiale causata da uno spreco idrico indiscriminato, che ha impoverito la qualità e la quantità disponibile di questa risorsa non rinnovabile. Vige anche per il nostro Paese l'impegno ad allontanare - a partire da un terreno nazionale e locale - i rischi globali di una crisi idrica di portata planetaria, impegno al quale per ben due volte ci ha richiamato la Comunità Europea attraverso la Corte di giustizia. L'azione di salvaguardia di questo bene assume quindi un valore prioritario. Esistono leggi importanti, quali la legge Merli o la legge Galli, che afferma il carattere pubblico di tutte le acque superficiali e sotterranee e impone un loro uso responsabile e solidaristico. Leggi importanti, che, tuttavia non vengono attuate, sia nelle scelte del governo centrale che in quelle delle regioni. Questo richiede un forte impegno del futuro governo per la salvaguardia della qualità e della quantità dell'acqua disponibile. Ancora oggi, infatti, il 35% della popolazione, soprattutto nel Meridione, soffre per il rifornimento idrico. Il primo obiettivo è quindi portare l'acqua da bere in tutte le case. Ciò deve avvenire soprattutto mediante una politica di riciclaggio e di redistribuzione. La maggioranza dei corsi d'acqua, superficiali e sotterranei, va riportata ad un alto livello qualitativo per lo svolgimento delle principali funzioni, in primo luogo quella potabile; le acque costiere vanno riportate ad un livello di qualità adeguato a permettere la vita degli ecosistemi marini e a consentire gli usi umani di balneazione e ricreazione. A tal fine si provvederà: - a preparare e realizzare un piano di difesa delle acque nell'intero territorio nazionale, che assicuri la difesa dei fiumi e la conservazione dei territori circostanti i corsi di acqua in condizioni di prevalente naturalità; - ad inserire l'intero territorio nazionale in bacini nazionali di tutela idrogeologica, con un'organizzazione da tempo efficacemente realizzata in altri paesi europei; - a dare piena attuazione alle leggi esistenti, quali la legge Galli, attraverso la definizione di un regime unitario delle acque (captazione, distribuzione, depurazione); la legge Merli, con un piano di risanamento e controllo degli effetti degli scarichi sui corpi idrici; la legge 37/94 che vieta l'escavazione dei fiumi per fini di produzione industriale; - ad assicurare il rispetto della normativa che tutela le acque destinate al consumo umano, garantendo gli interventi di miglioramento delle strutture di potabilizzazione da parte dei gestori di acquedotto, incentivando il controllo interno di qualità dell'acqua distribuita agli utenti, contenendo al minimo le deroghe ai requisiti di qualità, comunque entro i limiti previsti dalla normativa comunitaria; - a perseguire l'obiettivo di una riduzione dei consumi, ma contestualmente anche di una loro redistribuzione, portando entro breve tempo, in tutte le case e soprattutto al Sud, nuovi sistemi idrici e di depurazione. In tal senso sarà necessario introdurre misure finanziarie che razionalizzino l'uso dell'acqua, a partire dal bilancio tra la disponibilità immediata del bene e i suoi usi. Vanno inoltre utilizzate in modo idoneo e tempestivo le rilevanti risorse messe a disposizione dall'Unione Europea. Per migliorare la qualità delle acque, come di tutte le risorse e gli ecosistemi utilizzati dall'uomo, è anche decisivo rafforzare il settore dei controlli ambientali, assicurando in particolare piena operatività ed efficienza all'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente. Tesi n° 60 Il riassetto idrogeologico del territorio L'Italia è un paese esposto ad alti rischi geologici, sia per cause naturali (terremoti ed eruzioni vulcaniche), sia per cause storiche (l'abbandono continuo e costante delle aree di alta collina e di montagna cominciato massicciamente nel dopo guerra, l'espansione delle aree urbanizzate con relativo aumento della impermeabilizzazione dei terreni, lo spopolamento della campagna), sia per l'intervento spesso dissennato dell'attività umana sul territorio (disboscamenti, sconvolgimento del regime delle acque, sconsiderati imbrigliamenti e sbarramenti degli alvei fluviali, abusivismo edilizio, coltivazioni iperproduttive). Tuttavia, le politiche seguite sono state lungi dal rimuovere le cause del disastro e del dissesto; ci si è limitati a mere azioni difensive e riparative. Contro questa politica del "rattoppo" occorre invece una politica di riassesto idrogeologico del territorio, con un programma di rinaturazione e di riforestazione, che prevenga gli eventuali rischi, renda compatibili le attività agricole e agro-forestali, con una pianificazione urbanistica delle aree di pertinenza fluviale, da mantenere o riportare in condizioni di naturalità. Proponiamo quindi un grande piano nazionale di opere di pubblica utilità a difesa del suolo e dei bacini idrogeografici, per prevenire gli incendi, le frane, le erosioni, le alluvioni. Un piano di riassetto idrogeologico che possa portare anche alla creazione di nuova occupazione e a rendere più razionale ed efficace l'organizzazione dei servizi e delle risorse esistenti. Alcune azioni da intraprendere sono: - portare a piena attuazione le più importanti leggi approvate negli ultimi 15 anni in materia di riassetto idrogeologico e di difesa del suolo, di tutela paesaggistica di aree protette e parchi, di intervento nelle aree ad elevato rischio di crisi ambientale; a partire dalla legge 183 del 1989; - avviare e/o completare una mappatura delle aree di rischio idrogeologico con una diffusa rete di prevenzione e una serie di misure di pronto intervento. A ciò può contribuire il potenziamento dei Servizi Tecnici Nazionali e l'Agenzia nazionale dell'ambiente; - attivare in pieno le competenze delle Autorità di bacino e progettare, in accordo con le Regioni, i Piani di bacino; - recepire pienamente la direttiva europea sulla valutazione di impatto ambientale, al fine di esercitare un controllo preventivo sugli effetti degli interventi che possono avere forte incidenza ambientale sul territorio. Tesi n° 61 L'aria che respiriamo Insieme all'acqua, l'aria costituisce l'altro elemento indispensabile alla vita. E, più dell'acqua, esso risulta compromesso da numerosi fattori che sono, per loro natura, difficili da tenere sotto controllo. Per questo, é necessario uno sforzo superiore a quello sino ad oggi profuso, non solo per ridurre il livello di degrado di questa essenziale componente dell'ambiente ma anche per contenere i rischi per la salute dell'uomo, ormai scientificamente documentati. Accanto a tradizionali fattori di inquinamento (industrie, veicoli ed impianti termici) occorre considerare fenomeni nuovi, ma non per questo meno allarmanti, quali l'inquinamento transfrontaliero, quello della ozonosfera e quello da rumore, solo di recente oggetto di attenzione da parte del legislatore. Per ciascuno di essi è necessaria una politica che cerchi di superare i limiti della legislazione vigente e le carenze della sua applicazione. Si propone quindi di: - attivare anche sul piano nazionale quelle misure di contenimento dell'effetto serra che sono al centro delle politiche ambientali mondiali, in particolare mirando ad eliminare nel più breve tempo possibile l'impiego dei clorofluorocarburi (CFC); - controllare il livello delle emissioni di biossido di carbonio, dovute principalmente ai mezzi di trasporto. A tal fine potrebbe essere introdotta in un sistema di imposte comuni europeo e quindi non penalizzanti per la competitività delle imprese, una tassa combinata sugli ossidi di carbonio/energia (vedi "Chi inquina paga"); - controllare le emissioni di metano dovute principalmente al settore energetico (fughe di gas naturale) e al settore rifiuti; - attuare le normative vigenti (ad esempio il DPR 203/88) in tema di emissioni da impianti industriali. Su questo tipo di emissioni il controllo esercitato é stato sino ad ora rivolto ad aspetti meramente formali (il possesso dell'autorizzazione) senza poter verificare, invece, il dato più importante, quello dell'inquinamento atmosferico; - attuare le leggi in materia di inquinamento da impianti termici, ad esempio la legge che, abbinando il concetto di risparmio energetico a quello di lotta all'inquinamento atmosferico, incentiva la trasformazione degli impianti funzionanti ad energia pulita. E' qui opportuno intervenire con il riconoscimento di incentivi o di benefici fiscali a chi modifichi gli impianti o esegua gli interventi di manutenzione indispensabili al buon funzionamento degli stessi; - attuare la recente legge quadro sul rumore (28/10/95, n. 447), sia attraverso la tempestiva emanazione della normativa (tecnica ed amministrativa) di esecuzione (in assenza della quale la legge non può funzionare), sia con l'adempimento degli obblighi di pianificazione della bonifica acustica e con la previsione della relativa copertura finanziaria; - dare attuazione alla normativa esistente sull'inquinamento transfrontaliero e di protezione dell'ozonosfera, promuovendo anche forme di collaborazione internazionale, senza le quali qualsiasi intervento nazionale rischia di rivelarsi insufficiente. Tesi n° 62 Trasporti moderni, puntuali e senza danni Il sistema dei trasporti soffre oggi di una mancanza di scelte strategiche e, al tempo stesso, di un eccesso di regolamentazione. Moltissimi cittadini esperimentano quotidianamente il disagio della congestione del traffico cittadino, la difficoltà di spostarsi agevolmente con il treno; la grande prevalenza del trasporto privato rispetto a quello pubblico finisce per limitare in molti casi la libertà di tutti di spostarsi, oltre ad avere effetti preoccupanti sull'inquinamento dell'aria che respiriamo. Bisogna quindi passare ad una politica dei trasporti che ponga i seguenti obiettivi: - favorire lo sviluppo di una mobilità "sostenibile" dal punto di vista ambientale: spostando quindi la maggiore quota di traffico possibile dal mezzo privato a quello pubblico - specie nelle città - e dalla gomma al ferro; - migliorare la qualità, per raggiungere standard europei nella erogazione dei servizi ferroviari, aerei e marittimi; - realizzare una politica di investimenti per la modernizzazione delle reti e la razionalizzazione dei sistemi terminali (ad esempio - le stazioni, gli aeroporti), con interventi selettivi, in modo da garantire l'integrazione "fisica" dell'Italia in Europa; - introdurre regole concorrenziali tra gli operatori del trasporto, in sintonia con quanto previsto dalla regolamentazione comunitaria; - modificare il sistema dei prezzi, attraverso recuperi di efficienza e un aumento della concorrenza, adeguandoli ai livelli europei. Proponiamo di aumentare l'offerta di trasporti collettivi e/o pubblici nelle città. Questa è l'unica soluzione seria e credibile che garantisce la massima accessibilità nelle aree urbane, riducendo la congestione di traffico motorizzato. Occorre altresì rifinanziare ed assegnare le risorse per la realizzazione di sistemi per il trasporto rapido di massa (legge 211/92) sia di tipo tranviario che metropolitano. Vanno poi ammodernati i servizi ferroviari locali puntando ad un uso metropolitano dei binari che oggi attraversano le città senza servirle. Il sistema di trasporto ferroviario va reso moderno ed efficiente per ridurre i tempi di percorrenza lungo tutta la rete, per consentire ai passeggeri e alle merci di viaggiare alla maggiore velocità possibile. Proponiamo quindi un ammodernamento tecnologico e gestionale, il potenziamento delle linee ferroviarie sature, la riorganizzazione dei nodi ferroviari urbani, l'incremento del trasporto regionale. Un ammodernamento equilibrato fra i diversi segmenti di domanda, che favorisca maggiormente la breve e media distanza, che rappresenta oggi il 75% del bisogno di mobilità dei passeggeri. Va lanciato un grande progetto merci, che porti ad un significativo aumento delle merci trasportate su ferro in modo da avvicinare l'Italia alla situazione dei maggiori paesi europei. Il progetto merci va quindi chiaramente definito nel contratto di programma con le Ferrovie dello Stato. La realizzazione di qualsiasi progetto di ammodernamento della rete ferroviaria deve inoltre puntare a ridurre l'impatto ambientale delle opere - sia sotto il profilo del rumore che dell'uso del territorio - attraverso l'utilizzo della procedura di impatto ambientale. Andranno inoltre utilizzate tutte le possibilità offerte dal trasporto merci via acqua. Va incrementata, sulla base delle risorse effettivamente disponibili, la manutenzione ordinaria e straordinaria della rete stradale, aumentandone la sicurezza. Vanno definiti in modo trasparente i punti di crisi della rete autostradale e stradale su cui intervenire. Tesi n° 63 Rifiuti: uscire dall'emergenza e dall'illegalità Il problema dei rifiuti in Italia è, a tutt'oggi, ben lungi dall'essere risolto e assume i toni drammatici dell'emergenza: la capacità di smaltimento delle strutture autorizzate è assolutamente inadeguata e copre meno del 30% della necessità. La grande quantità di rifiuti smaltita irregolarmente comporta conseguenze ambientali e sanitarie molto pericolose. E soprattutto comporta una situazione di illegalità, nella quale si è pesantemente inserita l'economia criminale che ha trovato un nuovo terreno di attività nello smaltimento irregolare o clandestino dei rifiuti, sia dei rifiuti urbani e tossico-nocivi, sia, addirittura, dei rifiuti radioattivi e nucleari, lucrando nell'immenso affare del trasporto (in genere dal Nord al Sud) e dello smaltimento irregolare e clandestino dei rifiuti, con un danno ambientale rilevantissimo. Vanno attuati gli indirizzi europei, che puntano sulla prevenzione rispetto alla quantità e alla pericolosità dei rifiuti e sul loro smaltimento attraverso il riciclo e il riutilizzo. E' possibile passare dall'idea del rifiuto come cosa da "scaricare", da "gettare", al rifiuto come cosa da recuperare, riutilizzare, correggendo l'attuale sistema di smaltimento fondato sulla discarica a massa e sull'inceneritore del rifiuto. Alcune linee d'azione sono: - Ridurre all'origine la produzione di rifiuti, in particolare di rifiuti pericolosi, ad esempio incentivando i processi produttivi e i prodotti a bassa quantità e pericolosità dei rifiuti; regolamentando in modo più rigoroso le "materie prime secondarie"; rendendo obbligatorio l'uso di beni prodotti con materiali riciclati nella costruzione di opere pubbliche e nelle forniture alle Amministrazioni e agli Enti pubblici nazionali, regionali e locali; con imposte di fabbricazione sui beni non significativamente riciclabili, in relazione anche alla applicazione della normativa europea sulla etichettatura ecologica delle merci (Ecolabel). - Attivare il massimo recupero di materie prime e di energia dai rifiuti attraverso: la raccolta differenziata di carta, vetro, plastica, metalli, materiali domestici pericolosi (siamo al 2,5%, occorre arrivare almeno al 15%) da estendere alle materie riutilizzabili dall'industria e ai rifiuti pericolosi e ingombranti; il recupero, riutilizzo e riciclaggio degli imballaggi, adeguando anche il recepimento della direttiva comunitaria; il recupero di sostanza organica da utilizzare in agricoltura e di materiali combustibili con cui alimentare processi di produzione energetica alternativi; l'ammodernamento delle tecnologie nella produzione di combustibile da rifiuti. - Programmare la raccolta, il trasporto e il trattamento dei rifiuti alla scala territoriale adeguata, perseguendo il principio di autosufficienza regionale, dotando ciascun territorio di proprie strutture di smaltimento, provinciali per quanto riguarda i rifiuti urbani e assimilabili, regionali per quelli pericolosi. Ciò al fine di eliminare la "colonizzazione" dei territori più forti rispetto a quelli più deboli e assunti come universale discarica e per garantire la partecipazione delle popolazioni locali nelle scelte di localizzazione. - Sottoporre a valutazione di impatto ambientale tutti gli impianti di smaltimento di rifiuti pericolosi, le discariche per i rifiuti urbani e assimilabili con una potenzialità complessiva superiore alle 25000 tonnellate, e gli inceneritori, ad esclusione dei soli piccoli impianti. Tesi n° 64 Politica dell'energia Il sistema energetico italiano ha oggi queste caratteristiche: rinuncia al nucleare, impiego di carbone fermo ai livelli dei primi anni '80 e ampio spazio al gas naturale, che si avvia a rappresentare 1/3 dei consumi energetici nazionali). Resta ancora molto da fare per assicurare un uso efficiente dell'energia e delle fonti rinnovabili, in modo da ridurre notevolmente l'uso di combustibili fossili. L'affermazione dell'uso efficiente e delle fonti rinnovabili è resa problematica dal mercato, che vede il prezzo del greggio attestato a meno della metà di dieci anni fa. Ma è anche ampiamente noto che il volano per far decollare le molteplici iniziative su questo terreno è un consistente investimento pubblico volto a stimolare l'interesse imprenditoriale e dei singoli cittadini, sostenuto da un'azione amministrativa efficace e capillare: esistono esempi incoraggianti in tutto il mondo tecnologicamente avanzato, e anche nel nostro Paese. La politica energetica che proponiamo, confermando l'attuale opposizione all'energia nucleare, punta quindi sulla ricerca e l'utilizzo di energie alternative e sul risparmio energetico. A tal fine si darà priorità: - all'uso efficiente e alle fonti rinnovabili in termini di investimenti pubblici per attivare il mercato, di coordinamento e sollecitazione della programmazione regionale, di strumentazione e organizzazione operativa; - ad un piano nazionale di approvvigionamento di gas naturale liquefatto che, attraverso la valutazione di impatto ambientale, individui gli attracchi per le metaniere e le infrastrutture connesse; - al conseguimento entro il 2000 dell'obiettivo previsto dal Piano energetico nazionale sul gas naturale, con la metanizzazione delle centrali termoelettriche, a partire da quelle situate in zone ad elevato rischio di crisi ambientale; - a valutare la fattibilità di un piano di interventi nella gestione dei sistemi energetici degli edifici attraverso la coibentazione e l'installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda ad uso sanitario. Tesi n° 65 Ricostruire la città costruita: una politica per le città L'impegno inderogabile da assumere è quello della vivibilità delle città. Molte delle nostre città sono invece esempi di città invivibili: gli spostamenti sono difficili, i servizi pubblici poco efficienti, i centri storici sottoposti a scempio, il verde e gli spazi di socialità carenti, le periferie sempre più degradate e senza identità. Occorre cambiare radicalmente direzione: é prioritario recuperare, riusare, riqualificare l'esistente (piuttosto che continuare a costruire), conservare il patrimonio artistico e monumentale dei centri storici, riqualificare e valorizzare le periferie, ripristinare gli ambienti naturali - giardini, orti botanici, parchi di conservazione o agricoli - anche nei centri urbani. Ricostruire la città costruita, come nell'esperienza di alcune amministrazioni locali, in modo da riqualificare la città, promuovendo luoghi e spazi per la comunità. Di importanza dominante è in questo senso affrontare il problema drammatico delle periferie (dove si concentra il maggiore malessere di vita del nostro paese), con interventi sui servizi, le infrastrutture, il verde pubblico; sul patrimonio abitativo pubblico e privato, con la manutenzione delle zone comuni. Per migliorare la qualità della nostra vita urbana alcune azioni sono prioritarie: - Un'azione di ripristino delle regole e di riordino e riformulazione degli strumenti per il governo urbanistico della città e dell'intero territorio. Occorre una nuova legge urbanistica che sostituisca la legge 1150 del 1942 e che, nel quadro dell'attività legislativa svolta dalle Regioni, introduca alcuni principi generali su condizioni e caratteri della pianificazione, sul sistema delle garanzie, sull'efficacia degli atti di pianificazione. Si deve trattare cioè di una legge-quadro che ridefinisca procedure di formazione delle decisioni, ruoli, funzioni, strumenti operativi, priorità capaci di riportare sotto il controllo degli organismi democratici la determinazione del volto delle nostre città, la qualità della vita delle popolazioni. Una legge urbanistica che semplifichi e snellisca le procedure e che definisca un nuovo regime dei suoli, chiaro negli obiettivi ed incensurabile dal punto di vista costituzionale. - Il lancio di un piano di opere di "pubblica utilità" che rovesci la tradizionale politica cementificatoria delle opere pubbliche e che, mettendo in campo anche finanziamenti privati o recuperando fondi pubblici inutilizzati, miri al restauro, alla manutenzione, al recupero territoriale e urbano. - Una politica che cambi rotta rispetto ad un passato nel quale il problema dell'illegalità e dell'abusivismo edilizio é stato affrontato con la pratica dei condoni edilizi, che sono invece assolutamente da rigettare. Un'Italia che sa, un'Italia che vale Tesi n° 66 La Scuola è la base di ogni ricchezza La scuola italiana si trova in situazione di crisi sia per l'inefficienza nella gestione delle risorse, sia per l'inadeguatezza dei programmi formativi, sia per l'indisponibilità di attrezzature e strumentazioni didattiche. I principi ispiratori della nuova scuola sono: - fiducia nei giovani come frutto di una fiducia collettiva nella formazione, che è diritto di cittadinanza e garanzia di equità e democrazia; - autonomia e flessibilità nell'ambito di una garanzia dello Stato sulla qualità dei servizi scolastici; - pluralità dei soggetti di offerta scolastica, garantendo controllo e standard qualitativi comuni, nell'ambito di un unico sistema di istruzione pubblica, superando anche la contrapposizione tra scuole statali e scuole non statali, per conseguire l'obiettivo di innalzare la qualità. La proposta di revisione del sistema scolastico e formativo è così caratterizzata: - Legge quadro per l'istruzione che preveda: estensione dell'obbligo scolastico, riordino dei cicli formativi, riforma della scuola per l'infanzia, riforma del triennio secondario con indirizzi scolastici legati a professionalità definite (formazione professionale legata al lavoro) o propedeutici agli studi universitari. - Ridefinizione delle competenze di Stato, Regioni e Provincie con una scelta di forte decentramento. - Istituzione di agenzie indipendenti e rafforzamento degli strumenti legislativi esistenti per lo sviluppo e la valutazione della qualità del sistema formativo. - Un piano di interventi straordinari basato su tre idee-cardine: educazione permanente, diritto allo studio e al sapere come diritto di cittadinanza, eguaglianza delle opportunità. Il nuovo progetto di scuola vede le seguenti priorità: - Aumento delle risorse in percentuale sul PIL, anche come volano per ulteriori interventi del sistema delle imprese e delle famiglie. - Nel quadro di una riforma della secondaria superiore e della formazione professionale (istituzione di un triennio secondario che prepari agli studi superiori e/o alla formazione di quadri per la produzione), innalzamento a 10 anni della durata dell'obbligo scolastico, rispetto agli attuali 8 anni, con diritto formativo fino a 18 anni. - Attuazione dell'autonomia scolastica, autonomia che si esprime su tre piani: didattica, di bilancio (naturalmente con l'obbligo del pareggio), gestione del personale. - Provvedimenti urgenti per la formazione degli insegnanti dei vari ordini e gradi di scuola (come previsto dalla Legge 341). - Rinnovamento della didattica, in particolare orientato anche a un utilizzo corretto e efficace delle nuove tecnologie informatiche, telematiche e multimediali. - Provvedimenti per l'edilizia scolastica soprattutto nel Mezzogiorno, anche con modalità innovative (ad esempio, coinvolgendo il mondo della ricerca e dell'industria). - Correzione e miglioramento della riforma della scuola elementare (Legge 148/90). In particolare, un impegno a realizzare l'unitarietà dell'insegnamento. Tesi n° 67 Formazione professionale, educazione continua e partecipazione Il sistema di istruzione professionale dell'Italia è in ritardo ed è andato peggiorando, anche a seguito della mancata riforma della scuola superiore. Bisogna passare da una concezione della formazione professionale come "addestramento al lavoro" all'idea di un progetto formativo a servizio della persona del lavoratore. Come in altri paesi, la formazione professionale dovrà essere destinata non solo ai giovani, ma anche agli adulti lavoratori e, per quanto riguarda i giovani, dovrà materializzare l'obiettivo del diritto/dovere a conseguire una qualificazione professionale entro il diciottesimo anno di età. Il programma parte dall'assunto che la formazione professionale è 'strumento della politica attiva del lavoro' (non 'un'altra scuola') ed è ispirato dai seguenti elementi di novità da introdurre: - articolare una pluralità di forme di formazione (a tempo pieno, a tempo parziale, contemporaneità di formazione e lavoro); - costituire un sistema che consenta la formazione 'continua' per affrontare un mondo del lavoro che richiede sempre più flessibilità e competenze specifiche; - decentrare il 'governo' e la 'gestione' della formazione, coinvolgendo i diversi soggetti interessati, ma mantenendo un controllo a livello nazionale per quanto riguarda la validazione e la certificazione delle qualifiche conseguibili, anche in rapporto a quelle europee. Lo sviluppo del sistema di formazione professionale implica un forte intervento di incentivo e sostegno alle imprese, ai singoli lavoratori, ai disoccupati, agli immigrati e anche agli anziani intenzionati a reinserirsi in ruoli sociali attivi. Le linee di intervento che ci proponiamo sono: - L'assegnazione principalmente alle Regioni del 'governo' della formazione professionale per la costruzione di una rete di servizi (parchi tecnologici, agenzie, …) a supporto dei lavoratori, delle imprese, del territorio. - L'affidamento, sotto il controllo delle Regioni, della 'gestione' ai diversi soggetti erogatori dei servizi: scuole, università, imprese, enti privati, organizzazioni non-profit. - L'articolazione degli interventi tenendo conto del 'contesto locale': distretti 'tecnologici' e/o 'industriali', 'bacini di impiego'. - L'introduzione di un moderno sistema di apprendistato (da costruirsi ex-novo rispetto all'attuale istituto) che dovrà avere alcune caratteristiche fondamentali: diplomi di sicura affidabilità, precisa definizione del metodo, congrua quota di tempo destinata, estensione anche ai livelli professionali medio alti. Sono da valorizzare inoltre i periodi di tirocinio sul lavoro, prevedendo anche forme di sostegno economico alle imprese. - Il deciso recupero di efficienza e la progressiva eliminazione dei rami secchi (a questo scopo è necessario prevedere il coinvolgimento delle parti sociali nella destinazione delle risorse, nella definizione dei contenuti formativi, nella valutazione). Va istituito un vero e proprio sistema di Istruzione Tecnica Superiore, cioè un canale post-secondario parallelo all'università, con le seguenti caratteristiche: massima flessibilità e piena possibilità di discontinuità nell'erogazione dei corsi; alta sensibilità nei confronti della domanda del mercato; ampio ricorso a docenti non istituzionali con esperienza lavorativa; sistema flessibile di certificazione dei titoli e di erogazione dei finanziamenti pubblici; coinvolgimento in forma di joint venture delle imprese. Tale sistema scolastico deve vedere coinvolti nella gestione le autonomie locali, le imprese e le associazioni di imprenditori, i sindacati e il mondo della scuola e la famiglia Tesi n° 68 Far crescere l'Università per far crescere il Paese Solo Portogallo e Turchia, in Europa, hanno una quota di laureati inferiore a quella dell'Italia. Il sistema universitario italiano va profondamente riformato e, a questo scopo, bisogna intervenire su alcuni aspetti: - il completamento e lo sviluppo dell'autonomia dell'università; - le modalità di sostentamento dell'università; - la normativa sugli ordinamenti didattici e la riorganizzazione dei percorsi formativi e professionali (anche in relazione al valore legale dei titoli di studio); I principali obiettivi del programma sull'università sono: - attribuire una reale autonomia decisionale, finanziaria, gestionale e organizzativa ai singoli atenei; - eliminare quei caratteri elitari che caratterizzano di fatto ancora oggi l'istruzione universitaria, creando così le condizioni per una concreta eguaglianza di opportunità per tutti; - istituire un sistema di valutazione dei risultati delle strutture, gestito da una Agenzia che sia soggetto terzo rispetto a governo e autonomie universitarie, come stimolo all'innovazione, al miglioramento e per orientare le scelte di investimento e di incentivazione del governo e in prospettiva delle Regioni e le scelte di tutti i soggetti che entrano in relazione con l'università. Il nuovo modello di università implica i seguenti interventi: - Forte mobilitazione di risorse, anche differenziando le fonti di entrata, e decisa trasformazione di modelli e di culture nelle istituzioni esistenti e in quelle da costruire. In particolare, bisogna realizzare l'obiettivo 'europeo' di portare alla laurea 350.000-400.000 studenti all'anno (contro i 100.000 attuali). Ciò significa avere due milioni di allievi, a vario titolo (contro i formali 1.600.000 di oggi). - Rivedere il modo di regolare gli accessi: - gli studenti "capaci, meritevoli e privi di mezzi" devono essere messi in grado di accedere all'università con un sistema misto di borse di studio e di prestiti; - il legislatore delibera il principio del numero programmato per tutta l'istituzione universitaria; - un meccanismo di preferenze espresse e di graduatorie assicura a ciascun candidato l'ammissione in una delle sedi universitarie. - Riformare le modalità di selezione dei docenti, separando i posti (lasciati alle decisioni autonome delle università) dalla certificazione delle capacità dei candidati. - Diffondere la cultura della valutazione a tutti i livelli dell'università (la "qualità totale" deve essere realizzata anche nell'università), facendo in modo che le risorse finanziarie dello Stato siano distribuite tra gli atenei (e all'interno di un ateneo tra le facoltà) sulla base di criteri di produttività scientifica e didattica, di qualità dei servizi, di efficienza, e tenendo inoltre in considerazione i rapporti docenti-studenti, docenti-laureati, non docenti-studenti, non docenti-laureati. Tesi n° 69 Nuove strategie per la ricerca scientifico-tecnologica Il deficit sistematico della 'bilancia tecnologica' italiana può essere sinteticamente rappresentato dal fatto che la partecipazione italiana al programma quadro comunitario per la ricerca e lo sviluppo tecnologico è stata sistematicamente per circa il 30% al di sotto del contributo italiano al bilancio comunitario. Questa situazione è anche il risultato di una insufficiente propensione del mondo imprenditoriale alla ricerca. Le direttrici di intervento sono quindi orientate a eliminare le condizioni generali che ostacolano lo sviluppo della ricerca e a intervenire in modo mirato sui principali attori della ricerca: il sistema universitario, il sistema degli enti di ricerca e il comparto delle imprese. Le nostre proposte sono: - Affiancare agli strumenti di tipo diretto per il finanziamento della ricerca e sviluppo, strumenti indiretti e automatici tramite l'utilizzo della leva fiscale (ad es. credito di imposta sulle spese per ricerca e sviluppo; oppure l'IVA negativa, cioè una detrazione di una percentuale della base imponibile per gli acquisti di beni e servizi relativi alla ricerca e sviluppo) a parità di oneri per l'erario. - Modificare il rapporto tra università, istituti di ricerca e imprese. A tale scopo si dovranno creare istituzioni di reale interfaccia, riformando adeguatamente enti come il CNR e l'ENEA. In ogni caso, il processo di formulazione degli obiettivi prioritari non deve svolgersi solo nel mondo accademico, ma risultare da scelte politiche nazionali che, sulla base di una larga consultazione con i soggetti del sistema produttivo, stimolino l'intervento privato e la domanda di innovazione. - Introdurre adeguati meccanismi di valutazione dell'efficacia degli investimenti, sia della valutazione ex-ante dei progetti da sostenere, sia della valutazione ex-post dei progetti realizzati. L'Anagrafe della ricerca prevista dalla L. 382/80 e mai realizzata potrebbe servire a tale scopo. - Realizzare una programmazione di medio e di lungo periodo per la creazione graduale delle risorse umane necessarie. Definire inoltre un progetto per la diffusione della cultura scientifica e tecnologica tra tutta la popolazione, attraverso una rete di laboratori e musei. Per costruire l'asse programmazione-autonomia-valutazione occorrono interventi coordinati che tocchino il sistema universitario (nella sua attività di formazione di giovani ricercatori e di produzione di conoscenze), il sistema degli enti di ricerca e il comparto delle imprese. Per quanto riguarda la ricerca pubblica, si pensa ad interventi mirati quali: - rivedere l'attuale non-sistema e una sua trasformazione in una rete effettiva; - intervenire su strutture, organizzazione e forme di vigilanza, concertazione ed indirizzo, puntando al superamento della attuale natura burocratica e procedurale verso una visione intelligente di governo di sistemi autonomi; - spostare l'attuale focalizzazione sulla fase di attuazione a favore dei momenti di indirizzo (scelte) e di valutazione (risultati), lasciando viceversa una forte discrezionalità e responsabilizzazione al momento esecutivo; - attrarre nuovi interessi e capitali (su un modello di progressivo adeguamento internazionale) e inserire giovani ricercatori da destinarsi in parte a settori produttivi 'esterni' alla ricerca, anche attraverso un ripensamento del dottorato; - introdurre il concetto di utenza nei meccanismi decisionali, con un progressivo ridimensionamento della direzione universitaria sugli enti di ricerca e con una partecipazione dell'utenza esterna ai rischi e ai costi della ricerca svolta. Per quanto attiene al sistema delle imprese, si tratta di: - favorire l'internazionalizzazione del sistema (superando le logiche meramente protezionistiche, se non temporanee); - intervenire nei confronti delle imprese (o delle filiere tecnologiche) con progetti/ contratti di programma e con interventi generali di diffusione delle tecnologie; - sostenere il processo di radicamento delle attività scientifiche industriali mediante interventi fiscali e una politica di mobilità del personale; - superare la logica ministeriale 'accentrata' degli interventi con un processo di decentramento delle scelte e delle iniziative e con un'attenzione specifica al tema tecnologia/innovazione, anche attraverso una rete di agenzie; - coordinare l'azione dei vari ministeri sia nella fase di progettazione degli interventi legati all'innovazione e alla tecnologia sia in quella di attuazione. Tesi n° 70 Riorganizzare le professioni, evitare le corporazioni La motivazione più frequentemente addotta per giustificare interventi di regolamentazione dei mercati dei servizi professionali si basa sulla presenza di asimmetrie informative concernenti il livello qualitativo dei servizi stessi. Quasi tutti i paesi hanno introdotto schemi di controllo basati su una selezione all'entrata in modo che i consumatori abbiano almeno un'informazione di base relativa al fatto che chi è ammesso a fornire i servizi è in grado di farlo ad un livello qualitativo accettabile. Ai potenziali vantaggi della delega alle organizzazioni professionali si contrappone però l'obiezione di fondo secondo cui gli appartenenti alle organizzazioni professionali possono avere un interesse ad agire contro l'interesse collettivo e a tutelare le rendite di posizione delle professioni stesse. Le nostre proposte per riformare il sistema di auto-regolamentazione dei mercati dei servizi professionali sono: - Rivedere la regolamentazione dell'entrata nelle professioni e i controlli ex ante, ossia: - Far sì che gli esami di ammissione all'esercizio delle professioni valgano a verificare la preparazione dei candidati (non a limitare l'accesso alle professioni) e a garantire maggiori caratteristiche di oggettività e di uniformità nei giudizi. - Ridurre il ruolo diretto delle organizzazioni professionali (che spesso utilizzano le barriere all'entrata di tipo istituzionale come strumenti di difesa dei livelli di reddito dei membri della professione piuttosto che di controllo della qualità dei candidati). - Far dipendere la certificazione del livello qualitativo prioritariamente dall'ottenimento di titoli di studio con curriculum approvati dal legislatore nel rispetto del principio del mutuo riconoscimento fra i paesi membri dell'Unione Europea. Quando venisse abrogato il valore legale del titolo di studio universitario, la certificazione della qualità avverrà mediante un vero e proprio esame di Stato, le cui norme di funzionamento dovranno essere opportunamente rivedute. - Uniformare i curricula rispetto a quelli prevalenti nei paesi dell'Unione Europea, in modo da ridurre gli ostacoli alla mobilità dei professionisti. - Con l'eccezione delle professioni di tipo medico, non considerare i periodi di apprendistato come condizione necessaria per poter svolgere gli esami di ammissione alla professione. - Regolamentare le informazioni fornite al mercato: rimuovere almeno alcuni dei vincoli relativi alla diffusione di pubblicità e informazioni relative alle specializzazioni (rafforzando le penalità per la diffusione di informazioni non veritiere); favorire la competizione tra organizzazioni di professionisti per la certificazione continua delle caratteristiche qualitative dei loro associati; potenziare gli accorgimenti istituzionali che permettono una riduzione dei costi di valutazione della qualità dei servizi forniti dai singoli professionisti. - Regolamentare i livelli qualitativi ex post, stimolando l'adozione di codici di autodisciplina ed evitando la fissazione di prezzi minimi che rischiano di diventare strumento per accordi di cartello. - Regolamentare le forme organizzative e la mobilità: rimuovere i vincoli all'esercizio in forma associata delle professioni e alla mobilità sia nazionale che internazionale. - Operare per una riduzione dei casi in cui la delega di funzioni pubbliche avviene in condizioni di monopolio, aumentando il numero delle organizzazioni professionali abilitate; laddove ciò non fosse possibile è opportuno evitare che l'entrata nel mercato sia ristretta numericamente privilegiando invece un sistema di valutazione oggettiva dei curricula e dei titoli. Il nuovo patto sociale Tesi n° 71 Il futuro dei giovani, il futuro del Paese Noi vogliamo fare una politica che non si fermi al giorno per giorno. Una politica che abbia al centro lo sviluppo delle persone, delle risorse umane. Vogliamo governare il paese guardando non a domani, ma al futuro. Un progetto per le giovani generazioni é il programma di chi: - vuole risanare la finanza pubblica, per ristabilire l'equità tra le generazioni; - vuole intervenire sulla scuola per dare alle persone l'opportunità di sfruttare al meglio il proprio talento, gli strumenti per scegliere nella società, nel mercato del lavoro e per partecipare alla vita politica e culturale; - vuole cambiare l'università, perché le persone che si iscrivono abbiano reali possibilità di laurearsi; - vuole intervenire sulla formazione professionale, per dare ai giovani una qualificazione professionale entro il diciottesimo anno di età e più possibilità in un mondo del lavoro che richiede maggiore flessibilità e capacità di imparare continuamente; - vuole una Repubblica fondata davvero sul lavoro: con opportunità imprenditoriali per chi ha idee innovative; con nuovi strumenti di inserimento; con lo sviluppo dell'occupazione in settori nuovi come l'ambiente e in campi ad alta qualificazione e specializzazione; con una responsabilità delle imprese per la crescita delle loro risorse umane; con maggiori possibilità per i giovani professionisti ; - vuole dare ai cittadini la possibilità di adempiere ai propri doveri di difesa della patria facendo un servizio civile utile allo sviluppo della comunità, delle persone deboli, dell'ambiente, della promozione della pace e del volontariato internazionale; - vuole un'organizzazione sociale del tempo, del lavoro che dia le stesse opportunità alle donne e agli uomini; - vuole valorizzare le grandi risorse di impegno civile nel volontariato e nelle associazioni; - vuole che la cultura, la musica, lo spettacolo, le arti, lo sport, la società dell'informazione siano risorse di promozione della persona, fattori di coesione sociale, oltre che occasioni di sviluppo economico. Queste sono alcune delle proposte contenute nelle diverse tesi, a cui rinviamo. Sono alcune delle proposte con cui noi vogliamo rispondere al malessere, al senso di insicurezza per il proprio destino personale di una parte delle giovani generazioni, con cui vogliamo rispettare l'originalità di ciascuno. Sono alcune delle proposte per il futuro del paese, cioè per il futuro dei giovani. Tesi n° 72 I giovani al servizio della comunità Ognuno deve operare in favore della comunità civile. La Costituzione, all'art. 52, lancia questo messaggio: i cittadini sono chiamati ad adempiere ad alcuni doveri e fra questi quelli di solidarietà e di difesa della Patria; le istituzioni devono garantire la sicurezza del Paese e governare il suo sviluppo, operando per il superamento delle condizioni di diseguaglianza fra i cittadini. La proposta di un periodo di servizio civile per tutti risponde a questa logica e vuole essere un contributo efficace a rimotivare la partecipazione individuale, a offrire alle istituzioni una risorsa per fare in modo nuovo politiche sociali, ambientali, educative, di protezione civile, di valorizzazione dei beni culturali, di promozione della pace e di volontariato nei Paesi poveri. Essa si rivolge in particolare ai giovani di entrambi i sessi. La vastità numerica dei potenziali partecipanti, la notevole complessità organizzativa, il costo impongono che questo obiettivo venga perseguito con gradualità e flessibilità, commisurandolo alla valutazione dei risultati, del consenso e dell'impatto economico globale. Si propone quindi, in parallelo con la prevista riforma delle forze armate che porta ad un sistema di reclutamento misto (volontari e di leva), la costituzione di un servizio civile: - che preveda l'accesso ai giovani di leva che optano per il servizio civile, agli obiettori di coscienza, alle ragazze che volontariamente chiedano di partecipare; - che sia radicato fortemente nel territorio, attraverso l'attribuzione di dirette responsabilità alle regioni, province e comuni, ma che sia anche collegato, in prospettiva, ad un futuro servizio civile europeo, come previsto in una recente risoluzione del Parlamento europeo. Tesi n° 73 Una società di donne e di uomini Negli ultimi vent'anni i comportamenti e le attese delle donne sono cambiati tanto da segnare profondamente la società italiana. Ma il costo del cambiamento continua ad essere pagato per la maggior parte dalle donne medesime: la divisione del lavoro all'interno della famiglia è sfavorevolmente squilibrata; siamo il paese europeo col duplice record, dei più bassi tassi di occupazione complessivo e femminile, dove lavorano solo 35 cittadini ogni 100 (rispetto ai quasi 50 dei paesi più avanzati) e dove le donne sono un terzo della forza lavoro (contro la metà dei paesi più industrializzati). Insofferenti ad ogni rigida contrapposizione tra lavoro e famiglia, tra sentimenti e ragione, le donne vogliono uno Stato sociale che risponda ai valori di una qualità della vita meno scissa, più integra e quindi più umana. Vogliono una regole del tempo più razionali e meno obsolete, una organizzazione sociale della risorsa tempo che consenta a tutti, donne e uomini, una più ampia ed articolata scelta dei propri tempi di vita. L'identità femminile moderna, che ha come proprie architravi l'autonomia, la soggettività e la responsabilità delle donne, costituisce una grande risorsa per il futuro del paese. Il dispiegarsi pieno delle potenzialità delle donne in tutti gli ambiti dell'economia, della cultura, dell'informazione e della politica può promuovere una vita sociale e familiare più ricca, con una maggiore condivisione delle responsabilità tra tutti i componenti. Abbiamo bisogno che le donne assumano diretta e piena responsabilità politica. La democrazia italiana conoscerà una stagione inedita solo se a guidarla sarà anche una classe dirigente femminile. Le nostre proposte sono le seguenti: - Pari opportunità nel mondo del lavoro. Il tempo di lavoro deve essere flessibile sia per venire incontro alle esigenze delle imprese di utilizzo ottimale degli impianti sia per rispettare le esigenze di armonizzazione tra tempo di lavoro e tempi di vita delle singole persone. Va perciò superata la contrapposizione tra lavoro a tempo pieno e lavoro part-time attraverso la modulazione degli orari che consenta la definizione di una pluralità di regimi orari e attraverso la flessibilità dei percorsi lavorativi (in entrata e in uscita) nell'arco della vita. Il punto di arrivo deve essere la flessibilità intertemporale dei tempi di lavoro, prevedendo a tale scopo un Fondo Nazionale per la riorganizzazione degli orari di lavoro. - Compatibilità tra il tempo di lavoro e il tempo della cura e delle responsabilità familiari. Si tratta di prevedere la possibilità per tutti, donne e uomini, di prendersi delle pause attraverso i congedi parentali, familiari, per progetti personali. Si dovranno pertanto favorire e valorizzare forme di auto-organizzazione nel soddisfacimento dei bisogni individuali e sociali, anche attraverso specifiche incentivazioni per favorire il reingresso al lavoro delle persone ultraquarantenni e in particolare delle donne con figli (con conseguenti misure di tipo previdenziale, come si è incominciato a fare con la recente riforma pensionistica). - Non vi é più una rigida demarcazione tra lavoratrici e casalinghe, come spesso avveniva invece nel passato. L'essere casalinghe é sempre più legato alle concrete possibilità di lavoro o meno, a fasi della vita di una donna e non a scelte definitive. Tale mutamento comporta il riconoscimento del lavoro di cura e politiche più articolate, anche nel sistema pensionistico, assicurativo e creditizio a sostegno della flessibilità dei percorsi di vita e di lavoro. - Una politica dei tempi della città. I mutamenti degli orari di lavoro richiedono una armonizzazione con l'organizzazione sociale e le scansioni temporali delle città. Si tratta di modificare gli orari di apertura dei servizi alle persone, delle scuole, dei negozi, oltre che avviare interventi sul traffico. Tesi n° 74 I diritti degli anziani Una grande trasformazione demografica ha preso l'avvio nella popolazione italiana: la fecondità è crollata, l'incremento naturale è progressivamente arrivato a zero, la durata della vita si è allungata. Il risultato è uno sconvolgimento della struttura per età della popolazione: l'Italia è il primo, e per ora unico, paese al mondo in cui nel 1994 gli ultrasessantacinquenni hanno superato le persone con meno di quindici anni. Ci troviamo in una fase cruciale per la riaffermazione dei valori del solidarismo (che non vuol dire assistenzialismo e tanto meno statalismo) e dei diritti di cittadinanza sociale. In questa fase si deve inserire la condizione anziana in una più ampia prospettiva di rinnovamento dell'attuale modello di organizzazione della società e si deve ripensare lo Stato Sociale facendo leva - oltre che sulle istituzioni pubbliche - su una pluralità di soggetti, fra i quali in primo luogo la famiglia. Assistere l'anziano, soprattutto l'anziano non autosufficiente in famiglia è obiettivo primario; altrettanto prioritarie sono le forme di sostegno alle "famiglie anziane". In questo quadro bisogna comunque affidare allo Stato una funzione redistributrice, sia per quanto riguarda l'effettivo godimento dei servizi sia in materia di redistribuzione del reddito e delle altre risorse che concorrono a formare la qualità della vita. Un'idea-forza da tradurre in proposte operative è quella di far "lavorare" l'anziano quando è ancora in buone condizioni fisiche. Il dramma della condizione dell'anziano, oggi, è la perdita dell'autostima dovuta al senso di inutilità. L'anziano non può essere considerato solo come soggetto di domanda di particolari beni e servizi, ma anche come soggetto di offerta. Occorre dunque individuare canali specifici di attività lavorative, al di fuori del mercato del lavoro in senso proprio, nei quali l'anziano possa liberamente inserirsi (si pensi ai lavori socialmente utili come previsto dal disegno di legge 1321). Il programma sugli anziani è ispirato al principio di base della responsabilità solidale che, attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, consenta la costruzione di forme nuove di comunità. Solidarietà da un lato e uguaglianza delle opportunità dall'altro devono essere il punto di riferimento delle politiche sociali. Condizione per attuare una rete di servizi per anziani è il varo di una Legge Quadro di riforma dei Servizi Sociali (vedi "I servizi sociali"). Le scelte di tale legge che interessano gli anziani sono: - definizione di una nuova organizzazione, che veda il Comune come cuore del sistema di integrazione sociale, con specifici compiti di programmazione, coordinamento nonché di coinvolgimento e valorizzazione di tutte le risorse presenti sul territorio; - messa a punto di opportuni incentivi alle famiglie per rendere effettivo il diritto dell'anziano a restare nel proprio nucleo familiare e comunque alla sicurezza abitativa. A livello centrale, si dovrà procedere a: - istituire una funzione di osservazione a livello nazionale collegata a osservatori territoriali sulla condizione degli anziani e sulle politiche sociali, che agiscano in rete e consentano il monitoraggio indispensabile a programmare ed integrare gli interventi dei diversi soggetti istituzionali; - differenziare l'offerta ospedaliera e di strutture residenziali (RSA), potenziando i centri dove gli aspetti di assistenza e di nursing prevalgono su quelli medico-specialistici, con effetti di riduzione dei costi e potenziando l'assistenza domiciliare; - adeguare l'Assegno sociale per i meno abbienti e, in particolare, per gli anziani (assegno che la riforma pensionistica introduce, ma con importi di pochissimo superiori alla vecchia pensione sociale). Tesi n° 75 La famiglia come ricchezza civile Nel nostro paese, se la famiglia è considerata una unità di reddito dal punto di vista dell'accesso ai benefici, non lo è dal punto di vista del trattamento fiscale. Ci sono anche alcuni concreti paradossi: ad esempio, mandare un figlio al nido costa, in termini di esborso diretto, di più che mandarlo all'università. La famiglia deve essere riconosciuta come un bene in sé, che va tutelato come 'bene pubblico'. Affermare la cittadinanza della famiglia vuole dire riconoscere e valorizzare le sue funzioni: luogo prioritario di educazione e formazione, soggetto di rilevanza economica, attrice e destinataria di solidarietà, produttrice dell'investimento costituito dai figli. Di contro, per oltre vent'anni la politica ha ignorato l'insostituibile funzione sociale della famiglia e ha praticamente distrutto gli istituti di sostegno ai redditi familiari. Ci si è accaniti in particolare contro gli assegni familiari, per i quali si spendeva nel 1975 il 16 per mille del PIL mentre oggi ci si è ridotti al 3 per mille. Per rimediare ai guasti del passato occorrerà un'intera legislatura con l'attivazione combinata di una pluralità di strumenti: dalle misure di sostegno economico ai servizi sociali, dalle politiche abitative alla flessibilità dei tempi di vita e di lavoro; dalle reti informali di solidarietà e di mutuo aiuto alla valorizzazione dell'associazionismo familiare. Le nostre proposte sono le seguenti: - Estendere a tutti i cittadini (non solo ai lavoratori dipendenti) l'assegno al nucleo familiare (con corrispettivi contributi). - Per i lavoratori dipendenti, ripristinare totalmente la natura mutualistica, di reciproco supporto, dell'istituto dell'assegno familiare (ponendo così fine al saccheggio della "Cassa unica assegni familiari", che nel 1994 ha incassato 16.000 miliardi di contributi e ne ha erogato solo 5.000) e soprattutto garantire l'autonomia gestionale della "Cassa unica assegni familiari", riservando ad essa almeno la metà del gettito della contribuzione. - Differenziare più nettamente gli importi erogati in relazione al numero dei figli minori e in relazione alla presenza o meno di entrambi i genitori. Procedere ad una più marcata riduzione dell'importo al crescere del reddito. - Commisurare l'assegno al nucleo familiare al parametro predicato dal 1985 in poi dalla Commissione povertà: il reddito complessivo familiare rapportato, secondo una scala di equivalenza, al numero delle persone da mantenere. L'istituto dell'assegno al nucleo familiare ha inoltre bisogno di qualche riforma, fra cui: modulare l'importo degli assegni prendendo come base il numero dei figli minori presenti nel nucleo; maggiorare l'assegno quando c'è un solo genitore; aumentare gli assegni per i nuclei a più basso reddito; elevare le soglie di esclusione per allargare la platea dei beneficiari. - In aggiunta a misure di natura finanziaria e a una politica dei servizi sociosanitari rivolti alla famiglia tra i quali i Consultori familiari, intervenire con urgenza sulle modalità di funzionamento del mercato del lavoro: rendere il mercato del lavoro sufficientemente flessibile in modo da soddisfare le esigenze familiari, soprattutto, ma non solo, delle lavoratrici madri. - Intervenire con nuovi criteri sul piano dei servizi e delle politiche sociali: definire i servizi sociali che devono essere garantiti dalla responsabilità pubblica e le quote dei servizi sociali a carico degli utenti (le misure di redistribuzione monetaria del reddito devono essere basate sul reddito complessivo familiare correlato al numero dei componenti). - Va completato l'attuale sistema di tutela della maternità che, ad oggi, vede scoperte le casalinghe, le studentesse, le disoccupate. Inoltre va affrontato il tema del valore del lavoro casalingo (vedi "Una società di donne e di uomini) e, più nello specifico, la questione della copertura assicurativa dal rischio di incidenti domestici. Tesi n° 76 Garantire i diritti dei minori La Costituzione assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. La Convenzione dell'O.N.U. sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata dall'Italia nel 1991, stabilisce che il fanciullo deve crescere in un ambiente familiare, in un clima di felicità, amore e comprensione; che occorre prepararlo ad avere un pieno sviluppo individuale nella società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati dalla Carta delle Nazioni Unite: pace, dignità, tolleranza, libertà, eguaglianza e solidarietà. Per attuare i diritti dei minori previsti dalla Costituzione e dalla Convenzione, é necessario riesaminare l'intero ordinamento giuridico, allo scopo di eliminare o aggiornare le norme incompatibili con tali principi e di adeguare il quadro normativo in conformità alle esigenze e alla sensibilità di una società moderna e progredita. Vanno quindi rapidamente esaminate, coordinate, discusse ed approvate le proposte di legge giacenti in Parlamento per un nuovo "statuto del minore". Lo "statuto" deve riguardare sia gli aspetti giuridici (civile, penale, processuale e dell'ordinamento giudiziario) sia gli aspetti amministrativi e sociali (scuola, formazione professionale, lavoro, sport e tempo libero). Garantire i diritti dei minori significa infatti: - attuare misure di sostegno alle famiglie che, per ragioni di ordine economico o sociale, non sono in grado di assolvere adeguatamente al proprio compito primario, relativo al mantenimento, all'educazione e all'istruzione dei figli, in particolare con strumenti per combattere in modo efficace il preoccupante fenomeno dell'abbandono scolastico; - promuovere l'educazione alla salute e diffondere l'attenzione ai valori e all'importanza delle pratiche sportive; - prevenire e rimuovere le numerose forme di disagio che si frappongono ad un pieno sviluppo della personalità, con interventi che riguardano le situazioni di separazione dei genitori, le situazioni di violenza ed abuso, i minori che vengono coinvolti dalla criminalità organizzata, i minori che hanno a che fare con le istituzioni carcerarie. Particolare cura deve essere posta (anche con opportune modifiche alla legge 184/83 sull'adozione) per prevenire o scoprire tempestivamente le situazioni di abbandono, per ridurre la piaga dei ricoveri in istituto e favorire, in termini di rapidità, onestà e sicurezza, le coppie intenzionate ad adottare minorenni all'estero, riaffermando - in ogni caso - la preminenza dell'interesse del bambino sulle aspirazioni degli adulti. Va promosso l'affido; va favorito il mantenimento delle responsabilità di entrambi i genitori in caso di separazione o divorzio (assicurando il corretto esercizio della potestà genitoria e dei diritti di visita e la puntale corresponsione degli assegni di mantenimento dei figli). Vanno contrastate le tendenze della criminalità organizzata che sfrutta l'inesperienza, la mancanza di impegno scolastico, lo stato di bisogno economico per arruolare i minori: si può intervenire sulle norme penali, introducendo nuove figure di reato e inasprendo le pene nei confronti degli adulti che inducono i minorenni a commettere delitti; ma soprattutto occorre agire sul piano preventivo. Va data soluzione alla drammatica situazione dei carceri minorili, anche attuando le misure alternative alla detenzione previste dalla legge. Vanno incrementate le forme di collaborazione tra servizi territoriali e giustizia minorile (vedi "Accelerare la giustizia civile" e "Dei delitti e delle pene"). Tesi n° 77 Governare l'immigrazione I flussi migratori verso i paesi occidentali rappresentano un fenomeno strutturale di non breve periodo. Non riconoscere questo fatto sarebbe un imperdonabile errore di prospettiva. Va dunque colmato il ritardo accumulato nel predisporre una politica per l'immigrazione, assumendo così la funzione che ci spetta rispetto alla nostra tradizione storica e al ruolo ponte dell'Italia, specialmente con i paesi dell'altra sponda del Mediterraneo. L'attuale politica per l'immigrazione ha generato irregolarità e clandestinità in settori sempre più ampi della popolazione immigrata e ha impedito un effettivo processo di inserimento per gli immigrati e le loro famiglie. Il tema dell'immigrazione va invece affrontato in un quadro di cooperazione e di concertazione con i paesi di origine, non solo in materia migratoria, ma anche nel campo econonomico-commerciale e nelle politiche di sostegno allo sviluppo, coordinando e gestendo la politica sull'immigrazione in modo tale da trasformarla da problema di 'ordine pubblico' in parte integrante delle condizioni per il vivere civile. Le misure da adottare complessivamente nel tempo sono: - tutelare i diritti fondamentali della persona a prescindere dalla legalità del soggiorno, e riconoscere agli immigrati regolari i diritti civili; - disciplinare la materia dei permessi di soggiorno in modo da consentire la convertibilità e da assicurare un giudizio capace di valutare la congruità dei provvedimenti; - introdurre una disciplina delle espulsioni che superi le attuali insufficienze e garantisca il controllo giurisdizionale; - rifinanziare la legge sulla immigrazione; - definire nuovi strumenti di lotta contro la criminalità e il traffico illegale di manodopera, di donne, di bambini; - articolare su quattro livelli la regolazione dei flussi migratori: - programmare i flussi, tenendo anche conto delle necessità di ricongiungimento familiare; - prevedere meccanismi che favoriscano per talune attività l'incontro diretto tra domanda e offerta e liste di prenotazione nei paesi di provenienza; - rendere più efficiente il controllo nel rilascio dei visti e alle frontiere, adottando gli strumenti tecnici più avanzati per consentire il collegamento di tutti gli uffici pubblici coinvolti; - controllare le frontiere e realizzare alle frontiere i centri di orientamento; - realizzare condizioni di collaborazione con i paesi di provenienza, anche per favorire il rimpatrio ove necessario; - istituire strumenti di programmazione per lo sviluppo nei paesi di origine dei migranti; - introdurre o sostenere progetti di formazione e studio per immigrati, prevedendo anche apposite borse di studio per studenti universitari; - dare piena attuazione al dettato costituzionale relativo all'istituto dell'asilo umanitario per l'accoglimento dei profughi; - rivedere l'attuale legislazione sulla cittadinanza. Tesi n° 78 I servizi sociali La questione della sanità, dell'assistenza sociale e della previdenza devono essere affrontate unitariamente e non creare vuoti di intervento e di tutela soprattutto in presenza di bisogni che richiedono un'elevata capacità di integrazione operativa. In particolare, la politica dei servizi sociali deve essere impostata in modo da affrontare problemi e bisogni complessi (come quelli degli anziani, dei disabili, dei minori a rischio, dei tossicodipendenti, degli immigrati) non con risposte uniche, ma con risposte articolate, che investono diversi settori di intervento. Affrontare la tematica della tossicodipendenza significa mettere a punto politiche dei servizi sociali, della scuola, del lavoro, con risposte sul fronte della prevenzione, del recupero, della riduzione del danno. Riduzione del danno significa sostenere chi vive in condizioni di marginalità, per cercare di non consolidare quella condizione, ma all'opposto per permetterne il superamento; Ž opportuno intervenire sul quadro legislativo, con linee guida sull'uso dei farmaci sostitutivi, con criteri per la predisposizione, gestione e valutazione dei progetti di riduzione del danno. Interventi che devono essere complementari a quelli per la riduzione della domanda, aumentando così le potenzialità complessive della rete dei servizi. Affrontare i problemi dei disabili comporta diversi interventi: nella scuola; nella organizzazione della città (contro le barriere architettoniche); nella rete di servizi (per tenere conto dei diversi livelli di gravità, soprattutto in relazione all'handicap grave); nel mondo del lavoro, ove va superata la percezione assistenziale dell'inserimento lavorativo delle persone disabili imposto alle imprese e alla collettività, per considerare l'handicappato come lavoratore (rivedendo quindi i meccanismi di collocamento, per trovare una corretta corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro, legata alle specifiche capacità di ciascuno). Per ribadire lo spazio e il ruolo di una politica socio-assistenziale, che assicuri la realizzazione di una adeguata rete di servizi sociali e le risorse necessarie, proponiamo una legge quadro di riforma socio-assistenziale. Si tratterà di una legge che fissa i principi generali, nel rispetto del forte decentramento delle funzioni socio-assistenziali: nel rispetto, quindi, delle scelte di indirizzo delle regioni (che in parte hanno già approvato leggi regionali di riordino) e delle competenze gestionali degli enti locali. I principi e le linee guida che dovranno essere affermati nella legge sono: - una concezione di Stato sociale come "casa comune" di tutti e non solo dei poveri, cercando un equilibrio nuovo tra servizi per tutti e selettività, reso necessario dalla scarsità delle risorse e dall'emergere di nuovi bisogni; - la gestione integrata tra servizi sociali e sanitari, da realizzare in particolare attraverso i seguenti strumenti: - il distretto socio-sanitario; - l'integrazione tra diverse professionalità impegnate al servizio delle persone (ad esempio, medici di medicina generale, infermieri, assistenti sociali, psicologi, assistenti domiciliari, educatori, terapisti della riabilitazione); - una attribuzione di responsabilità all'ente locale, vincolandolo alla gestione integrata dei servizi secondo ambiti territoriali omogenei, seguendo le indicazioni della legge 142/90 (associazione con altri comuni, accordi di programma con le aziende USL). - indicazioni delle aree problematiche per rispondere ai bisogni che possono essere soddisfatti solo operando con una forte integrazione socio-sanitaria (anziani non autosufficienti, disabili, malati mentali, infanzia ed età evolutiva, tossicodipendenza), ripresa dalla Linee guida dei Progetti obiettivo del Piano Sanitario Nazionale relativi a questo settore; - indicazioni circa le priorità con cui attribuire ai diversi settori di intervento il finanziamento pubblico e indicazioni relative alle contribuzioni da parte dell'utenza; - la riaffermazione della titolarità pubblica, intesa come responsabilità di formulare le scelte di priorità, di precisare gli indirizzi, di controllare i processi e i risultati e della possibilità di attribuire la gestione dei servizi a soggetti di natura diversa - del privato sociale e del privato mercantile - con forme di gestione diretta, gestione mista, gestione interamente privata; ciò per rispondere ai diritti e ai bisogni del cittadino utente, garantendo livelli uniformi di assistenza e reale possibilità di controllo sulla natura e la qualità delle prestazioni erogate; - indicazioni sulla istituzione di osservatori nazionali sui specifici fenomeni o fasce di cittadini relativi ai bisogni sociali (ad esempio, osservatorio sui minori, sulla condizione della popolazione anziana, etc); - indicazione dei fabbisogni formativi relativi ai diversi specifici professionali e alle capacità di gestione richieste per il funzionamento della rete dei servizi sociali; ridefinizione dei processi formativi di base delle professioni del sociale, anche in relazione all'innalzamento dell'obbligo scolastico. Tesi n° 79 Le imprese senza profitto: un progetto di economia civile Non c'è da stupirsi che il settore non-profit americano sia più grande di quello italiano, date le condizioni legislative e culturali estremamente favorevoli che il settore sperimenta negli Stati Uniti. Più sorprendente è il divario che separa l'Italia da paesi con sistemi legislativi non troppo lontani dal nostro, come la Germania e la Francia. Esiste una grande varietà all'interno di questo settore: fianco a fianco agiscono organizzazioni con una solida base di lavoratori stabili ed organizzazioni prevalentemente basate sull'impegno dei volontari; organizzazioni in grado di retribuire i propri lavoratori ai livelli massimi del mercato ed organizzazioni che possono permettersi solo dei modesti rimborsi spese; organizzazioni che integrano le disponibilità e le capacità di volontari con lavoratori retribuiti ed organizzazioni che si basano solo su una delle due componenti. Un settore così importante per la vita civile del nostro Paese, tutt'altro che insignificante dal punto di vista economico ed occupazionale, resta caratterizzato da una grande incertezza normativa, da una regolamentazione assai frammentaria, da scarsi meccanismi pubblici di incentivo allo sviluppo, da una ridotta trasparenza sulle forme, l'efficienza e l'efficacia della sua azione. Occorre porre mano, con urgenza, alla regolazione del terzo settore nella sua globalità. Manca a tutt'oggi una logica d'insieme da cui far discendere una politica pubblica capace di garantire l'autonomia e l'indipendenza del terzo settore. E' oggi unanime il consenso sulla necessità di passare dal welfare state al welfare mix. Ma un sistema misto non può fare a meno, pena la perdita di efficienza e di qualità dei servizi, di un settore non-profit ben sviluppato. Per potenziare il terzo settore occorrono quattro condizioni: - ridefinire i meccanismi di contrattazione con le unità di offerta private per la delega della produzione di servizi; - introdurre nel codice civile la possibilità di dar vita a forme organizzative imprenditoriali che escludano la distribuzione di utili, sostituendo così la figura dell'organizzazione non-profit a quella, ormai priva di senso, degli "enti non commerciali"; - prevedere un regime fiscale specifico per le imprese non-profit lungo le linee del disegno di legge predisposto dal Ministero delle Finanze; - prevedere la detraibilità a fini fiscali delle spese sostenute dai consumatori privati, tenendo conto che dall'espansione di questa domanda deriverà anche un consistente aumento dell'occupazione. Altre misure necessarie sono le seguenti: - Mancando in Italia sia istituzioni riconosciute come punto di riferimento nazionale per il terzo settore sia organizzazioni intermediarie, occorre sostenere lo sviluppo della cultura d'impresa nel terzo settore, costruendo un ponte tra due mondi finora scarsamente comunicanti (rispondendo così alla elevata domanda delle organizzazioni non-profit di collaborazione manageriale relativamente alla qualità dei servizi per stare sul mercato e all'efficiente impiego delle risorse per conseguire l'autonomia economica). - Va incentivata la costituzione di fondi e di strutture creditizie finalizzati, esclusivamente o prevalentemente, al finanziamento delle organizzazioni non-profit. - Occorre rivedere la normativa relativa alle organizzazioni non governative di volontariato internazionale per renderla adeguata alle funzioni e ai compiti nuovi che oggi svolge il non-profit internazionale. Tesi n° 80 I tre pilastri della previdenza sociale Con la riforma delle pensioni, legge n.335 del 1995 si sono intesi perseguire obiettivi non solo di sostenibilità finanziaria ma anche i non meno importanti obiettivi di : - equità distributiva, infra e intergenerazionale, visto che le potenzialità redistributive rimangono intrinseche a un sistema previdenziale, anche quando si tenda a separare da esso le componenti assistenziali; - flessibilità e maggiore coerenza con le trasformazioni in corso nel mercato del lavoro, nella consapevolezza che il sistema previdenziale che ci si accinge a cambiare (concepito per le esigenze dell'industrializzazione di massa del paese) presenta distorsioni e rigidità con cui non è possibile fronteggiare le nuove caratteristiche della domanda e dell'offerta di lavoro, così come la diffusione di lavori atipici e di carriere frammentate e discontinue, a cui sono soprattutto destinati donne e giovani. Bisogna ora operare per realizzare la riforma, la cui applicazione concreta è affidata al varo dei decreti attuativi di undici deleghe e di numerosi decreti amministrativi e ministeriali, i quali coinvolgeranno temi che vanno dalla armonizzazione e razionalizzazione dei regimi previdenziali alla tutela di coloro che esercitano attività senza vincolo di subordinazione, alla costruzione delle condizioni perché le casalinghe possano godere di una prestazione pensionistica, alla regolamentazione della dismissione del patrimonio immobiliare degli enti, al riordino delle invalidità e delle inabilità, ecc. Sulla scelta già adottata occorre ora promuovere le iniziative necessarie per articolare gradualmente il sistema previdenziale su tre pilastri fondamentali: assicurazione obbligatoria, assicurazione integrativa, assicurazione individuale e volontaria e si devono sviluppare gli elementi innovativi in termini di equità, flessibilità, libertà di scelta, solo parzialmente presenti nella riforma approvata, attraverso: - il completamento, con nuovi strumenti legislativi, dell'azione già intrapresa con i controlli incrociati contro l'evasione contributiva e l'instaurazione di una sistematica iniziativa per impedire l'abusivismo; - l'ulteriore riconoscimento del valore sociale del "lavoro di cura" e della maternità; - l'offerta più adeguata di una tutela previdenziale alle multiple tipologie di rapporto di lavoro che vengono diffondendosi (tra cui il part-time); - la copertura degli intervalli tra periodi di lavoro e di non lavoro specie quando essi siano impiegati in attività formative; - la garanzia di una maggiore possibilità di intreccio, nella fase di pensionamento, tra godimento di una pensione e svolgimento, in forme nuove, di una attività lavorativa; - l'estensione della platea dei contribuenti e della base contributiva, il che presuppone azioni volte a creare nuova occupazione e a fare emergere quella sommersa (come nel caso di molto lavoro svolto dagli immigrati); - la trasformazione dello stesso sistema di finanziamento delle pensioni e della previdenza, visto che le modalità attuali (le quali incrementano fortemente il costo del lavoro) tendono a creare problemi di competitività alle imprese e a penalizzare le attività a maggiore intensità di lavoro; - la riforma degli altri istituti non strettamente pensionistici ma compresi, almeno parzialmente, nel sistema previdenziale, come gli assegni familiari e gli ammortizzatori sociali (indennità di disoccupazione, cassa integrazione, prepensionamenti); - la riforma dell'assistenza, capitolo intimamente connesso alla previdenza, e degli altri comparti dello Stato sociale; - la sollecitazione dell'attuazione dei Fondi Complementari al fine di farne autentici investitori istituzionali in grado di essere soggetti promotori di "democrazia economica", il cui completamento è prerequisito importante per le possibilità di sviluppo della previdenza integrativa individuale. Una cultura non marginale Tesi n° 81 La cultura come risorsa L'Italia possiede un ingente patrimonio storico e artistico, la cui tutela è prescritta dall'articolo 9 della Costituzione, che inoltre indica l'obiettivo di promuovere lo "sviluppo della cultura". La tutela del patrimonio non può dunque essere l'unica funzione delle istituzioni pubbliche, che devono anche svolgere una funzione di promozione della cultura generale del Paese ed individuale di tutti i cittadini. Il settore della cultura deve divenire anche strumento per la promozione individuale e collettiva e fattore importantissimo di coesione sociale, oltreché per farsi operatore attivo dei meccanismi di sviluppo economico. Bisogna pensare la cultura non più in termini settoriali e secondo uno schema frammentato, ma come sistema complesso e interrelato, in cui diverse tipologie di prodotto e diverse modalità di consumo concorrono in un'azione di promozione reciproca. E' perciò importante ripensare e riqualificare l'intervento pubblico, mettendo ordine e facendo chiarezza nel complesso sistema istituzionale che si occupa delle politiche per la cultura: oggi quattro soggetti istituzionali - lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni - con altrettanti livelli amministrativi si ripartiscono il ruolo pubblico nel campo della cultura, spesso non comunicando tra loro e dando luogo a vere e proprie sovrapposizioni o, al contrario, a vistose lacune nell'intervento. Per fare della cultura una vera risorsa occorre: - Affiancare nuove professionalità scientifiche, organizzative e gestionali alle competenze e professionalità esistenti, trattando la cultura come una grande risorsa per lo sviluppo economico del paese e per la creazione di nuova occupazione. - Promuovere la diffusione della cultura presso nuove fasce di consumatori, soprattutto giovani, per restituire al patrimonio culturale quella finalità educativa che gli è propria ed essenziale. - Sostenere e promuovere le realtà e le esperienze locali nei differenti contesti che contribuiscono a formare la complessa identità culturale italiana. - Realizzare politiche efficaci per l'alta formazione, per l'eccellenza, per l'innovazione e per la sperimentazione. - Integrare ed equilibrare le competenze di Stato, Regioni ed autonomie locali: maggiori competenze alle Regioni e alle autonomie locali per la produzione, promozione e distribuzione delle attività culturali. - Aprire al reperimento e all'utilizzazione di risorse private (anche attraverso la riforma della figura giuridica di enti e istituzioni culturali, laddove appaia opportuno), non solo nelle forme del neo-mecenatismo (sponsorizzazioni, defiscalizzazioni, etc.), ma anche attraverso incentivi all'investimento nelle infrastrutture della produzione culturale. Per quanto riguarda lo spettacolo occorrono nuove leggi di settore, laddove non ci sono - teatro, musica - e la revisione della legge sul cinema attualmente bloccata da troppi impacci burocratici. Va inoltre riformato l'attuale finanziamento pubblico per lo spettacolo, prevedendo un sistema misto Stato-Regioni. Tesi n° 82 I beni culturali La salvaguardia, il recupero, la valorizzazione e la divulgazione del patrimonio paesaggistico, artistico e culturale italiano costituisce un obiettivo irrinunciabile e prioritario. Vogliamo infatti riaffermare, sia al nostro interno sia a livello internazionale, l'idea dell'Italia come un paese di arte, cultura e bellezza, meta di un turismo di esplorazione e di ricerca, un grande centro di attrazione e d'istruzione per i giovani, gli studiosi, gli appassionati d'arte, i letterati. Un'idea dell'Italia come custode e fabbrica di beni immateriali, che racchiudono un formidabile concentrato di esperienze e di conoscenze universali: proprio per questo siamo impegnati a custodire per tutta l'umanità tale immenso patrimonio di storia e di cultura. Teoricamente in Italia esiste uno dei sistemi di tutela più avanzati del mondo. Sono state sviluppate esperienze innovative e capacità professionali specialistiche. Ma il settore nella sua complessità e nella sua totalità è stato a lungo trascurato: finanziamenti insignificanti rispetto agli standard dei grandi Paesi europei, programmi improvvisati, interventi episodici, assenza di sistemi di controllo dei risultati. La gestione ordinaria è carente: molti progetti vengono messi in cantiere, pochi vengono conclusi. Le linee d'azione che proponiamo sono le seguenti: - Realizzare un piano di opere di pubblica utilità finalizzato alla custodia e alla divulgazione del patrimonio artistico e culturale, teso a riciclare alcuni complessi edili in disuso, di archeologia industriale per esempio, in una rete diffusa di biblioteche, teatri, laboratori di ricerca artistica, di musei. Un piano per la previdente gestione del patrimonio, non fondato su caotiche strategie di interventi straordinari che coinvolgono solo poche istituzioni e trascurano tutte quelle minori, diffusissime e di grande valore, ma sullo sviluppo della buona manutenzione dell'esistente. - Rafforzare l'autonomia dei musei statali (quelli civici sono già autonomi) consapevoli però che tale autonomia vale poco se rimane un fatto isolato. Bisogna ragionare per reti e sistemi museali, rafforzando quella galassia di musei di ogni tipo diffusi in tutta Italia, promuovendoli, coordinandoli, facendoli interagire per sistemi regionali e/o sub- regionali, proponendoli per itinerari, per pacchetti organizzati ai tour-operators. Occorrono poi servizi adeguati nei musei (dall'organizzazione degli orari, alle librerie, caffetterie) per migliorare la fruibilità del patrimonio culturale e una rete informativa che permetta una conoscenza diffusa del patrimonio e quindi una maggiore agibilità per tutti. In questa direzione vanno attivati anche investimenti privati, coinvolgendo i privati stessi nelle attività promozionali e gestionali dei musei, e va incoraggiato e organizzato un ampio servizio di volontariato. - Aumentare la difesa dalla spoliazione e dal furto delle aree e dei siti con misure di custodia rigorose. Le azioni di tutela e di governo delle amministrazioni devono inoltre essere basate su strumenti conoscitivi adeguati quali, in primo luogo, la classificazione del patrimonio. - Irrobustire e ampliare i poteri delle soprintendenze, in modo che possano rappresentare più efficacemente lo Stato nel rapporto con le Regioni, gli enti locali, i privati. - Vanno aumentate le risorse tecnico-scientifiche disponibili, ed inserite nel sistema dei beni culturali anche competenze economiche e gestionali. Il sistema formativo deve essere adeguato, incentivando anche lauree brevi e corsi di formazione post-secondaria che costruiscano nuove figure professionali, di tipo artigianale o scientifico, atte al recupero, alla catalogazione, alla conoscenza e alla divulgazione di tale patrimonio. - Rafforzare la collaborazione con le autorità ecclesiastiche per consentire una più ampia conservazione e fruizione del patrimonio, detenuto in larga parte dalla Chiesa. Tesi n° 83 Tutelare lo sport agonistico, rilanciare lo sport di base I luoghi, i modelli organizzativi e i servizi oggi a disposizione di chi pratica sport non sembrano adeguati a bisogni in rapida evoluzione. Per modificare questo stato di cose è necessario fare leva sulle enormi potenzialità dell'associazionismo sportivo, sia nell'ambito delle federazioni sportive sia in quello degli enti con finalità amatoriali e ricreative, e sulla formazione di operatori sportivi. Lo sport deve essere alla portata di tutti, migliorare la salute, favorire lo sviluppo sociale, diffondere valori di solidarietà, tolleranza, lealtà, rispetto delle regole e attenzione all'ambiente. Occorre che sia riconosciuta la molteplicità di soggetti che si occupano, in maniera seria e responsabile, di promuovere l'attività sportiva non agonistica. In questo modo è possibile garantire che le scelte di governo dello sport siano caratterizzate da un effettivo pluralismo, con più soggetti autonomi, cui vengono demandati compiti diversi. E' indispensabile distinguere tra sport di vertice, professionistico e semiprofessionistico, e sport di base, caratterizzato da finalità sociali più accentuate: il primo può continuare ad attingere le sue risorse direttamente dal mercato, mentre l'intervento pubblico deve servire ad aiutare il secondo. Gli enti locali, travagliati da seri problemi di bilancio, hanno sempre minori risorse da destinare alla costruzione e gestione diretta degli impianti sportivi. Per gli impianti che hanno un'utilizzazione di carattere più sociale, si potrebbe prevedere il coinvolgimento nella gestione dell'associazionismo sportivo; per quelli invece che ospitano attività sportive remunerative è possibile l'affidamento in gestione ai privati. Per portare lo sport a esprimere, come è sua vocazione, valori etici è necessario ripartire da una vera integrazione tra scuola, federazioni sportive ed enti di promozione presenti sul territorio. Le principali aree di intervento sono le seguenti: - Valorizzare le società sportive dilettantistiche e l'associazionismo sportivo. Occorre effettuare un censimento dell'associazionismo sportivo, per riconoscere le realtà legittimate ad affiancare il Coni nella sua azione. E' quindi necessaria una nuova legge sulle società sportive dilettantistiche in modo che, se rispondono a specifici prerequisiti, possano dotarsi di una propria personalità giuridica indispensabile per accedere ai mutui agevolati del Credito Sportivo. Tali società potranno avvalersi di regimi finanziari e tributari agevolati, di profili contrattuali ad hoc, per la costituzione di centri servizi comuni. - Sostenere lo sport di base. Una quota delle entrate spettanti all'erario per le lotterie e i concorsi-pronostici di tema sportivo potrebbe essere destinata al sostegno dello sport di base; appare anche giusto che parte delle risorse che lo sport produce per lo Stato vengano restituite allo sport medesimo. Poiché oggi lo sport ha un numero crescente di praticanti, servono più operatori e più qualificati. E' fondamentale riformare l'ISEF: trasformarlo in un corso universitario completo di insegnamenti di management, comunicazione e marketing sportivo. - Tutelare lo sport agonistico. E' necessaria una revisione della legge 91 che renda il professionismo sportivo più aderente all'estensione che questo fenomeno ha oggi raggiunto in Italia. - Sviluppare uno sport compatibile con l'ambiente. Va incoraggiato il recupero di vecchi impianti sportivi, la costruzione di nuove strutture rispettose dell'ambiente che riqualificano le città e il territorio, lo sviluppo di aree attrezzate in spazi naturali. La promozione della salute Tesi n° 84 Vivere di più, vivere meglio La salute, "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività" (art. 32 della Costituzione) intesa non come assenza di malattia ma come stato esistenziale di benessere personale (fisico e psichico) e sociale, non dipende esclusivamente da un sistema sanitario curativo e riparatore. Sempre più il raggiungimento di un soddisfacente livello di "vita sana" dipende dalle risposte che si danno ad una serie di fattori sociali (condizioni materiali di vita), culturali (conoscenza e informazione) sanitari (accesso alle cure) e ambientali (rimozione dei fattori di rischio per la salute). Viviamo più a lungo, grazie ai mutamenti sociali ed economici intervenuti, ai progressi delle scienze biomediche, ma occorre aggiungere qualità di vita agli anni. I nostri obiettivi di politica per la salute sono: - avere un sistema sanitario nazionale che garantisca l'equità sostanziale nei confronti dei cittadini, l'identica e concreta possibilità di accesso ai servizi per tutti e l'efficacia delle cure, in un quadro di stabilità (non di riduzione) della spesa sanitaria rispetto alla ricchezza nazionale prodotta, attestandoci ad un livello pari alla media dei paesi europei; - erogare i servizi e le prestazioni in condizioni di massima efficienza, economicità e tempestività d'accesso, attraverso le aziende sanitarie (USL) e le aziende ospedaliere. Per migliorare la qualità del servizio, si deve ricorrere a tecniche di gestione manageriale, eliminare gli sprechi e le sacche di privilegio, usare tecnologie informatizzate e telematizzate; ristrutturare il patrimonio edilizio ed alberghiero dei presidi e delle strutture sanitarie; improntare le modalità di accoglienza e di lavoro al rispetto dei cittadini e alla umanizzazione delle cure secondo la recente "carta dei servizi sanitari"; fare delle risorse umane e professionali il centro del processo di rinnovamento, adeguando percorsi formativi, specialistici e di ricerca, sviluppando la cultura della responsabilità e dell'autonomia professionale; - attuare forme di integrazione dei servizi e delle prestazioni, con una pluralità di soggetti (pubblici, privati, privati a finalità sociale), nell'ambito di una competizione controllata e regolata dallo Stato: questa deve garantire regole di comportamento trasparenti, controlli su idoneità, qualità e risultati delle strutture fornitrici di servizi sanitari. Una particolare rilevanza va attribuita alle azioni di sostegno alla famiglia, chiamando in campo le associazioni e il volontariato sociale; - sviluppare comportamenti consapevoli dei cittadini, di responsabilità personale per il mantenimento e la cura della propria salute. Ciò richiede informazione ed educazione sanitaria, lo sviluppo delle cure primarie e del ruolo di assistenza del medico di base nell'ambito territoriale più vicino al luogo in cui si esprime la domanda di cura, cioè il distretto socio-sanitario; - ampliare le esperienze di controllo sociale sulla qualità e la rispondenza agli obiettivi di salute attraverso le commissioni miste (operatori - utenti) di verifica della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate; - puntare sulla prevenzione: in particolare sulla tutela della salute e della qualità ambientale, con forme di coordinamento legislativo e organizzativo che tengano insieme il binomio salute-ambiente; con programmi di informazione e ed educazione sanitaria; con forme di promozione della salute nei luoghi di lavoro secondo le direttive europee; con strumenti di monitoraggio sullo stato di salute della popolazione. - sviluppare le professioni come parte integrante del rinnovamento del sistema sanitario del nostro Paese: occorre dunque definire i ruoli, i limiti della indipendenza, le regole etiche interne alle professioni; le responsabilità che i professionisti contraggono nei confronti del Servizio Sanitario Nazionale e dei cittadini; le modalità di organizzazione del lavoro che responsabilizzano i sanitari nei processi decisionali e gestionali. Tesi n° 85 Sanità e federalismo: un nuovo modello di servizio per la salute Lo Stato è garante del diritto del cittadino alla tutela della salute, ma rinuncia ad essere gestore esclusivo dei servizi sanitari. Il settore pubblico accredita, regola, correla le risorse pubbliche ai livelli assistenziali uniformi da garantire a tutti i cittadini ma, una volta fissato il principio della libertà del cittadino nell'accesso ai servizi, crea le condizioni per la pluralità e il pluralismo fra i soggetti erogatori che possono essere pubblici, privati e privati sociali. Il pubblico (Stato e Regioni) non "vende" i propri ospedali e le proprie strutture, ma le "aziendalizza" (cioè le dota di autonomia organizzativa, giuridica e gestionale) e le pone nel "mercato" così stimolato e regolamentato, quali strumenti fra gli altri, per garantire il diritto alla salute dei cittadini. Anche se le Aziende Sanitarie e Ospedaliere sono state istituite ed operano ormai su tutto il territorio nazionale questo sistema non è ancora compiutamente costruito: occorre perseguire i vantaggi positivi che questo sistema può dare. Per evitare il rischio che la gestione diventi guidata da soli criteri economici bisogna distinguere sempre di più i ruoli di indirizzo e di gestione, comprendendo però che l'Azienda, in sanità, produce non profitto ma salute, e che efficacia e managerialità devono sposarsi con la visione qualitativa di ciò che si produce per mantenere in salute i cittadini, migliorando anche la capacità di "lettura" dei problemi sanitari reali della popolazione. Nell'ambito dell'organizzazione federalista, le Regioni devono poter esercitare tutti i poteri in materia di assistenza sanitaria, tranne i progetti nazionali salute, le relazioni internazionali, le funzioni di riequilibrio solidaristico economico-finanziarie, i piani poliennali di sviluppo e investimento sanitario che rimangono allo Stato. Per il sistema sanitario a livello regionale è prevista, per le prestazioni essenziali alla tutela della salute, l'autonomia impositiva della Regione e lo sviluppo di forme di mutualità integrativa. Le Regioni potranno ampliare i servizi forniti ai cittadini, garantendo comunque i servizi essenziali. Alle Regioni deve essere data la possibilità di fissare livelli di assistenza superiori a quelli essenziali previsti a livello nazionale. I Sindaci e le Conferenze dei Sindaci, assumono un valore fondamentale dal punto di vista di essere veri e propri codecisori delle scelte di indirizzo sanitario, degli obiettivi salute da raggiungere e di controllo sul territorio, della rispondenza alla domanda dei cittadini. Le Regioni e il sistema delle Autonomie locali devono ottenere, all'interno della più generale riforma fiscale, la piena responsabilità sull'acquisizione e la distribuzione delle risorse per la sanità, sulla loro migliore allocazione e distribuzione, nonché l'individuazione di strumenti e criteri equi di compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini, anche attraverso nuove sperimentazioni gestionali. Tesi n° 86 La cittadinanza sanitaria Un pacchetto qualificato di prestazioni di cittadinanza sanitaria deve comprendere: - un rapporto riqualificato con il medico di medicina generale nel proprio distretto socio-sanitario, accompagnato da azioni continuate di informazione, educazione sanitaria, prevenzione primaria e cura domiciliare; - prestazioni specialistiche e di diagnostica di base o ad alto livello tecnologico fornite dal servizio sanitario, con regole certe, che garantiscano lo smaltimento delle liste d'attesa, la semplificazione delle procedure di accesso e tariffe eque; - ospedali riorganizzati su tre livelli: alta specialità, ospedali di base, ospedalizzazione a domicilio, per garantire ai cittadini qualità, efficienza e umanizzazione delle cure, dall'emergenza-urgenza ai grandi rischi, alle malattie croniche o invalidanti, anche per porre fine alla necessità di costosi viaggi della speranza, che costringono migliaia di cittadini italiani a ricoverarsi all'estero; - riabilitazione ospedaliera, extra-ospedaliera in strutture residenziali e semi residenziali e riabilitazione domiciliare, per garantire la continuità assistenziale dopo la fase acuta dei trattamenti ed evitare le ripercussioni negative di inutili lungo degenze. Realizzazione e impiego di unità spinali, tecnologie e figure professionali specialistiche del settore riabilitativo, nonché tecniche e risposte territoriali per il recupero funzionale ed il mantenimento della salute; - istituzione di anagrafi sanitarie con distribuzione ai cittadini del passaporto sanitario "salva vita" (carta tipo bancomat) che contenendo i dati anagrafici, il codice sanitario e soprattutto informazioni fondamentali sulla salute di ciascuno, garantisca le cure per i diversi casi in tempi utili e consenta contemporaneamente di pagare eventuali compartecipazioni alla spesa, evitando inutili attese e procedure burocratiche; - impiego delle nuove tecnologie a disposizione per realizzare l'accesso ai servizi e alle prestazioni attraverso sistemi opportunamente informatizzati con possibilità di prenotazione da casa, sviluppando forme di telesoccorso e telemedicina. Le priorità per i prossimi 5 anni sono: - Programma "vivere a lungo e vivere in salute" rivolto alla popolazione anziana: sviluppo di programmi comprendenti in primo luogo la "valutazione geriatrica globale" necessaria per organizzare un'assistenza coerente con la situazione esistenziale e clinica dell'anziano. Ferma restando la nostra opzione verso l'assistenza sociale e sanitaria domiciliare integrata, proponiamo l'accelerazione dei programmi di sviluppo delle "Residenze Assistenziali sanitarie" o di nuova istituzione o per riconversione delle piccole strutture ospedaliere, con l'utilizzo dei fondi della legge 67/1988. Le residenze assistenziali sanitariamente protette dovranno far parte dell'organizzazione distrettuale integrandosi con tutti gli altri servizi. Attivazione di tutte le possibili politiche di reinserimento post-pensionistico, atte a mantenere vitale il processo di partecipazione alla vita lavorativa, associativa e culturale, con modalità flessibili, attivando percorsi per lavori socialmente utili, Università per la terza età, momenti culturali e formativi di territorio, per il recupero e lo scambio intergenerazionale, su arti, tradizioni, mestieri, saperi. - Potenziamento del progetto obiettivo "salute mentale", mettendo in campo servizi e strutture flessibili per offrire all'utente quelle soluzioni che, nella pluralità delle opzioni, siano le più indicate al suo particolare bisogno. Al disturbato psichico che oggi presenta una serie di problemi sociologici esistenziali (inoccupazione, problemi intrafamiliari, ecc.) che non possono essere affrontati con la somministrazione di psicofarmaci, occorre offrire programmi personalizzati di riabilitazione, reinserimento, incrementando la collaborazione fra le strutture più propriamente sanitarie (intra-ospedaliere o territoriali), da organizzare in dipartimento, e i servizi di assistenza sociale. - Campagne informative e di educazione sanitaria nei luoghi di lavoro e di vita per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e dei tumori; attivazione di programmi nazionali, accompagnati da linee guida per l'emplementazione e la ricerca di protocolli diagnostici-terapeutici in campo cardio vascolare e oncologico, rivolti alla prevenzione primaria e secondaria. - Prevenzione primaria rafforzata, per la lotta alle malattie infettive (epatite, TBC, AIDS). - Infanzia e adolescenza: azioni mirate contro gli eventi prevenibili e progetti-obiettivo contro i rischi prevedibili. - Farmaci efficaci e sicuri: costituzione dell'Agenzia nazionale per le politiche del farmaco, con compiti finalizzati ad affermare sempre più criteri rigorosi in ordine all'efficacia, sicurezza ed economicità dei prodotti farmaceutici, nonché linee guida per lo sviluppo della ricerca nazionale ed europea sulla base di progetti comuni (industria - università - centri di ricerca) mirati all'innovazione e all'uso delle biotecnologie per traguardare nuovi farmaci sempre più efficaci e sicuri. Tesi n° 87 Ricerca biomedica e sanitaria La ricerca biomedica e sanitaria é una componente essenziale per il miglioramento di qualità del sistema sanitario assistenziale, oltre a rappresentare un importante settore tecnologico-industriale. La nostra ricerca é ancora poco raccordata a quella europea ed internazionale; le risorse dedicate sono scarse; é ancora poco utilizzata la legge che prevede un 5% di posti aggiuntivi nell'università per i giovani che si sono specializzati con un triennio all'estero; sono ancora carenti le forme di integrazione tra università e ricerca biomedica; non è ancora compiuto il riordino degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Gli strumenti che proponiamo per incentivare le ricerca biomedica italiana sono: - costituire un'Agenzia nazionale per la ricerca biomedico-sanitaria, con l'obiettivo di facilitare forme flessibili di cooperazione tra policlinici universitari, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, ricerca clinico-sanitaria delle strutture ospedaliere non universitarie; - facilitare la partecipazione degli Istituti e Dipartimenti universitari all'impresa produttiva, che abbia carattere di innovazione reale e ricadute anche sull'acquisizione di nuove conoscenze (ricerca di base) consentendo formule più ampie di "joint venture", brevettazione, partecipazione alle royalties; - integrare maggiormente università e industria biomedica nella formazione di "quadri" ricercatori già operanti nell'industria; - incrementare la partecipazione italiana ai progetti della Unione Europea; - procedere al riordino degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, tenendo inoltre conto, nel nuovo meccanismo di finanziamento previsto dal riordino del Servizio Sanitario Nazionale della peculiarità degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Tesi n° 88 Bioetica e sanità Un nuovo rapporto tra medico e cittadini La delicata fase di transizione che sta modificando la sanità italiana non riguarda solo l'organizzazione sociale del sistema delle cure, le garanzie da fornire ai cittadini, specie ai più fragili e maggiormente bisognosi di tutela, e le politiche per garantire un'equa allocazione delle risorse. La trasformazione riguarda anche i rapporti che si instaurano tra i professionisti che forniscono servizi sanitari e i cittadini che ne beneficiano. Una questione preliminare è quella relativa al ruolo da attribuire alla legge nel regolare questo tipo di rapporti. Da un punto di vista generale, il sistema giuridico italiano ha preferito non regolamentare in modo specifico il comune atto medico, in accordo, peraltro, con la prassi europea. Soltanto alcuni circoscritti ambiti sono regolati da apposite norme (come, ad esempio, le leggi relative al prelievo da cadavere a scopo di trapianto, l'interruzione volontaria della gravidanza). In tutte le altre situazioni, l'atto medico si svolge nell'ossequio alle norme generali della legge a tutela della persona. La professione, mediante il codice deontologico, regola l'attività sanitaria, fornendole la massima copertura etica, anche in situazioni in cui l'opera del medico gode di una minima copertura giuridica. Finora una tacita "delega fiduciaria" tra medico e paziente e una benevola interpretazione giuridica dell'atto medico, che dava la priorità all'intenzione che lo animava, hanno assicurato un funzionamento relativamente tranquillo e senza eccessiva litigiosità giudiziaria. Le denuncie per "malpractice" sono state rare ed eccezionali nella società italiana. Ora però la situazione sta cambiando. Il periodo in cui la deontologia professionale era sufficiente per normare il comportamento del sanitario e per garantirgli un ambito di intervento protetto è passato ed appare opportuno chiarire meglio i rapporti reciproci fra medico e paziente nell'interesse di entrambi. Di recente la Federazione nazionale degli Ordini dei medici, nel rielaborare il Codice deontologico dei medici italiani, ha dimostrato di recepire le autorevoli indicazioni del Comitato nazionale di bioetica, espresse nel documento "Informazione e consenso all'atto medico" (1992). Senza alcun pregiudizio per la professionalità del medico, di fatto, richiedono un esplicito e formale coinvolgimento del paziente nelle decisioni cliniche e prevedono un esplicito consenso del paziente a procedure diagnostiche e terapeutiche. Il passaggio da una pratica "paternalistica" della medicina a una valorizzazione dell'autonomia del paziente deve essere favorito da una autorevole legittimazione formale del cambiamento culturale nella direzione di una fattiva "alleanza terapeutica" tra medico e paziente. C'è lo spazio per una cultura della partecipazione responsabile del cittadino alle scelte terapeutiche, specie quelle che hanno un'influenza rilevante sulla qualità della sua vita. Questa osservazione vale anche per l'ambito della sperimentazione sugli esseri umani. L'Italia ha recepito le norme europee relative alla "Good clinical practice", che impongono l'approvazione dei protocolli di ricerca da parte di appositi comitati. Tuttavia, senza una adeguata cultura che valorizzi l'autonomia del soggetto umano, la legittimazione formale che questi organismi possono fornire non tutela la qualità etica della ricerca. Gli eventi estremi: nascita e morte Di fronte ad avvenimenti recenti di particolare gravità, si è fatto sempre più diffuso il convincimento che la società non può semplicemente stare ad osservare il moltiplicarsi delle tecniche di riproduzione medicalmente assistita. E' necessario assumere la coscienza del limite che sola può agire per stabilire confini che non devono essere superati. Il pluralismo etico del nostro paese non facilita il consenso su quanto deve essere legittimato da una regolamentazione giuridica delle tecnologie riproduttive. La difficoltà di un'intesa, come presupposto per un intervento legislativo, si riflette nel difficoltoso lavoro del Comitato nazionale per la bioetica in questo ambito. Tuttavia, i risultati della Commissione ministeriale sulla procreazione medico-assistita, istituita il 14/01/'94, mostrano che non è impossibile raggiungere il consenso su una base comune sostenuta, in ogni caso da una norma di legge che tuteli oggettivamente la dignità della vita umana. In particolare, rinunciando a regolamentare in modo rigido il diritto all'accesso a tali tecnologie, sulla base di visioni antropologiche ed etiche prestabilite - nessuna della quali può rivendicare il diritto a imporsi sulle altre - si può concordare sulla discriminante costituita dalla cura dell'infertilità, non altrimenti affrontabile. In questa prospettiva è necessario giungere a una normazione del settore, in coerenza con gli orientamenti europei tesi a portare le pratiche di procreazione medicalmente assistita entro la trasparenza, la legalità, la sicurezza. Considerando l'altro momento estremo dell'esistenza, quello costituito alla fine della vita umana, l'organizzazione sanitaria rimane coerente con la sua "missione" quando evita le due forme estreme dell'accanimento terapeutico e dell'eutanasia. In questo campo la difesa della vita deve fondarsi su un sistema sanitario in grado di offrire all'ammalato inguaribile e terminale ogni possibile assistenza sul piano clinico e psicologico, in modo che non vi siano alibi economici od organizzativi per giustificare comportamenti che di fatto accelerino la morte. Una priorità assistenziale del più alto profilo etico è oggi quella della promozione di una medicina della palliazione e dell'assistenza ai malati nella fase terminale della vita. La medicina del nostro tempo è in grado di dare risposte efficaci alle sofferenze - tanto dei malati quanto dei familiari - che accompagnano il decesso. In tal senso la prossima legislatura potrà approvare la proposta di legge delle forze dell'Ulivo già presentata in Parlamento per assistenza ai malati terminali. L'"umanizzazione" del morire deve diventare un obiettivo dell'organizzazione sanitaria, oltre che un atteggiamento dei singoli professionisti.