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Il Governo de L'Ulivo: L'INGRESSO IN EUROPA
Convegno
L’euro e le politiche per lo sviluppo
Intervento del Vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni

Residence di Ripetta
3 aprile 1998

Credo che non sarebbe ragionevole se la nostra discussione si confermasse una contrapposizione, abbastanza frequentata in queste settimane, fra le valutazioni ottimistiche e quelle pessimistiche sulla moneta unica e mi pare che si sia riusciti a non farlo.

Abbiamo la possibilità di andare un po’ più avanti, di cercare di cogliere, anche da discussioni utili come queste, stimoli perché il programma delle azioni da compiere e delle scelte da realizzare possa arricchirsi nel senso di dare stabilità e continuità all’opera di risanamento e di sviluppo del governo.

Io però qui parlando ad un convegno organizzato dalla Sinistra Democratica, ora Democratici di Sinistra, vorrei fare una semplice considerazione iniziale, se volete una domanda retorica che poi tanto retorica non è.

Noi parliamo oggi ai primi giorni di aprile del 1998. Io mi chiedo cosa sarebbe del nostro paese, e anche che cosa sarebbe della sinistra italiana, se alla fine del 1998 noi non potessimo dire di aver portato l’Italia in Europa, se cioè nella storia di questo paese fosse rimasto non quanto sta ora nell’ordine delle cose, che mi auguro sarà confermato, come tutto assicura, i primi giorni di maggio, ma la valutazione esattamente opposta. Se cioè il primo governo in Italia di cui la sinistra tutta fa parte fosse diventato nella storia di questo paese il governo che aveva fatto perdere all’Italia l’appuntamento europeo non tanto in ragione di colpe proprie ma in ragione del coraggio non avuto, della capacità di scegliere non praticata, di una coerenza non determinata.

Credo che noi abbiamo il dovere di porci questa domanda perché, se devo confessare un certo fastidio, ce l’ho quando, soprattutto nei dibattiti a sinistra, ogni tanto si dice con un certo atteggiamento sbrigativo va bene ora siamo entrati in Europa, adesso occupiamoci delle cose serie.

Io penso che la più grande sfida in cui la sinistra deve portare tutto l’orgoglio per averla vinta, con la sua azione nel centrosinistra all’interno dell’Ulivo, sta proprio nel fatto che nella storia di questo paese rimarrà il dato di due anni di risanamento finanziario che ha consentito al primo governo di cui la sinistra italiana fa interamente parte di raggiungere l’obiettivo europeo.

E credo che noi abbiamo percezione di questo proprio in questi giorni. Di solito negli anni passati questi erano giorni difficili. Noi ci prepariamo al nuovo Documento di Programmazione Economico-Finanziaria con anticipo rispetto alla scadenza naturale in modo tale da presentare ulteriori elementi di rassicurazione per le decisioni che dovranno essere prese in sede europea. Io vorrei però in primo luogo osservare come per la prima volta da molti anni con questo Dpef non ci sono scostamenti da coprire, non ci sono manovre aggiuntive da predisporre per l’anno in corso, non ci sono buchi imprevisti che gettano incertezza sull’economia e sulla società.

Il nuovo Dpef proporrà per il ‘99 una manovra in linea con quanto previsto dal documento approvato l’anno passato. Non solo. La dimensione della manovra per il ‘99 sarà in assoluto la meno severa da molti anni a questa parte. Io credo che questo elemento di novità che stiamo portando nella cronaca della vicenda politica ed economica del paese ci possa far fare qualche considerazione di fondo sul mutamento di natura che dobbiamo determinare nel nostro paese, sul mutamento di abitudini, sull’immagine di paese instabile che ci ha accompagnato con qualche ragione per molto tempo.

L’Italia sta cercando di diventare un paese in cui i patti si rispettano, gli impegni si mantengono e le responsabilità sono chiare e trasparenti. Venti mesi fa abbiamo scelto la strada della terapia d’urto, una strada difficile soprattutto per un governo che aveva l’onere della prima volta, che addirittura aveva una maggioranza composita, non una maggioranza che avesse avuto dal voto degli elettori una scelta vincolata dal programma, ma una maggioranza che doveva tener conto della necessità di rendere armonico il proprio programma costitutivo con il programma di forze esterne quale Rifondazione Comunista, che peraltro ha positivamente collaborato in questo processo nel corso di questi due anni.

Io credo che noi possiamo dire con qualche ragionevolezza che la fermezza e la convinzione con cui abbiamo ingaggiato questa sfida - una sfida nella quale ci siamo messi in gioco, il Presidente del Consiglio ha detto, e il discorso valeva per tutti noi, che se non si fosse raggiunto l’obiettivo europeo, questo governo si sarebbe dimesso - abbia dato al paese la percezione di uno sforzo, di una tensione a raggiungere l’obiettivo europeo. Per la prima volta da molti anni noi abbiamo sentito attraversare il paese da questa tensione al raggiungimento di un obiettivo nel quale collettivamente, e vorrei dire persino a prescindere dalle componenti politiche, ma lo faccio per un eccesso in qualche caso di gentilezza, tutto il paese si è sentito impegnato e l’obiettivo è stato raggiunto. Guardate che nella psicologia di questo paese l’idea di trovarsi nella circostanza nella quale un governo ingaggia una sfida, chiede di pagare una tassa per il raggiungimento di un obiettivo e poi questo obiettivo si raggiunge costituisce un elemento di rottura dei vecchi codici che credo dobbiamo tenere in conto.

Ma c’è una ragione sulla quale prima di fare qualche altra considerazione vorrei soffermarmi e di cui dobbiamo tenere particolarmente conto. Nei risultati che sono stati raggiunti, a cui guardiamo con serenità nella consapevolezza che sono una tappa decisiva ma non l’ultima del nostro lavoro, c’è il valore della stabilità politica.

Guardate noi dobbiamo spostare l’orologio biologico di questo paese. Questo paese è disabituato da moltissimi anni a pensare di avere dei governi di legislatura perché è disabituato a pensare in termini di programmi riformisti e ha bisogno di un governo che possa dispiegare lungo il tempo di una legislatura la sua capacità di risanamento e di innovazione.

L’Italia ottiene dei risultati per effetto di una politica economica che questo governo ha scelto ma ottiene dei risultati anche per effetto della stabilità di governo che nel corso di questi mesi questo paese ha avuto e che è stata componente essenziale del raggiungimento di questo obiettivo.

Vorrei che fosse chiaro. Se noi avessimo avuto in questi ventiquattro mesi qualcosa di lontanamente paragonabile alle abitudini politiche della storia italiana degli ultimi quaranta anni non avremmo raggiunto né l’obiettivo del risanamento finanziario né tanto meno l’obiettivo dell’Europa. E se oggi possiamo proporci, come possiamo proporci, un’accelerazione in termini di sviluppo e di lotta alla disoccupazione e di modernizzazione del paese dobbiamo sapere che tutto questo è possibile solo a condizione che quella stabilità sia non solo il prodotto di una sapienza politica che consente di evitare la crisi continua ma anche di condizioni politiche e istituzionali che vanno in questa direzione. Perché o ci sarà questa garanzia per il futuro del paese, anche oltre questa legislatura, oppure in questo caso davvero si può dire che l’unica minaccia che esiste alla collocazione in Europa, o in generale al peso del nostro paese nel contesto internazionale, è data dal rischio di una fragilità e instabilità politica. La crisi giapponese, non voglio esagerare il peso e la funzione della politica soprattutto dopo aver ascoltato le opinioni che sono state espresse qui, ma insomma il Giappone si trova oggi si trova in una posizione di grandissima difficoltà, essendo stato costantemente oggetto di precarietà di instabilità politica, e sta cercando di scegliere la via della stabilità.

Dunque si deve sapere che una forma della democrazia moderna, LA forma della democrazia moderna è la stabilità di governo, è la democrazia dell’alternanza, è il fatto che i cittadini scelgano il governo e il governo possa realizzare il programma che si è impegnato con gli elettori a realizzare. Io dico questo perché ogni tanto viene una certa tentazione a ragionare in termini politici non tenendo conto dei nuovi vincoli che la globalizzazione e la condizione diciamo di riferimento di vincoli europei portano con sé.

Io però vorrei dire che noi oggi possiamo guardare senza ottimismo o pessimismo ma realisticamente alla situazione che abbiamo di fronte. Gli esami che l’Italia ha superato non erano certo l’imposizione di condizioni strane. Erano in primo luogo esami per noi stessi. La crescita economica ha assunto nel corso del ‘97 contemporaneamente alla stabilizzazione fiscale un andamento crescente: +1,9 nel secondo trimestre dell’anno, +2,2 nel terzo trimestre, +2,8 nel quarto trimestre e abbiamo i primi segnali, pure ancora insufficienti, di un’inversione di tendenza sul fronte dell’occupazione. La discesa dell’inflazione accresce il potere d’acquisto e la retribuzione delle risorse ed ha contribuito alla crescita. La discesa del tasso di interesse ha ridotto il costo degli investimenti per le imprese e per le famiglie. La bilancia dei pagamenti nei confronti dell’estero è in forte surplus ormai da anni, l’1,1% del Pil nel ‘93, oltre il 3% del Pil nel ‘96 e nel ‘97; inoltre una quota rilevante di questo surplus riguarda scambi con paesi esterni all’Unione Europea e infatti una parte significativa dell’avanzo commerciale dell’Unione Europea con il resto del mondo è generato proprio dal buon andamento del commercio italiano. Quindi possiamo dire anche agli spigolosi osservatori delle cose italiane che noi in Europa non portiamo solo il debito. Un debito peraltro finanziato quasi per intero sul mercato nazionale e in fase di progressiva riduzione rispetto al Pil grazie in primo luogo all’elevato avanzo primario raggiunto, alla riduzione dei tassi di interesse e agli effetti della prosecuzione delle politiche di privatizzazione.

Qui c’è lo scenario che consente l’apertura di una fase nuova.

Ma su questa fase nuova, intendiamoci, avete sentito il Presidente del Consiglio, io stesso, il Ministro dell’Economia, un pochino ribellarci a questa ripartizione terminologica tra fase 1 e fase 2 ma solamente per una sincerità filologica appunto ma che è anche politica. Dobbiamo scrollarci di dosso quell’atteggiamento culturale, prima ancora che politico, degli anni ‘70 secondo il quale c’era un succedersi, mai un integrarsi, un intrecciarsi, un coesistere di una fase di risanamento, quasi sempre non raggiunto, e di una fase di spesa facile. Questa idea di uno sforzo al termine del quale ricomincia il tempo dell’allegria finanziaria è un’idea che dobbiamo rimuovere ma non oggi, dobbiamo rimuoverla una volta per sempre dalla testa e dalla cultura di questo paese.

Dobbiamo rifare questo paese. Il risanamento finanziario è una costante, create le condizioni utili del risanamento finanziario si possono determinare le opportunità di crescita e di sviluppo.

Io vorrei dire solo una cosa. Si fa un gran parlare dell’Irlanda - Giavazzi ne ha parlato per altra via, ne ha parlato come zona di allocazione di investimenti di grandi imprese internazionali, se ne parla spesso in termini di condizioni di flessibilità del lavoro, che è stata anche una delle cose che ha determinato la crescita dell’Irlanda. Io vorrei che fosse chiaro che oggi per effetto delle decisioni che sono state prese e per effetto delle norme che stanno entrando in attuazione - parliamo nel ‘98 di 40 fra patti territoriali e contratti d’area - le condizioni di vantaggio per l’investimento delle imprese nel Mezzogiorno d’Italia sono assolutamente competitive con quelle dell’Irlanda e del Galles e che questo crea oggi opportunità di crescita che per il Mezzogiorno passano non attraverso la vecchia politica assitenzialista ma attraverso la creazione delle condizioni più utili per lo sviluppo.

L’idea è che l’impresa porta ricchezza e quando abbiamo parlato in questi giorni con le forze sociali abbiamo detto alla Confindustria, alle forze sindacali, ma anche agli altri agenti come alle regioni, ai comuni facciamo come abbiamo fatto per il risanamento finanziario un grande patto sociale che questa volta sarà per lo sviluppo, per l’impresa, per il lavoro e aggiungo per la modernizzazione del paese. Questa è insieme al lavoro la grande sfida.

Modernizzazione italiana significa in primo luogo l’investimento sul capitale umano, la formazione - questo è il punto decisivo di un progetto di radicale risanamento del paese. Significa una politica infrastrutturale moderna, dove per infrastrutture si intendono non solo quelle tradizionali ma anche quelle tecnologiche. Significa il disboscamento di vecchie posizioni di privilegio - Giavazzi ha fatto una casistica molto interessante da questo punto di vista a fronte della quale io posso dare conto, prima di concludere per non rubare troppo tempo, di una scelta concreta che è stata la liberalizzazione del commercio. Io la ritengo esemplare non solo esemplare nel merito - un mondo chiuso ora aperto - ma anche esemplare per il metodo con cui abbiamo lavorato. Noi siamo partiti con una linea, abbiamo incontrato delle forti resistenze, abbiamo cercato di ascoltare e di accogliere quello che ci sembrava compatibile con l’ispirazione generale del nostro progetto, ma poi abbiamo tradotto tutto questo in decisioni. E presto cominceremo a vederne gli effetti per la modernizzazione del paese come presto vedremo gli effetti delle liberalizzazioni che abbiamo introdotto in altri settori strategici, come quello delle telecomunicazioni.

Noi come sinistra dobbiamo sentire tutto l’orgoglio di questo risultato raggiunto, noi siamo coloro i quali in questa coalizione hanno portato l’Italia in Europa. Ora noi dobbiamo cogliere le condizioni mutate, migliorate del paesaggio economico e sociale del paese che devono essere consolidate per queste due sfide: il lavoro e la modernizzazione del paese. E’ materia per una sfida riformista per una legislatura, non si può più misurare in termini di mesi. Dobbiamo davvero mutare radicalmente un paese che ha un disperato bisogno di accelerare per recuperare il tempo perduto negli anni della instabilità e della incertezza politica. Per fare questo però bisogna che alle condizioni di risanamento finanziario si accompagnino condizioni politiche e istituzionali capaci di garantire quella stabilità che oggi è condizione del risanamento e della modernizzazione del paese.


 

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