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Le 4 facce dell’Apocalisse che minacciano lo Stato ebraico

Discussioni su quanto avviene su questo piccolo-grande pianeta. Temi della guerra e della pace, dell'ambiente e dell'economia globale.

Re: Le 4 facce dell’Apocalisse che minacciano lo Stato ebraico

Messaggioda franz il 02/01/2009, 11:04

Parla lo scrittore di Gerusalemme: "Bisogna isolare Hamas, non colpire la gente"
"Se si impegnano a rispettare il cessate il fuoco, con l'invio di una forza di pace, si accetti la tregua"

Yehoshua: "Non avevamo scelta
ma ora Israele deve fermarsi"

DAL NOSTRO INVIATO FRANCESCA CAFERRI

GERUSALEMME - Da giorni Abraham Yehoshua guarda a quello che accade nella Striscia di Gaza con angoscia. "Non avevamo altra scelta", ripete dall'inizio lo scrittore israeliano a chi lo interroga. Non ha cambiato idea neanche ora che il numero delle vittime palestinesi ha raggiunto quota 400. "Ma - dice - se Hamas accetterà le condizioni per la tregua è il momento che Israele si fermi: i palestinesi saranno sempre i nostri vicini. E tempo di tornare a parlare: non in nome di Hamas ma della gente di Gaza".

Signor Yehoshua, come si esce da questo muro contro muro?
"Applicando a Gaza lo stesso modello del Libano. Se Hamas accetta di sospendere i lanci di razzi, si impegna a rispettare il cessate il fuoco e la comunità internazionale è pronta a mandare una forza che vigili sulla tregua e a farsi garante per una serie di condizioni che allevino la sofferenza di chi vive a Gaza, allora Israele deve accettare la tregua".

Crede che basterà una tregua a riportare la calma? I morti e le bombe non hanno già incrinato il già difficile rapporto fra gli israeliani e i palestinesi e fra gli arabi israeliani e il resto del paese?
"Gli arabi israeliani sono rimasti relativamente calmi. E i palestinesi di Cisgiordania secondo me in cuor loro sono felici per quello che sta accadendo ad Hamas. Soffrono per i loro fratelli di Gaza, ma non per Hamas. I palestinesi di Cisgiordania ricordano cosa è successo quando Hamas ha attaccato Fatah. Hamas vede i civili soffrire ma non chiede il cessate il fuoco, è un'organizzazione dotata di un fanatismo religioso tale che non gli permette di fermarsi. Hamas non è sola, ascolta qualcun altro: l'Iran. Non agisce nell'interesse della sua gente, non parla più di come risolvere il problema palestinese. Parla la lingua del fanatismo".

Lei dice che Hamas ha superato la linea. Ma sia le Nazioni Unite che la Croce rossa internazionale accusano Israele di aver dimenticato la Convezione di Ginevra. Non crede che anche Israele abbia passato il limite?
"Oggi come durante la guerra del 2006 in Libano non c'è una distinzione facile fra civili e combattenti. I missili sono nascosti nelle case dei civili. La maggior parte dei morti sono combattenti di Hamas: Israele sta provando a non fare vittime civili. Io sono contro l'azione di terra perché credo che porterebbe a un alto numero di vittime civili fra i palestinesi. Gli israeliani si preoccupano delle possibili vittime civili. Ma voglio ricordare che Hamas uccide solo civili israeliani".
Però da una parte ci sono 400 vittime e dall'altra quattro.
"Io so che le sofferenze della gente di Gaza sono maggiori di quelle che stanno vivendo oggi gli israeliani del sud. Ma non possiamo fare il paragone solo in questi termini. Non è il forte esercito di Israele contro le primitive armi di Hamas. Hamas è pronta a far soffrire la sua gente molto più di quanto Israele sia pronto a far soffrire i suoi cittadini. Pensiamo solo all'elemento suicida: lottare contro i terroristi suicidi è molto più difficile che combattere contro una società che ha scrupoli e si preoccupa dei civili. Ma ora, se Hamas garantisce che rispetterà la tregua, è tempo di fermarci: nessuno nel governo israeliano pensa davvero di poter rovesciare Hamas. E ci sono più di un milione di persone che soffrono. Se si fermeranno avremmo raggiunto l'obiettivo".

Non crede che la tregua potrebbe essere violata in tempi brevi?
"Io non credo. Se garantiremo l'accesso a Gaza e la comunità internazionale vigilerà sulla tregua alla fine di questa offensiva ci saranno condizioni migliori da entrambi i lati del confine. Basta razzi. E basta isolamento: i lavoratori palestinesi potrebbero tornare in Israele, potremmo tornare a cooperare, come in passato. Non in nome di Hamas, ma in non nome della gente di Gaza. E se violassero ancora la tregua, sanno cosa farebbe Israele".

(2 gennaio 2009)
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Re: Le 4 facce dell’Apocalisse che minacciano lo Stato ebraico

Messaggioda Paolo65 il 02/01/2009, 17:19

Debbo dire che rimango sempre sorpreso quando si applica il parallelismo sui morti:400 morti a 4.

Cosa significa? Che se uno spara con un fucile io debbo rispondere solo col fucile anche se ho i cannoni e gli aerei?

Ma uno Stato non ha come primo dovere la difesa dei suoi cittadini? Allora non è ragionevole che Israele dopo tanti razzi e vittime abbia aperto il fuoco per eliminare questo pericolo per i suoi cittadini?

La domanda sui morti la farei ad hamas,che bensapeva cosa sarebbe accaduto prima o poi se continuava il giochetto.

Oggi i leaders islamici,come gli hezbollah,si sorprendono che Israele abbia la seria intenzione di fare tabula rasa di Hamas e dei suoi fanatici.

Servivano ad hamas questi altri morti per capire che una guerra con Israele li vedrebbe perdenti,e soprattutto avrebbe mietuto altre vittime innocenti palestinesi?

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Re: Le 4 facce dell’Apocalisse che minacciano lo Stato ebraico

Messaggioda franz il 02/01/2009, 17:40

Paolo65 ha scritto:Debbo dire che rimango sempre sorpreso quando si applica il parallelismo sui morti:400 morti a 4.

Cosa significa? Che se uno spara con un fucile io debbo rispondere solo col fucile anche se ho i cannoni e gli aerei?

Dal punto di vista militare ogni reazione deve essere proporzionata all'obiettivo, non alla azione ricevuta.
Sono anche io stupito quando leggo della critica di sproporzionalità della reazione.

Sul campo militare conta molto la valutazione dell'intenzione altrui e quello che va fatto per impedirla.
Hamas non fa mistero di voler distruggere Israele e spazzare via dalla faccia della terra i suoi abitanti.
Che lo faccia con fucili, mortai o razzi, la reazione militare adeguata è quella di distruggere quella capacità militare.
Gli eserciti funzionano su quella base "logica". Una volta che la politica e la diplomazia hanno fallito, che le tregue saltano, è evidente che il compito di un esercito è distruggere il piu' possibile la capacità offensiva dell'altro esercito.
Se uno non vuole che la "logica" militare distruttiva entri in gioco con tutta la sua potenza, accetta il piano diplomatico.
Se un esercito si piazza nei centri abitati (una consuetudine degli ultimi decenni che è apparsa in tutta la sua drammaticità anche nel conflitto in Bosnia e dintorni e che è vietata dalle convenzioni di Ginevra) e da li' agisce, è lui responsabile delle vittime civili che la sua popolazione subirà.

Ciao,
Franz
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Dal riformista: Tariq Ramadan e Antonio Polito

Messaggioda franz il 03/01/2009, 21:52

Gaza, la pace è possibile?
Nel nome del popolo palestinese (di Tariq Ramadan)
Un discorso di odio per Israele (di Antonio Polito)

Il dibattito su Gaza. Il direttore Antonio Polito replica all'articolo di Tariq Ramadan


Nel nome del popolo palestinese
di Tariq Ramadan


È davvero sorprendente e disgustoso osservare come, quando si tratta dei palestinesi, memoria e obiettività vengano improvvisamente a mancare. La coscienza ebraica stimola, a pieno diritto, in qualsiasi potere e cittadino del mondo, il ricordo delle atrocità, dei massacri e dei genocidi del passato.
Ma quando abbiamo a che fare con la politica dello Stato di Israele veniamo invece invitati a giungere a valutazioni immediate, al di fuori di qualsiasi prospettiva. Da questo punto di vista, le parti in causa sarebbero due fazioni belligeranti di ugual potenza e, dopo sei mesi di tregua, una delle due parti in conflitto (ossia i palestinesi) avrebbe infranto la tregua mediante il lancio di alcuni missili. La parte aggredita (Israele) non avrebbe pertanto avuto altra scelta che difendersi, o almeno questo è ciò che viene venduto al mondo dal potere israeliano, amplificato dalla maggior parte dei mezzi di comunicazione occidentali, sostenuti dall'amministrazione Bush e da molti governi europei. Solo i più coraggiosi osano a malapena rilevare, pur con riserva, la sproporzionalità della “reazione israeliana”. Che coraggio!
Ma soprattutto, quante menzogne! Sono ormai decenni, da ben prima della conquista del potere da parte di Hamas, che la dignità dei palestinesi viene calpestata ed i loro diritti legittimi negati. Dagli accordi di “pace” di Oslo alla moltitudine di negoziati (e, spesso, impegni), dalle tante promesse alle messe in scena di carattere “mediatico”, i rappresentanti palestinesi non hanno ottenuto nulla per il loro popolo. I governi israeliani, di destra e sinistra, prendono tempo, mentono, giustiziano sommariamente gli oppositori, non danno pressoché alcun peso alle morti di civili palestinesi (nient'altro che danni collaterali alla sicurezza di Israele) e continuano ad autorizzare gli insediamenti di coloni, spingendo sempre più in là la politica del “fatto compiuto”. Un gran numero di esperti, fra cui il relatore speciale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Richard Falk, affermano che la politica israeliana non rispetta le convenzioni di Ginevra e che, di fatto, sta rendendo impossibile la soluzione dei due Stati.
Il governo israeliano ha deciso di costruire un muro che imprigiona la popolazione della Cisgiordania (facendosi beffa delle decisioni dell’Assemblea delle Nazioni Unite), obbligando inoltre gli abitanti di Gaza a dover sopportare un assedio e un embargo che hanno dato origine a una situazione di fame, mancanza di medicinali e cure mediche, disoccupazione di massa e condizioni di vita quotidiana miserabili e senza speranze. Alle associazioni umanitarie giunte da tutto il mondo è stato impedito di lavorare, provvedere alle prime necessità e far pervenire viveri e materiali. È altresì necessario ricordare che la tregua dal 19 giugno al 19 dicembre 2008 era stata accettata a determinate condizioni: la fine dell’assedio e dell’embargo a Gaza, nonché la parziale apertura della frontiera con l’Egitto. Israele (e l’Egitto) non hanno rispettato alcuna condizione, così che la popolazione palestinese è stata costretta a subire anni, mesi e settimane di trattamento disumano. Bisognerebbe forse dimenticare tali realtà e giustificare i massacri avvenuti in questi giorni? I palestinesi sarebbero quindi responsabili del loro destino poiché da Gaza sono stati sparati dei razzi?! Alla completa assenza di un sentimento di colpevole memoria, deve essere poi aggiunta la perdita del senso delle proporzioni: il numero di vittime israeliane va moltiplicato per cento, duecento o trecento per raggiungere quello dei civili palestinesi uccisi dalle decisioni prese dal governo israeliano.
Quest’ultimo, infatti, continua a prendersi gioco delle istituzioni e della cosiddetta “comunità” internazionale. Ormai, ciò che conta è assicurarsi il sostegno unilaterale degli Stati Uniti e il silenzio assenso dei governi europei. L’efficace lavoro di comunicazione e gli appoggi mediatici (con una buona dose di disinformazione mirata) del governo israeliano sono sufficienti per guadagnare tempo e sottomettere una popolazione di un milione e mezzo di anime a un assedio disumano, seguito da un intollerabile massacro. Siamo stati ridotti allo stato di spettatori che evitano di sentirsi colpevoli con la scusa della “neutralità”. Le proporzioni inimmaginabili ormai raggiunte dal cinismo sono ulteriormente dimostrate dalle affermazioni che collegano la morte di centinaia di civili palestinesi ai calcoli di matrice politica dei leader israeliani, desiderosi di mostrare la propria forza e determinazione in vista delle prossime elezioni. Era infatti necessario lavare l’onta della sconfitta libanese dell’Agosto 2006: a chi importerà mai della vita di innocenti, bambini e donne palestinesi? Ciò che conta è mobilitare i votanti e vincere le elezioni. Si tratta di un’operazione indubbiamente riuscita, giacché l’80% degli israeliani è a favore dei genocidi a Gaza. È spaventoso.
Possiamo forse aspettarci ancora qualcosa dalla “comunità internazionale” di Stati e governi, dopo essere stati testimoni della reazione di questa in Oriente e in Occidente? Il silenzio assenso, l’ipocrisia, l’attendismo, il disprezzo per la vita dei palestinesi, che qualcuno vorrebbe veder volatilizzarsi in Giordania, Libano o in qualsiasi campo profughi “temporaneamente definitivo”. È il momento di costruire un movimento internazionale globale di resistenza non violenta alla politica violenta ed estremista dello Stato di Israele. Bisogna mobilitare l’opinione pubblica, mediante la diffusione di un’informazione rigorosa e permanente circa la situazione della popolazione palestinese, moltiplicando articoli, conferenze e manifestazioni di sostegno al popolo palestinese, migliorando al contempo la sinergia fra sforzi e attività già portate avanti da numerose organizzazioni in tutto il mondo. I palestinesi, lo sappiamo bene, non cederanno e continueranno a difendere i loro diritti legittimi sul campo. Pertanto, è importante che, in tutto il mondo, la loro resistenza venga da noi sostenuta in modo determinato e pacifico. Contrariamente alle apparenze e alla sua incredibile potenza militare, Israele è ben lontano dall'aver vinto questo conflitto e la società israeliana è attraversata da crisi multiple e profonde. Lo Stato e la popolazione di Israele devono comprendere urgentemente che, senza il riconoscimento dei diritti e della dignità dei palestinesi, non vi sarà per loro alcun futuro di sicurezza e, semplicemente, di sopravvivenza. Prendere tempo, illudersi, impantanarsi in operazioni inverosimili e orribili massacri non serve a garantire la vittoria… al contrario.



Un discorso di odio per Israele
di Antonio Polito


Sapevamo che, prima o poi, avremmo gravemente dissentito dalle opinioni di Tariq Ramadan. L’articolo che pubblichiamo oggi è uno di questi casi. Ciò nonostante lo pubblichiamo. Perché di gente che la pensa come Ramadan ce n’è parecchia nel mondo arabo, e perché il dialogo culturale è utile se si fa tra chi è in disaccordo, non tra chi concorda.
Dissentiamo dall’articolo di Ramadan sulla crisi di Gaza perché il suo è un discorso carico di odio. L’odio verso Israele può essere più o meno motivato dal modo in cui ognuno di noi legge i sessant’anni di storia di quel paese. Ma in nessun caso può essere giustificato, e meno che mai utilizzato per risolvere il conflitto mediorientale. Un israeliano che odiasse i palestinesi sarebbe del pari inservibile, perché privo di ogni legittimità a discutere il conflitto israelo-palestinese.
L’odio verso Israele è evidente in un assioma del discorso di Ramadan. Per lui la politica di volta in volta seguita dai diversi governi che si sono succeduti in Israele è “Israele”. Che abbiano firmato accordi di pace o che si siano affidati alla guerra, come pure è accaduto in questi tormentati sessant’anni, i governi israeliani sono tutti uguali: «Di destra o di sinistra - scrive Ramadan - prendono tempo, mentono, giustiziano sommariamente gli oppositori, non danno pressocché alcun peso alla morti di civili palestinesi». Rabin o Netaniahu, per lui pari sono. E sono pari perché appartengono alla medesima entità sionista. Ciò che è inumano e barbaro è dunque il sionismo in sé. Ramadan fa un discorso antisionista, che a ogni curva logica rischia di slittare in razzismo antisemita. L’unico freno che potrebbe evitargli questa deriva sarebbe un esplicito e formale riconoscimento del diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele. Questo elemento, nel discorso di Ramadan non c’è.
Specularmente, Ramadan compie un’altra clamorosa omissione: non cita mai la parola «Hamas». Al suo posto, appaiono sempre «i palestinesi», come se la politica di Hamas e la sorte del popolo palestinese fossero un tutt’uno. Anche qui, nessuna differenza tra un movimento che fa esplicito e continuo ricorso al terrore e alla guerra, e il governo dell’Anp di Abu Mazen, che persegue una soluzione pacifica e diplomatica per dare uno Stato al suo popolo. Non conta che Hamas si sia liberata con un colpo di stato militare di quelle correnti del popolo palestinese che cercano la via della pace, uccidendo, imprigionando ed espellendo da Gaza chi non era d’accordo sulla via del terrore. Israele non «giustizia sommariamente gli oppositori», come scrive Ramadan. Ma Hamas lo fa. Israele è una democrazia dove il dissenso è lecito e il voto decide, la Gaza di Hamas no. Identificare il popolo palestinese con Hamas è un insulto al popolo palestinese, prima ancora che alle sue speranze di avere un giorno quello Stato indipendente e libero cui giustamente anela.
La terza, grave omissione nell’articolo di Ramadan riguarda la storia recente di Gaza. La Striscia, infatti, non è oggi sotto il tallone dell’occupazione israeliana, come vorrebbe farci credere. Israele, sotto la guida di Ariel Sharon, si è ritirata da Gaza. Gl insediamenti di coloni, la politica del «fatto compiuto», che Ramadan imputa a Israele, a Gaza si è risolta nel suo contrario: il governo israeliano ha cacciato con la forza i coloni ebrei dalla Striscia, pur di restituirla ai palestinesi. Se in cambio ne riceve piogge quotidiane di missili sui suoi villaggi, deliberatamente intesi a colpire i civili, ha buon diritto a ritenerla una minaccia permanente alla sua sicurezza, e dunque ha buon diritto a difendersi. Se non basta neanche ritirarsi da Gaza per non essere più attaccati da Gaza, vuol dire che si è attaccati per il semplice fatto di esistere, e che l’unico esito che potrebbe fermare chi ti aggredisce è la tua morte e la tua fine. E infatti nello statuto di Hamas si predica l’obiettivo della distruzione di Israele.
Ogni altra discussione sulla politica del governo di Israele, di ieri e di oggi; ogni richiamo al rispetto dei diritti umani e della incolumità dei civili; ogni dibattito sulla opportunità o lungimiranza delle sue scelte militari, compresa quest’ultima azione militare; ogni allarme e indignazione sulla terribile condizione umanitaria in cui vivono i palestinesi a Gaza è ovviamente legittimo e persino benvenuto (anche se definire «genocidio» il bombardamento di Gaza è provocatoriamente ignorare che cosa sia stato nella storia il genocidio, e nascondere che il «muro» della Cisgiordania è stato elevato per impedire che i martiri suicidi di Allah facessero strage tra i civili israeliani è complicità intellettuale con quelle stragi). Tutto si può discutere, purché si accettino i princìpi che le tre gravi omissioni di Ramadan nascondono e negano. Ramadan, e con lui una parte ancora troppo grande del mondo arabo, non lo fa. Non è dunque dal suo discorso che può venire un solo passo avanti sulla via della pace. Perché è un discorso di odio, e come tale va contrastato.
Tariq Ramadan è molto impegnato in Europa a costruire un islam europeo, che sappia convivere con i popoli di questo continente nel rispetto reciproco: religioso, politico e civile. Noi apprezziamo il suo sforzo. Ma deve sapere che l’odio verso Israele rende impossibile anche quel tentativo. Perché noi europei consideriamo Israele parte integrante della nostra storia e civiltà, stiamo e staremo sempre dalla parte del suo diritto a esistere e del diritto del suo popolo a vivere in sicurezza, e dunque non potremmo mai accettare né rispettare chi ne contempla la distruzione.


http://www.ilriformista.it/stories/Prim ... ina/42151/
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La versione di Israele sui fatti di gaza

Messaggioda franz il 04/01/2009, 23:26

dalla stampa israeliana, debitamente tradotto, su www.israele.net:
Ciao,
Franz

Breve disamina di sei tipiche frasi fatte che si incontrano di continuo nelle critiche alla controffensiva anti-Hamas lanciata da Israele nella striscia di Gaza.

1) “La reazione di Israele a Gaza è sproporzionata”.
La guerra non è una gara sportiva né un’equazione matematica. L’obiettivo di fondo di qualunque soggetto in guerra (anche e forse soprattutto di chi in guerra viene trascinato) è quello di infliggere il più alto danno possibile al nemico cercando di subire il minor numero di perdite possibile. In nessuna guerra si è mai chiesto a una parte – specie a quella che reagisce a un’aggressione – di “proporzionare” i propri successi (ad esempio, il numero di combattenti nemici uccisi) al numero di perdite subite. Cosa dovrebbe fare, chi sta vincendo? Esporre i propri militari e civili a più colpi del nemico per soddisfare le esigenze di “proporzionalità” degli spettatori? Come ha scritto André Glucksmann, quale sarebbe la giusta proporzione da rispettare per far sì che Israele si meriti il favore dell’opinione pubblica? L’esercito israeliano dovrebbe forse usare le stesse armi di Hamas, vale a dire il tiro arbitrario dei razzi oppure la strategia delle bombe umane che prendono di mira intenzionalmente la popolazione civile? Oppure dovrebbe pazientare finché Hamas, grazie a Iran e Siria, non sarà in grado di “riequilibrare” la sua potenza di fuoco? Bisogna “proporzionare” anche gli scopi perseguiti? Se Hamas vuole annientare Israele e i suoi cittadini, forse Israele dovrebbe imitarlo annientando la striscia di Gaza e i suoi abitanti? Si vuole davvero che Israele rifletta, in misura proporzionale, i piani di sterminio di Hamas?
In realtà Israele si sta comportando a Gaza esattamente come hanno sempre fatto tutti i paesi civili trascinati in una guerra. Si è mai sentita un’opinione pubblica occidentale (ad esempio, quella italiana durante le missioni in Somalia o in Iraq) lamentare che il proprio paese subisse “troppe poche perdite” rispetto a quelle inflitte al nemico? Come ha scritto Alan M. Dershowitz, è assurdo affermare che Israele avrebbe violato il principio di proporzionalità uccidendo più terroristi di Hamas rispetto al numero di civili uccisi dai razzi di Hamas. Non c’è equivalenza legale tra l’uccisione deliberata di civili innocenti e l’uccisione mirata di combattenti nemici. La proporzionalità non è data dal numero di civili uccisi, bensì dal rischio cui sono sottoposti. Qualche giorno fa un razzo Hamas ha centrato un asilo d’infanzia a Beer Sheva, fortunatamente in quel momento vuoto. Il diritto internazionale non esige da Israele che lasci giocare Hamas alla roulette russa con la vita dei suoi figli. Ha spiegato Michael Gerson: lo scopo di un’azione militare non è uccidere una vita in cambio di una vita uccisa ingiustamente: questa è mera vendetta. Lo scopo è rimuovere le condizioni che hanno portato al conflitto e alla perdita di vite.
Infine, l’inferiorità sul piano militare non significa superiorità sul piano morale. L’intransigenza con cui la parte palestinese, nonostante la propria debolezza militare, ha fatto e continua a fare ricorso alla violenza di fronte alle aperture di Israele (offerte negoziali, ritiri unilaterali) probabilmente dimostra la sua scarsa capacità di giudizio, ma non indica in alcun modo particolari virtù morali. Essere militarmente più deboli non significa aver ragione.

2) “I Qassam non uccidono”.
In realtà, i Qassam uccidono. Non spesso, forse, ma lo fanno: sono decine i civili israeliani uccisi o feriti dai lanci di razzi e missili palestinesi negli ultimi anni. D’altra parte, è a questo scopo che vengono lanciati: colpire i civili israeliani. E poi, in questo momento i terroristi palestinesi hanno iniziato a lanciare anche i razzi Grad (di produzione cinese il primo caduto su Beer Sheva), con maggiori quantità di esplosivo e maggiore gittata, mietendo subito nuove vittime.
Comunque, a parte la cifra esatta delle vittime, il punto principale è l’effetto terroristico: da otto anni una porzione sempre più importante della popolazione israeliana (oggi, un cittadino ogni dieci) è costretta a vivere sotto la perenne minaccia incombente e del tutto arbitraria di razzi che piovono dal cielo sui centri abitati (comprese scuole, fabbriche, giardini d’infanzia) senza nessuna logica né preavviso. Il danno in termini psicologici, sociali, economici e – perché no? – politici è incommensurabile. Per parafrasare Barak Obama, chi mai in tutto l’occidente accetterebbe che la propria famiglia fosse costretta a vivere sotto la costante minaccia di attacchi di questo tipo, regolarmente buttata giù dal letto dalle sirene nel pieno della notte? Chi mai, in tutto l’occidente, accetterebbe di sentirsi dire che una tale situazione non è poi così grave visto che i Qassam “non uccidono” spesso?

3) “E’ tutta colpa dell’assedio israeliano alla striscia di Gaza, Israele dovrebbe lasciar entrare gli aiuti”.
Israele ha sempre lasciato entrare gli aiuti, per tutto il tempo in cui è durato il cosiddetto “assedio” (non israeliano, bensì internazionale, visto che parte del confine della striscia di Gaza è controllato – e chiuso – dall’Egitto, e che è la comunità internazionale che ha dichiarato fuorilegge il regime golpista di Hamas). E poi Hamas ha fatto entrare di tutto, in questi anni, attraverso i tunnel scavati a centinaia (naturalmente avrebbero potuto introdurre più cibo e medicine se avessero evitato di introdurre armi e missili). Il risultato era quello che si è visto anche nelle immagini dei finti black-out elettrici (bambini per le strade di Gaza con le candele in mano mentre dietro di loro erano ben accese le insegne dei negozi; parlamentari riuniti al lume di candela mentre si intravedeva la luce del giorno dietro le tende alle finestre) o le immagini della cognata di Tony Blair che è sbarcata da una delle cinque imbarcazioni di manifestanti anti-israeliani (di fatto pro-Hamas) che Israele ha lasciato passare, e poi si è fatta fotografare in un ben fornito emporio di Gaza.
Quello imposto alla striscia di Gaza non è un “assedio”, bensì un regime di severe sanzioni: un tipico strumento cui si fa ricorso a livello internazionale proprio nel tentativo di scongiurare l’uso delle armi (reso invece inevitabile dall’intransigenza di Hamas). Un giorno prima di lanciare la controffensiva, Israele aveva lasciato passare decine di camion di aiuti verso la striscia di Gaza. Nei giorni successivi, con le operazioni anti-Hamas in pieno corso, ha lasciato transitare decine di camion, più del numero normale. In altri termini, Israele lascia passare gli aiuti alla popolazione civile di Gaza perché non sta combattendo contro di essa, ma contro Hamas. È difficile citare un altro caso di un paese in guerra che abbia favorito in questa misura gli aiuti alla parte nemica, fino al punto di curare nei propri ospedali e a proprie spese pazienti inviati dal territorio nemico.

4) “Non bastava rinnovare la tregua?”
Quale tregua? Dal giugno scorso (inizio della tregua a Gaza, mediata dall’Egitto) i gruppi terroristi hanno sì diradato, ma non hanno mai veramente cessato i lanci, anche se al resto del mondo sembrava interessare poco. Ciò nonostante, Israele aveva più volte e chiaramente dichiarato, per voce dei suoi massimi rappresentanti, che era interessato e disposto a rinnovare la “tregua”. Al contrario, i leader di Hamas hanno dichiarato unilateralmente la fine della tregua, in anticipo sulla scadenza del 19 dicembre, mentre i loro lanci erano già ripresi con crescente intensità da più di un mese. Subito dopo aver interrotto la tregua, Hamas ha riportato i lanci sui civili israeliani al livello di decine al giorno. Si può discettare a lungo sui loro motivi, ma è certo che sono stati i terroristi di Hamas a infrangere la tregua. Ecco perché persino Egitto e Autorità Palestinese questa volta addossano chiaramente a Hamas la responsabilità dell’escalation.

5) “Ma Hamas era stata eletta democraticamente, dunque perché Israele non l’accetta?”
Hamas ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti palestinesi e la maggioranza assoluta dei seggi nel parlamento palestinese nelle elezioni del gennaio 2006. Ma, dopo falliti tentativi di tenere in vita un governo di unità nazionale, nel giugno 2007 ha imposto il proprio potere nella striscia di Gaza con un golpe brutale e sanguinoso, con tanto di raccapriccianti violenze e decimazioni sommarie dei rivali di Fatah.
In ogni caso Israele, sin dalla formazione del primo governo Hamas-Fatah, ha dichiarato che il punto non è la presenza di Hamas nel governo palestinese. Il punto è che il governo palestinese (quale? quello in Cisgiordania o quello a Gaza?) sottoscriva i tre principi fissati dalla comunità internazionale (rappresentata dal Quartetto Usa, Ue, Russia e Onu), e cioè: riconoscimento del diritto di Israele ad esistere, ripudio del terrorismo e della violenza a favore del negoziato, adesione agli accordi fra Israele e palestinesi già firmati negli anni scorsi.
Ad ogni modo, non si può dire che Israele non “riconosca” di fatto il potere di Hamas a Gaza, tant’è che è esattamente questo il motivo per cui attacca le strutture di Hamas “riconoscendo” che la striscia di Gaza è controllata da un’entità terrorista espressamente votata alla cancellazione di Israele. Israele non ha lanciato la controffensiva a Gaza perché Hamas è al potere, ma perché Hamas è un’organizzazione terroristica che da anni mira con tutti i mezzi a sua disposizione a colpire deliberatamente i civili israeliani, convinta com’è di poter in questo modo minare alle fondamenta la società e lo stato di Israele. Il fatto che il tuo nemico mortale vinca eventualmente delle elezioni passabilmente democratiche non ne fa un nemico meno, ma semmai più pericoloso.

6) “Israele spara sui civili”.
Parliamoci fuori dai denti. Cosa si intende dire: che uno degli eserciti più potenti del mondo bombarda la striscia di Gaza mobilitanto il meglio delle sue forze aeree per “fare strage di civili palestinesi” e tutto quello che riesce a fare, dopo una settimana e centinaia di bombe lanciate in una delle aree più densamente abitate del pianeta, è uccidere una cinquantina di non combattenti? A questo punto i casi sono due: o i piloti israeliani non mirano ai civili e anzi fanno di tutto per evitare il più possibile di colpirli, oppure i piloti israeliani sono i più imbecilli e incapaci del mondo. Noi tendiamo a optare per la prima spiegazione.

(Da: israele.net, YnetNews, 30.12.08)
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Hamas in trappola, ma Israele può perdere

Messaggioda franz il 06/01/2009, 10:16

Hamas in trappola, ma Israele può perdere
di VINCENZO NIGRO

I primi soldati israeliani vittime della battaglia di Terra a Gaza saranno il prezzo inevitabile della scelta di Israele di entrare dentro la Striscia per smantellare l'apparato militare del gruppo integralista. Ma così come Hamas guarda alla guerra del Libano del 2006 e alla prova offerta da Hezbollah come un esempio da seguire, le IDF guardano al 2006 come a una guerra da non ripetere. Tra l'altro fra i due teatri c'è una importante differenza strutturale, a svantaggio della resistenza islamica: Hamas di per sé ha una capacità militare inferiore a quella di Hezbollah, ma soprattutto a Gaza non ha un retroterra, uno spazio di manovra, una possibilità di rifornimento.

Hamas è in trappola. Ma Israele è ancora in grado di perdere: se il numero dei soldati israeliani uccisi salisse, se le trappole preparate e annunciate da tempo dovessero funzionare, se una salva di razzi Qassam dovesse raggiungere l'obiettivo in Israele, un successo militare apparente per Israele potrebbe rapidamente trasformarsi in una sconfitta politica. Israele combatte proprio per trasformare la sua superiorità militare in una vittoria politica, che gli garantisca nel lungo periodo sicurezza al Sud e una nuova dose di deterrenza in tutto il Medio Oriente per tenere lontani altri gruppi che - come Hamas - sostenuti dall'Iran, volessero sfidare il suo apparato militare.

Il capo di Stato maggiore della Difesa, Gaby Ashkenazy, ha una formazione professionale diversa da quella Dan Halutz, il pilota che guidava le Israeli Defence Forces durante la guerra del Libano. Quando per la prima volta nella storia di Israele un generale dell'aeronautica veniva nominato capo della Difesa, il povero Halutz scherzando disse di se stesso "non c'è bisogno di essere una pecora per guidare un gregge". Ma essere una pecora aiuta se il tuo esercito deve combattere soprattutto una guerra di terra. Ashkenazy è una "pecora", un generale delle forze di terra che ha dedicato ogni momento dl giorno in cui ha sostituito Halutz per ricordare ai suoi comandanti come si combatte a terra.

Dopo l'invasione l'esercito israeliano ha tagliato Gaza prima in due e poi in tre fasce orizzontali. Tre "fette" della striscia che non comunicano tra di loro: per questo motivo le formazioni di Hamas hanno perduto la possibilità di muoversi liberamente, di coordinarsi, di raggrupparsi. Possono agire - come stanno facendo - in azioni di guerriglia urbana, attivando tutte quelle trappole (per soldati, per carri armati, per gli stessi velivoli di Israele) che Hamas ha detto di aver preparato in mesi di attesa.

A questo gli israeliani si sono preparati. Faranno operazioni di ricerca e distruzione degli obiettivi militari di Hamas con grande cautela; eviteranno di mantenere ferme nelle stesse aree per troppo tempo grosse concentrazioni o unità di carri armati; non percorreranno strade che non siano state bonificate e addirittura apriranno nuove strade con i bulldozer per evitare le mine di Hamas.

Secondo Ofer Shelah di "Maariv" e Alex Fishman di "Yediot Ahronot" l'area urbana di Gaza nella dottrina difensiva di Hamas è stata strutturata come la zona dove concentrare tutta la resistenza; case-trappola piene di esplosivo, case-bunker da cui combattere e poi fuggire con cunicoli sotterranei, razzi e mine stradali anti-carro, attentatori suicidi, cariche piazzate ai lati della strada pronte ad esplodere al passaggio di tank o soldati. Tutto questo Hamas ha preparato per accogliere l'esercito israeliano. Per questo Ashkenazi, la "pecora", ha deciso di muoversi con cautela, utilizzando la fanteria, prendendo tutto il tempo necessario per concentrare le forze, lasciar lavorare l'intelligence e il genio, avanzando con forza ma senza precipitazione. Il vero problema sarà il tempo: quanto tempo avrà a disposizione Ashkenazi per conquistare Gaza fetta dopo fetta?

(5 gennaio 2009)
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Hamas si rafforzerà politicamente

Messaggioda franz il 06/01/2009, 13:05

LE CONSEGUENZE DELL'ATTACCO DI ISRAELE A GAZA
«Hamas si rafforzerà politicamente»

Il giudizio di Rami Khouri, uno dei commentatori libanesi più noti anche tra i media internazionali

«Sino ad ora l’attacco israeliano su Gaza dal punto di vista qualitativo non ha nulla di nuovo. La novità sta nell’uso massiccio della forza rispetto alle operazioni degli ultimi anni. In ogni caso, il risultato non cambia: tutto ciò condurrà all’ulteriore radicalizzazione del campo palestinese. Hamas potrà subire un temporaneo smacco militare, tuttavia politicamente si sta già rafforzando».

E’ secco il giudizio di Rami Khouri sulle conseguenze di “Piombo Fuso”: «Servirà a soprattutto a destabilizzare ulteriormente il Medio Oriente». E per un motivo a suo giudizio evidente: «Hamas è un movimento politico nazionalista ben radicato tra la popolazione, l’unico modo per controllarla e ridurne il tasso di aggressività violenta è la trattativa politica diretta». Ne parla con toni preoccupati, teme che le fibrillazioni regionali possano presto arrivare a anche a casa sua, a Beirut.

Khouri è uno dei commentatori libanesi più noti anche tra i media internazionali. I suoi articoli appaiono spesso sul New York Times. Ex direttore del Jordan Times e del Daily Star libanese, è tra l’altro profondo conoscitore del fenomeno Hezbollah. La sua famiglia è divisa tra Nazareth, Amman e Beirut. Le operazioni di terra si stanno intensificando. C’è battaglia a Khan Yunis, una delle roccaforti di Hamas.

Riusciranno gli israeliani a distruggere il suo apparato militare?
«Forse per qualche mese, un anno. Ma poi sarà come dopo l’attacco contro Hezbollah qui in Libano nel 2006: la guerriglia riprenderà forza, si riarmerà. Perché va ricordato che questa non è affatto una guerra tradizionale. Non ci sono due eserciti. Israele può distruggere Gaza in ogni momento. Nessuno mette in dubbio la sua assoluta superiorità militare. E del resto tutto questo lo abbiamo già visto negli anni scorsi: i blitz, i raid, i bombardamenti, gli attacchi contro centri di addestramento, ministeri, stazioni di polizia, leader politici o capi militari. A cosa hanno condotto? Al guadagno di consensi di Hamas tra la sua gente».

I raid potrebbero per esempio mettere fuori gioco per lungo tempo la catena di aiuti militari iraniani ad Hezbollah. Oppure fomentare il malcontento palestinese nei confronti di un’organizzazione che dalla sua vittoria elettorale nel gennaio 2006 non ha generato altro che povertà e violenza a Gaza. «“E’ vero il contrario. Con l’aumento della pressione militare israeliana, con il blocco economico, la popolarità di Hamas è cresciuta ed è invece diminuita quella dell’Olp. Quanto al rapporto con l’Iran non va troppo enfatizzato. Hamas ha una sua forte base popolare, lo si è visto alle elezioni, che sono state tutto sommato pulite, senza brogli. E non è per nulla detto che non sia forte anche in Cisgiordania. Qui è solo l’occupazione israeliana che garantisce davvero il governo di Abu Mazen».

Lei vede un così stretto legame tra l’attacco contro Hezbollah nel 2006 e questo contro Hamas?

«Ci sono molte similitudini. Entrambi i movimenti sono nati in risposta all’occupazione israeliana. Entrambi condensano il fondamentalismo religioso al nazionalismo. Ma con entrambi è possibile negoziare. Lo si è visto nel caso degli scambi di prigionieri, o delle offerte di Hamas per la “Hudna”, il cessate il fuoco».

Scusi, ma se è stato proprio il non rispetto della tregua da parte di Hamas che ha prodotto questo ultimo conflitto? «Questo è solo un aspetto della questione. In verità di recente Israele aveva rotto i patti attaccando alcuni militanti che a suo dire stavano per compiere un blitz. Sta di fatto agli inizi di dicembre cinque guerriglieri erano stati uccisi a Gaza. Inoltre c’è la questione del blocco. Un vero crimine che grida vendetta al cielo. Non si possono tenere un milione e mezzo di persone chiuse in questa strascia di terra dipendente in tutto e per tutto dall’esterno. Nel 2005 Ariel Sharon, dopo il ritiro da Gaza, affermò che voleva gettare in mare le chiavi dei valichi di accesso alla striscia. E l’Egitto non è stato da meno. Ovvio che tra la popolazione locale trovino spazio i gruppi più radicali. Il primo a rompere la tregua è stato Israele che ha imposto il blocco economico».

Cosa prevede?
«La possibile creazione di un nuovo fronte unitario palestinese. Ma non con Abu Mazen, piuttosto tra Hamas e le nuove leve dell’Olp guidate da Marwan Bargouti. Israele continuerà i suoi blitz, con maggiore o minore intensità. E potrebbe anche porre fine ai lanci di missili. Hamas è molto più debole di Hezbollah. Ma sarà un fatto solo temporaneo. Lo ripeto: non esiste soluzione militare al problema di Gaza. Speriamo che lo capisca anche il nuovo presidente americano. Speriamo che Barack Obama cerchi di aprire un dialogo con Hamas».

E in Libano?
«Non prevedo l’apertura di un nuovo fronte. A meno che Israele non attacchi, e non ha alcun interesse a farlo. Hezbollah si sta preparando per le elezioni politiche di primavera, non cerca affatto lo scontro militare. Potrebbe anche vincerle, una rivoluzione per il Libano e un’altra delle conseguenze della guerra del 2006».

Lorenzo Cremonesi
06 gennaio 2009
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Commento sul commento del commentatore.
1) Il blocco a Gaza non è solo da parte di Israele, ma anche dell'Egitto, altrimenti non servirebbero certo tunnel segreti per far passare merci e armi.
2) Per ora Hezbollah sta fermo (a parte le dichiarazioni) per cui alla fine dimostra di essere "indebolito" sul fronte dell'intransigenza. Nel lungo periodo pare quindi che le operazioni di Israele contro Hezbollah abbiano condotto quel movimento a piu' miti consigli. Funzionerà anche con Hamas?
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Re: Hamas si rafforzerà politicamente

Messaggioda trilogy il 06/01/2009, 13:33

franz ha scritto: 2) Per ora Hezbollah sta fermo (a parte le dichiarazioni) per cui alla fine dimostra di essere "indebolito" sul fronte dell'intransigenza. Nel lungo periodo pare quindi che le operazioni di Israele contro Hezbollah abbiano condotto quel movimento a piu' miti consigli. Funzionerà anche con Hamas?
Franz[/color]


C'è anche da dire che i Libanesi hanno combattuto contro i palestinesi di Arafat una sanguinosa guerra interna. Costringendo infine Al Fatah ad abbandonare il paese. In Libano ci sono state alcune delle più spaventose stragi di palestinesi. Non credo che Hezbollah abbia il consenso interno necessario per scatenare una guerra a sostegno dei palestinesi della striscia di Gaza.
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Re: Le 4 facce dell’Apocalisse che minacciano lo Stato ebraico

Messaggioda ranvit il 06/01/2009, 13:47

Va ricordato che, sempre i palestinesi di Arafat, furono cacciati a cannonate e migliaia di morti anche dalla Giordania.....dove erano "entrati di stretto e si erano messi di lungo" (settembre nero).
Accolti per motivi umanitari dopo un po' avevano preso a spadroneggiare.
La verità è che i palestinesi non li vuole nessuno (chissa' perchè?) : sarebbe bene che si dessero una calmata e dedicassero le proprie energie a rimettere in sesto un territorio devastato innanzi tutto dalla loro incuria prima che dalle incursioni degli israeliani!

Va ricordato infatti che Israele ha saputo fronteggiare e vincere le difficoltà climatiche e di territorio trasformando un deserto in un giardino. Viceversa i palestinesi sanno solo lamentarsi e correre dietro agli estremismi prima di Al Fatah e oggi di Hamas.
(Mi ricorda tanto quella parte di popolo del centrosinistra che per demonizzare Berlusconi trascura la costruzione di un moderno partito riformista, democratico, occidentale, capace di modernizzare il Paese senza aspettative messianiche)

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Hamas si rafforzerà politicamente

Messaggioda franz il 06/01/2009, 18:30

trilogy ha scritto:C'è anche da dire che i Libanesi hanno combattuto contro i palestinesi di Arafat una sanguinosa guerra interna. Costringendo infine Al Fatah ad abbandonare il paese. In Libano ci sono state alcune delle più spaventose stragi di palestinesi. Non credo che Hezbollah abbia il consenso interno necessario per scatenare una guerra a sostegno dei palestinesi della striscia di Gaza.

Si, certo, ma piu' che queste giuste considerazioni mi preoccupa molto di piu' scoprire che i programmi UNICEF ed Europei di insegnamento hanno indirettamente alimentato la propaganda prima di Al Fatah ed ora di Hamas e soprattutto il lavaggio del cervello all'infanzia palestinese.
Facile oggi "condannare" la reazione di Israele dopo non aver condannato ieri (anzi alimentato con fondi) cose come queste:
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E dalle scuole ONU, ovviamente chiuse come tali e oggi attaccate dall'esercito israeliano, si lanciano razzi e colpi di mortaio verso Israele.
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Ciao,

Franz
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