da pierodm il 04/02/2011, 12:47
Ranvit - Che la sinistra italiana abbia grandi responsabilità per la situazione politica, economica e sociale italiana
Lodes - Caro Vittorio sono d'accordo con te. Le responsabilità della situazione della sx sono tutte interne ad essa
Non riesco a capire come si possano identificare queste due affermazioni, ma evidentemnte avevo ragione quando qualche tempo fa dicevo che le parole non hanno più senso.
E' abbastanza facile trovarsi d'accordo - o quasi - con l'affermazione di Lodes, soprattutto se si parla di questa "seconda repubblica". Un'affermazione alla quale sarebbe tuttavia bene togliere via quel "tutte", che sarebbe termine giustificato solo se la sinistra - il partito, la coalizione - fossero una monade completamente separata dalla realtà intorno.
Il problema è chiarire quali siano queste responsabilità: con Lodes abbiamo cominciato a discuterne, sebbene il discorso sia rimasto in sospeso.
In attesa di novità, faccio di seguito una comoda auto-citazione - dalla mailing list gargonza".
31-ottobre-1998
Aggiungiamoci che esiste - in parlamento, ma soprattutto nel paese - un
terzo "polo trasversale", che possiamo chiamare democristiano, che
irriducibilmnte non intende affatto confluire, trasformarsi, cedere di
un millimetro la propria posizione pseudo-politica, intimamente
trasformista, storicamente e pregiudizialmente intenzionata ad allearsi
alternativamente con destra o sinistra. Un settore di popolazione, e di
cultura civile, che fa della mancanza di chiarezza un valore fondante (a
livello partitico) ed esistenziale (a livello umano),
Possiamo tralasciare un'altra dozzina di fenomeni minori, perché già
questi accennati sono più che sufficienti per giustificare la confusione
di cui parlavamo.
Non possiamo però dimenticare la cornice, o meglio il tessuto connettivo
su cui queste vicende politiche si impiantano: una società ampiamente
dominata dalla omologazione televisiva, consumistica, e dai riti della
democrazia di massa, oltre che dalla dilatazione sovranazionale di molti
fenomeni. Elementi, questi, che complessivamente tolgono una notevole
forza al discorso che i partiti e le idee politiche riescono a
trasmettere, pur con tutti i limiti e le contraddizioni che abbiamo
accennato.
In realtà, quando si è salutata con un trionfalismo tanto insensato,
quanto sospetto, la cosiddetta "fine delle ideologie", si è trascurato
il fatto che non era poi tanto chiaro che cosa si sarebbe dovuto o
potuto collocare nel vuoto creato da questo acclamato tramonto
ideologico.
In effetti, siccome le ideologie non sono affatto "finite", ma sono
ovviamente presenti e trionfanti con larghezza (quella
capitalistico-finaziaria, per esempio, quella consumistica, quella
autoritaria e classista post-coloniale, e una sterminata serie di
ideologie minori, direi quasi corporative o di sottosistema), e siccome
si tratta in gran parte di ideologie apparentemente a-politiche, risulta
necessariamente che si tenta di fare politica usando strutture ideali e
argomenti che poco servono allo scopo: da qui, anche, la confusione. O
meglio: non appena si esce dalla confusione, ci si ritrova in pieno
dentro antichi e ineluttabili fenomeni politici, che sono chiarissimi
nei loro lineamenti, ma che abbiamo rinunciato a denominare, a definire
politicamente.
...Lo stesso si può dire della disoccupazione, alla quale non giova affatto
essere stata trasportata dall'ambito della politica ideologica (ossia
dello scontro sindacale, del socialismo, etc) a quello della pura
tecnica "pragmatica" degli interventi organizzativi.
Lo stesso si può dire della povertà e della emarginazione sociale, del
razzismo, della immigrazione, delle sventure umane in generale, che - da
qualche tempo - si tenta di riflettere nello specchio del no-profit, del
volontariato, dell'assistenza, una specie insomma di consorzio della
buona morte o della buona vita - del quale tutto si può dire di buono,
ma non che abbia un qualsiasi senso propriamente "politico", anche là
dove i soggetti attivi siano sindaci, commissioni parlamentari, pubblica
amministrazione.
La grande scoperta di trattare e pensare la politica e lo stato, i
partiti e le istituzioni secondo una logica "aziendale", ispirata alla
efficienza, è sicuramente un progresso, rispetto allo sfascio
clientelare e burocratico del cinquantennio democristiano e mafioso, ma
politicamnte rappresenta un pericolo uguale ai malanni che giustamente
tenta di fronteggiare. Che senso ha capire (giudicare, scegliere) le
"idee" o i programmi di un uomo o di un altro, quando si tratta di un
"manager", ossia di un direttore d'azienda, a cui affidare scopi
specifici, con risultati specifici, o settoriali, sostanzialmente
tecnico-amministrativi? Si può anche concordare sul fatto che la
"politica" debba essere questa, così fatta, ma allora dovremmo anche
ristrutturare completamente non soltanto i criteri di chiarezza e
confusione, di appartenenza e di schieramento, ma anche l'intera
struttura di valori intellettuali, culturali che sono alla base della
definizione di cittadinanza, di democrazia, di virtù o di vizio
politico.
Infatti, una nota di confusione viene anche dal fatto che si usano
terminologie e concetti politici e morali, tipici di una politica
"ideologica" e umanistica, applicati a una realtà sociale ed economica
che è la negazione sia dei valori ideologici, sia di quelli umanistici.
E le persone stesse che ascoltano, che giudicano queste voci, questa
terminologia e che vivono in questa realtà dissociata, trovano
estremamente difficile il rapporto tra l'una e l'altra delle due
dimensioni. L'avvento della confusione - per quanto drammatico - non
neppure la più grave delle conseguenze di questo stato di cose: molto
più spiacevole appare lo smarrimento di carattere psicologico ed
esistenziale, da cui si tenta di evadere attraverso l'esasperazione
individuale della filosofia dell'efficienza, ossia quella
dell'arricchimento - che vale almeno come immagine dominante, se non
come possibilità concreta.
Tutto questo, in pratica, significa che faremmo un grave errore a
cercare una chiarezza nel parlamento, o nella politica, quando una tale
chiarezza non c'è innanzi tutto nella società, e nelle persone. Se
insistiamo in questa pretesa, inevitabilmente finiamo per considerare la
politica come sede malvagia di confusione e malafede, e il passo è breve
poi per una disaffezione qualunquistica, e per la catena di conseguenza
che abbiamo già visto sperimentate.