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Nel Pd non c'è il leader

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: Nel Pd non c'è il leader

Messaggioda lucameni il 03/02/2011, 19:59

lodes ha scritto:Non sono un lettore del Corriere perchè tutte le volte che mi capita di leggere Galli della Loggia, Ostellino e Battista mi scatta un riflesso condizionato: anche se scrivono cose condivisibili hanno torto comunque! :D
E' così anche con questo articolo. Ho pensato perchè mi accade questo e ho concluso che normalmente questi intelettuali, finti terzisti, mettono sul tavolo un problema, che riguarda in questo caso il sistema politico italiano, e poi svolgono ragionamenti, appunto in alcune parti anche condivisibili, che normalmente arrivano alla stessa conclusione: il problema dell'Italia è la sinistra, e giù ad elencare tutte le colpe immaginabili che costringono il paese a questa situazione.

Ecco, io proprio non ci sto al giochetto di questi pseudo intellettuali che si definiscono liberali e che da oltre un decennio non sono stati capaci di una denuncia forte della pericolosa deriva antidemocratica a cui Berlusconi e il cd costringono il paese. Altro che assenza di un capo nel PD.
Poi se si vuole fare una discussione (seria) sulla crisi dei partiti e in particolare quelli del cs. i motivi ci sono.
Dall'incapacità per la sinistra ad uscire dal '900 :D alla crisi dei partiti di massa, dalla incapacità di aggregare elettorato attorno ad una proposta per governare il paese all'incapacità a proporre nuove forme di partecipazione.
Per quanto mi riguarda non ho mai creduto che il PD (per come è nato nel 2007) potesse rappresentare l'opportunità di rinnovamento della politica di cui il paese ha tanto bisogno. In conclusione il vuoto di leadership è un prb che può trovare la sua soluzione solo quando si formerà un progetto per il governo che vada oltre la palude in cui la politica e il paese è immersa.



Non a caso Montanelli, destro autentico, li chiamava "liberaloni", intendendo così che erano tutto fumo e niente di liberale.
Comunque sia ancora ancora Galli della Loggia e Battista qualche refolo di buon senso o opinioni decenti in croce riescono ad esprimerle.
Semmai sono Ostellino e Panebianco, terzisti malamente travestiti, ad essere del tutto inavvicinabili.
Leggere a mente fredda i loro editoriali e soprattutto un minimo a conoscenza delle cose che loro fanno finta di non sapere (così disinformando il prossimo, sempre condizionato dal cosiddetto "pregiudizio di razionalità"), è motivo di incazzatura sovraumana.
Peggio dei servi conclamati alla Ferrara o Sallusti: almeno loro si sa che sono a servizio e non fanno nulla per nasconderlo.
"D' Alema rischia di passare alla storia come il piu' accreditato rivale di Guglielmo il Taciturno" (I. Montanelli, 1994)
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Re: Nel Pd non c'è il leader

Messaggioda ranvit il 03/02/2011, 20:07

Si, questi terzisti non sono di sinistra... ma va anche notato che proprio il Corriere (giornale dove principalmente"allignano" questi tre opinionisti) in questi giorni stia facendo una critica ferocissima a Berlusconi & Co. Forse anche piu' di Repubblica.

Che la sinistra italiana abbia grandi responsabilità per la situazione politica, economica e sociale italiana l'ho ripetutamente sostenuto anche io. Una sinistra socialdemocratica, occidentale e riformista (come negli altri Paesi europei) avrebbe consentito un'opportunità agli italiani...che invece non hanno avuto.

Ma qui si parla della situazione attuale. E cosa doveva dire Della Loggia, almeno in questo articolo, che nel centrosinistra va tutto bene e che la colpa del mancato "appeal" da parte dell'elettorato e colpa di Berlusconi?
Si è limitato a dire quello che è...

Ma.... non è che vogliamo che siano altri a tirarci fuori dagli impacci?

Vittorio
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Re: Nel Pd non c'è il leader

Messaggioda lodes il 03/02/2011, 20:28

Caro Vittorio sono d'accordo con te. Le responsabilità della situazione della sx sono tutte interne ad essa e questo ceto politico le porta per intero. E' per questo che ci vorrebbe una "rivoluzione". Non violenta, ma una rivoluzione, una sorta di grosso terremoto da cui partire per ricostruire.
Non leggo il Corriere quindi non so se ora è, come tu dici, molto critico verso Berlusconi, se è così è il segno che sotto il sultano il terreno sta franando. Tuttavia rimane una mia particolare "antipatia" per questi liberali. Per esempio se è vero che Ostellino ha scritto sul Rubygate che le "donne stanno sedute ...." allora la mia antipatia naturale si trasforma in totale avversità.
Ciao.
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Re: Nel Pd non c'è il leader

Messaggioda ranvit il 03/02/2011, 20:59

Indubbiamente Ostellino è il peggiore dei tre :evil:
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Re: Nel Pd non c'è il leader

Messaggioda lucameni il 03/02/2011, 21:35

Sul Corriere: concordo con l'analisi recente di un ferocissimo cronista antiberlusconiano.
De Bortoli fino ad ora è riuscito a stare a galla frenando gli azionisti più schierati e rimanendo direttore di un giornale che ancora dà notizie, mediante un compromesso: cronaca con pochi filtri affidata a giornalisti capaci come Ferrarella e appannaggio quasi totale degli editoriali ad editorialisti appunto alla Panebianco - Ostellino.
Si sono divisi i compiti, facendo però del Corriere qualcosa di assolutamente schizofrenico.
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Re: Nel Pd non c'è il leader

Messaggioda flaviomob il 04/02/2011, 2:26

E' curiosa questa tendenza a definire i difetti di una formazione politica come appartenenti e caratteristici della 'sinistra' solamente quando ciò fa comodo, considerato che ci si riferisce ad un soggetto che per altri aspetti si faticherebbe non poco a considerare (in toto) appartenente all'area politica progressista.
Sulla sinistra italiana è giusto essere severi ed esigenti se si ha l'onestà intellettuale di identificare e riconoscere alcuni fenomeni e di ammettere che la scala di valori utilizzata per questo - sanissimo - esercizio critico è di un ordine di grandezza infinitesimale rispetto alle aberrazioni a cui la destra italiana ci ha abituato nell'ultimo ventennio.
Intanto bisognerebbe cominciare ad ammettere che le battaglie combattute per ottenere il consenso non si sono mai svolte, dalle elezioni del 1994 in poi, a parità di mezzi e di condizioni. La potenza mediatica che ha dato origine a Forza Italia è senza precedenti nell'Italia repubblicana, salvo forse le pressioni della Chiesa per il voto alla DC nel 1948 ma con ben altre motivazioni. Incassata la batosta, le parti politiche che intravedevano un pericolo e una deriva in Berlusconi hanno creato una coalizione in cui confluivano due enormi contraddizioni di fondo, tutt'oggi irrisolte. La prima era la divisione tra le sinistre, in cui una parte pretendeva di utilizzare ancora il termine 'comunista' e l'altra si poneva come soggetto riformista desideroso di accreditarsi come partito affidabile e 'forza tranquilla', cercando però conferme a riguardo dalla sponda politica opposta, che aveva buon gioco a tenere in mano il pallino mediatico e ad attaccare in maniera paranoica tutto il fronte progressista (che in più presentava il settore ambientalista come ulteriore elemento di discontinuità, talvolta pure diviso al suo interno). L'altra contraddizione derivava da una sorta di indefinizione dell'area ex democristiana che entrava a far parte della coalizione: talvolta essa si fermava al PPI (e già si rendeva protagonista, almeno in parte, di una serie di veti che avvelenavano il clima politico, su tutte le questioni in cui entrava la contrapposizione tra fede e laicità), partito perennemente in declino, altre volte si estendeva a soggetti centristi sulla carta ma di fatto opportunisti e pronti a cambiare barricata ad ogni stormir di fronde. Soggetti peraltro molto poco avvezzi ad occuparsi (o ad ammettere l'esistenza stessa) di una questione morale nella politica nostrana.
Tutto ciò senza che mai si riuscisse ad accompagnare la denominazione 'socialista' al principale partito di questa coalizione, cioè l'ex PCI poi PDS poi DS infine PD, come chiarezza e ragionevolezza (facendo parte del PSE e dell'internazionale socialista, escluso il PD) avrebbero richiesto.
Tutto ciò, il che è di gran lunga il dato peggiore, senza riuscire ad incidere sul 'piano inclinato' mediatico che, costantemente e meticolosamente, ha distrutto alla radice quella possibilità di risorgimento civile che l'indignazione collettiva e il desiderio di rottura col passato aveva reso possibile dopo la deflagrazione di tangentopoli.


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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Re: Nel Pd non c'è il leader

Messaggioda ranvit il 04/02/2011, 9:28

La destra italiana cosi' come la sinistra italiana sono....difettose. Indubbiamente, come in un gioco di specchi, l'una ha influenzato l'altra.

Ma oggi e da un bel po' la destra è al governo, noi all'opposizione (i pochi anni nostri al governo non contano perchè non abbiamo concluso nulla). E' un caso?

Ci accontentiamo di lagnarci o vogliamo "prendere coscienza" che il nostro modo di fare è perdente (e che quindi bisogna cambiarlo)?



Vittorio
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Re: Nel Pd non c'è il leader

Messaggioda matthelm il 04/02/2011, 10:13

Flavio, le critiche alla dx non sono all'oggetto della discussione. Critichiamo la parte alla sinistra del Pd perché quella era un potenziale alleato per battere la destra.
Quindi di cosa si sta parlando? Di una mancanza di leader del Pd.
"L'uomo politico pensa alle prossime elezioni. Lo statista alle prossime generazioni".
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Re: Nel Pd non c'è il leader

Messaggioda pierodm il 04/02/2011, 12:47

Ranvit - Che la sinistra italiana abbia grandi responsabilità per la situazione politica, economica e sociale italiana

Lodes - Caro Vittorio sono d'accordo con te. Le responsabilità della situazione della sx sono tutte interne ad essa

Non riesco a capire come si possano identificare queste due affermazioni, ma evidentemnte avevo ragione quando qualche tempo fa dicevo che le parole non hanno più senso.

E' abbastanza facile trovarsi d'accordo - o quasi - con l'affermazione di Lodes, soprattutto se si parla di questa "seconda repubblica". Un'affermazione alla quale sarebbe tuttavia bene togliere via quel "tutte", che sarebbe termine giustificato solo se la sinistra - il partito, la coalizione - fossero una monade completamente separata dalla realtà intorno.

Il problema è chiarire quali siano queste responsabilità: con Lodes abbiamo cominciato a discuterne, sebbene il discorso sia rimasto in sospeso.
In attesa di novità, faccio di seguito una comoda auto-citazione - dalla mailing list gargonza".

31-ottobre-1998
Aggiungiamoci che esiste - in parlamento, ma soprattutto nel paese - un
terzo "polo trasversale", che possiamo chiamare democristiano, che
irriducibilmnte non intende affatto confluire, trasformarsi, cedere di
un millimetro la propria posizione pseudo-politica, intimamente
trasformista, storicamente e pregiudizialmente intenzionata ad allearsi
alternativamente con destra o sinistra. Un settore di popolazione, e di
cultura civile, che fa della mancanza di chiarezza un valore fondante (a
livello partitico) ed esistenziale (a livello umano),
Possiamo tralasciare un'altra dozzina di fenomeni minori, perché già
questi accennati sono più che sufficienti per giustificare la confusione
di cui parlavamo.
Non possiamo però dimenticare la cornice, o meglio il tessuto connettivo
su cui queste vicende politiche si impiantano: una società ampiamente
dominata dalla omologazione televisiva, consumistica, e dai riti della
democrazia di massa, oltre che dalla dilatazione sovranazionale di molti
fenomeni. Elementi, questi, che complessivamente tolgono una notevole
forza al discorso che i partiti e le idee politiche riescono a
trasmettere, pur con tutti i limiti e le contraddizioni che abbiamo
accennato.
In realtà, quando si è salutata con un trionfalismo tanto insensato,
quanto sospetto, la cosiddetta "fine delle ideologie", si è trascurato
il fatto che non era poi tanto chiaro che cosa si sarebbe dovuto o
potuto collocare nel vuoto creato da questo acclamato tramonto
ideologico.
In effetti, siccome le ideologie non sono affatto "finite", ma sono
ovviamente presenti e trionfanti con larghezza (quella
capitalistico-finaziaria, per esempio, quella consumistica, quella
autoritaria e classista post-coloniale, e una sterminata serie di
ideologie minori, direi quasi corporative o di sottosistema), e siccome
si tratta in gran parte di ideologie apparentemente a-politiche, risulta
necessariamente che si tenta di fare politica usando strutture ideali e
argomenti che poco servono allo scopo: da qui, anche, la confusione. O
meglio: non appena si esce dalla confusione, ci si ritrova in pieno
dentro antichi e ineluttabili fenomeni politici, che sono chiarissimi
nei loro lineamenti, ma che abbiamo rinunciato a denominare, a definire
politicamente.
...Lo stesso si può dire della disoccupazione, alla quale non giova affatto
essere stata trasportata dall'ambito della politica ideologica (ossia
dello scontro sindacale, del socialismo, etc) a quello della pura
tecnica "pragmatica" degli interventi organizzativi.
Lo stesso si può dire della povertà e della emarginazione sociale, del
razzismo, della immigrazione, delle sventure umane in generale, che - da
qualche tempo - si tenta di riflettere nello specchio del no-profit, del
volontariato, dell'assistenza, una specie insomma di consorzio della
buona morte o della buona vita - del quale tutto si può dire di buono,
ma non che abbia un qualsiasi senso propriamente "politico", anche là
dove i soggetti attivi siano sindaci, commissioni parlamentari, pubblica
amministrazione.
La grande scoperta di trattare e pensare la politica e lo stato, i
partiti e le istituzioni secondo una logica "aziendale", ispirata alla
efficienza, è sicuramente un progresso, rispetto allo sfascio
clientelare e burocratico del cinquantennio democristiano e mafioso, ma
politicamnte rappresenta un pericolo uguale ai malanni che giustamente
tenta di fronteggiare. Che senso ha capire (giudicare, scegliere) le
"idee" o i programmi di un uomo o di un altro, quando si tratta di un
"manager", ossia di un direttore d'azienda, a cui affidare scopi
specifici, con risultati specifici, o settoriali, sostanzialmente
tecnico-amministrativi? Si può anche concordare sul fatto che la
"politica" debba essere questa, così fatta, ma allora dovremmo anche
ristrutturare completamente non soltanto i criteri di chiarezza e
confusione, di appartenenza e di schieramento, ma anche l'intera
struttura di valori intellettuali, culturali che sono alla base della
definizione di cittadinanza, di democrazia, di virtù o di vizio
politico.
Infatti, una nota di confusione viene anche dal fatto che si usano
terminologie e concetti politici e morali, tipici di una politica
"ideologica" e umanistica, applicati a una realtà sociale ed economica
che è la negazione sia dei valori ideologici, sia di quelli umanistici.
E le persone stesse che ascoltano, che giudicano queste voci, questa
terminologia e che vivono in questa realtà dissociata, trovano
estremamente difficile il rapporto tra l'una e l'altra delle due
dimensioni. L'avvento della confusione - per quanto drammatico - non
neppure la più grave delle conseguenze di questo stato di cose: molto
più spiacevole appare lo smarrimento di carattere psicologico ed
esistenziale, da cui si tenta di evadere attraverso l'esasperazione
individuale della filosofia dell'efficienza, ossia quella
dell'arricchimento - che vale almeno come immagine dominante, se non
come possibilità concreta.
Tutto questo, in pratica, significa che faremmo un grave errore a
cercare una chiarezza nel parlamento, o nella politica, quando una tale
chiarezza non c'è innanzi tutto nella società, e nelle persone. Se
insistiamo in questa pretesa, inevitabilmente finiamo per considerare la
politica come sede malvagia di confusione e malafede, e il passo è breve
poi per una disaffezione qualunquistica, e per la catena di conseguenza
che abbiamo già visto sperimentate.
pierodm
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Re: Nel Pd non c'è il leader

Messaggioda ranvit il 04/02/2011, 13:21

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... d=AaSJnI4C

Commenti e idee
La fine delle ideologie? Fu prevista 50 anni fa

Riccardo Sorrentino Cronologia articolo30 gennaio 2011




Ha spiegato al mondo che le ideologie erano finite già nel 1960. E lui stesso, «socialista in economia, liberal in politica, conservatore in cultura», era un simbolo di questa conquistata pluralità. Daniel Bell, il docente di sociologia ad Harvard morto martedì, all'età di 91 anni, a Cambridge nel Massachusetts - ma la notizia è stata data solo ieri - ha davvero segnato il nostro modo di guardare alla struttura economica e sociale dei paesi avanzati.
Considerato uno dei maggiori intellettuali americani, con The End of Ideology: On the Exaustion of the Political Ideal in the Fifties, Bell aveva segnalato che i vecchi movimenti ideali e sociali dell'800 e del 900 avevano perso ogni rilevanza per la società americana, per la quale si prefigurava - come aveva fatto, ma in modo più radicale, James Burnham con The Managerial Revolution - un futuro guidato, attraverso piccoli passi, dalla tecnologia e dai tecnocrati.
Pur criticata, l'analisi evitò qualche facile ingenuità - nella quale sono caduti successivi imitatori - al punto che Bell riuscì ad anticipare lo scontento e il rifiuto della politica degli anni 60, con le sue ribellioni. La sua visione non preludeva infatti a un nuovo illuminismo, disincantato nei valori ed empirico nelle scelte, ma allo sviluppo di nuove forme di ideologia, meno universali, più legate - diremmo, non a caso, oggi - al territorio.
Persino più influente fu forse il libro successivo, del 1973: The Coming of Post-Industrial Society ha lanciato nel mondo anglosassone uno schema d'interpretazione - un paradigma, se si vuole - della storia economica contemporanea che ha avuto grande fortuna e che era stato anticipato in Francia da Alain Touraine nel suo La Société post-industrielle. Naissance d'une société, pubblicato nel 1969. I tre concetti fondamentali che, secondo Bell, definiscono la società postindustriale - il passaggio dall'industria ai servizi, la centralità della ricerca e della conoscenza e l'emergere di nuove élite tecnocratiche - sono state elaborate e sviluppate da numerosi studiosi delle più diverse discipline sociali.
Criticato soprattutto dal mondo marxista, che vide nel suo lavoro un tentativo di decostruzione del metodo del materialismo storico e un annacquamento delle sue posizioni critiche originarie, Bell stupì poi i suoi detrattori con The Cultural Contradictions of Capitalism nel quale spiegò come la dinamica del capitalismo, incentivando l'avidità, il consumismo e il ricorso all'indebitamento avrebbe eroso quelle basi etiche di risparmio e di razionalità su cui, secondo Max Weber, si basa l'economia moderna.
Non manca nel lavoro del sociologo, che fu anche giornalista, una curiosa previsione, che risale al 1973: «Vedremo probabilmente un sistema nazionale di servizi basati su computer e informazione, con decine di migliaia di terminali nelle case e negli uffici agganciati a giganti computer centrali che forniranno servizi di archivio e d'informazione, permetteranno di ordinare e pagare a livello retail, e così via».
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