Sono vere entrambe le cose.
Le élite culturali ed economiche hanno un peso politico molto rilevante.
Intendendo la cultura in senso non antropologico, ovvero come ciò che caratterizza chi ha potuto studiare ed apprendere di più, è chiaro che chi è più istruito - in una società sana (l'Italia in parte non lo è) - ha competenze migliori e quindi maggiori possibilità di essere scelto per far parte della classe dirigente (in politica), di elaborare idee ed opinioni che influenzano molte persone (intellettuali), di svolgere lavori legati alla formazione (insegnanti, docenti e ricercatori universitari) che lasciano il segno sulle nuove generazioni.
Le élite economiche imprenditoriali certamente condizionano la società. In particolare, ad eccezione (ovviamente) dei regimi comunisti, mantengono un forte potere nei confronti delle autorità politiche anche nei regimi che si allontanano dalla democrazia, mentre i comuni cittadini perdono i propri diritti. Se tutti gli imprenditori italiani all'inizio del fascismo (o del berlusconismo) si fossero opposti con decisione, il regime non avrebbe mai potuto decollare. Infatti si mise al servizio dei "padroni" manganellando chi scioperava o manifestava, per cercare di farseli subito alleati.
Inoltre non dobbiamo dimenticare che fino all'inizio del Novecento il suffragio era limitato a chi aveva entrate economiche superiori ad una certa soglia: quindi è evidente che le élite economiche hanno condizionato tutta la vita civile dell'Italia "liberale" (che democratica, però, non era affatto).
Oggi, in particolare, la proprietà della stragrande maggioranza di quotidiani e reti tv private è in mano a queste élite, in Italia. E ne vediamo bene le conseguenze.
Contemporaneamente, non si può assolvere il popolino, il cittadino medio, le scelte individuali, la mancanza di etica personale.
Qualsiasi paese, non solo in democrazia, è la risultante di decine di milioni di scelte individuali quotidiane, di comportamenti, di prassi, di abitudini. Sarà l'influenza del cattolicesimo (anche se oggi mi ritengo un cristiano non cattolico), ma credo ancora nel libero arbitrio. Ci sono popolazioni che hanno accettato in gran parte il predominio di signorotti mafiosi, che non si sono ribellate, che hanno finto di non vedere. Una volta questo accadeva al Sud, oggi accade anche in molti settori delle realtà metropolitane lombarde e laziali.
Inoltre, la mancanza della possibilità di studiare non è sinonimo di stupidità. Ci sono persone intelligentissime che hanno la quarta elementare, o addirittura analfabeti, che non hanno mai avuto dubbi e ritenuto Berlusconi una jattura profonda. Qui entra in gioco la cultura in senso antropologico: quella italiana, purtroppo, è una cultura di elusione delle regole, di ricerca della scorciatoia (della conoscenza, della raccomandazione), della via facile piuttosto che dell'impegno quotidiano, piuttosto che della ricerca della qualità, dell'incapacità di riconoscere il talento altrui se mette in discussione la mia posizione consolidata, arrivando addirittura all'antimeritocrazia del boicottaggio dei più bravi, laddove fanno sfigurare chi ha il culo al caldo. Per arrivare poi a mignottopoli, ai ricatti incrociati, alle P2 P3 P4 e di nuovo alla criminalità organizzata (che del resto caratterizza il nostro paese, in Europa e nel mondo).
Quindi io non mi sento di assolvere nessuno: ne' quelli in alto, ne' quelli in basso. Nemmeno me stesso: troppa politica in rete, troppo poca sul territorio e nel quotidiano.