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Pisapia

MessaggioInviato: 26/04/2017, 9:08
da Giovigbe
dal sito di "Repubblica"

L'ultimo appello di Pisapia: "Renzi, il tempo è scaduto: unisci la sinistra o è la fine"

ROMA - Quando Giuliano Pisapia, solo pochi mesi fa, si è mosso in prima persona per contribuire alla rinascita di un centrosinistra largo, Barack Obama era ancora alla Casa Bianca, la Gran Bretagna nella Ue e il Pd unito sotto lo stesso tetto. Il tempo fugge e, secondo Pisapia, quello a disposizione della sinistra italiana per darsi un assetto coerente alle nuove sfide globali sta per scadere: "Le elezioni francesi - dice l'ex sindaco di Milano a Repubblica - ci ricordano che la sinistra divisa va incontro a un solo destino: la sconfitta. Se le primarie lo confermeranno segretario del Pd, a Matteo Renzi resta meno di un mese per dare un segnale chiaro: cambiare la legge elettorale e costruire una coalizione. Altrimenti il centrosinistra andrà incontro a una sconfitta che definirei generazionale, perché ci vorrà appunto una generazione prima che si possa ricostruire la fiducia e la partecipazione del proprio elettorato".

Renzi non ha dato alcun indizio di voler andare in questa direzione.
"Gli indizi non sono favorevoli, ma credo ancora alla possibilità di una svolta. Sono favorevole al Mattarellum. Se però non ci sono i voti in Parlamento, può funzionare anche il sistema che il Pd ha proposto in commissione: collegi e premio di maggioranza moderato. Purché si chiarisca se il premio va alla lista o alla coalizione. Serve il secondo, se si vuole mettere in campo una alleanza larga di centrosinistra".

La tesi dell'alleanza larga è degli sfidanti di Renzi alle primarie. Fa il tifo per loro?
"Non sono iscritto al Pd, sono uno spettatore interessato perché, senza i dem, per l'Italia non c'è un futuro di centrosinistra. Spero che, chiunque sarà il nuovo segretario, non stravolga la storia di un partito che nel tempo è cambiato ma il cui elettorato non ha mai rinnegato il suo essere di sinistra".

La sinistra è fresca di scissioni a catena. Come si riunisce chi si è appena lasciato?

"Ascoltando la domanda di unità che proviene dalla base. Esiste una sinistra ragionevole, un mondo che non ha paura della sfida di governo, e che insieme a voci civiche, ambientaliste e moderate al Pd dice: alleiamoci su un progetto per il Paese o sarà la fine. Ha sentito cosa ripete in queste ore Romano Prodi? Io confido che Renzi raccolga questo appello".

Altrimenti?

"Altrimenti questo stesso mondo dovrà trarre le conseguenze e attrezzarsi a dare una rappresentanza autonoma alle proprie idee. Ma il rischio concreto è che, da questo quadro esploso, esca la peggiore sconfitta degli ultimi decenni".

È pronto a essere il candidato premier di uno schieramento a sinistra del Pd?
"Non sono sceso in campo per questo né per fondare partitini del 3 per cento. Senza un'intesa anche con il Pd, si porrà presto il tema della leadership. Un passo alla volta".

In Francia sono fuori dal ballottaggio sia il socialista Hamon che il più radicale Mélenchon. In Gran Bretagna Corbyn pare fuori dai giochi. In Spagna i socialisti hanno perso a ripetizione. La sinistra è in crisi irreversibile?
"La sinistra, ovunque, quando si divide perde. I partiti tradizionali non riescono ad avere la fiducia degli elettori. Ma se si sommano i voti di Mélenchon, che non è estremista, a quelli socialisti, si ha la prova che il campo di centrosinistra è tutt'altro che sparito.

La sinistra è vista da una parte di opinione pubblica come un pilastro dell'establishment responsabile della crisi. A ragione?
"In parte sì. In Italia, in particolare, ha restituito l'immagine di una nomenclatura chiusa. Per troppi anni gli elettori hanno visto le stesse facce scambiarsi ruoli all'interno del gruppo dirigente. È mancato un ricambio e la volontà di agevolarlo. Io, da sindaco, avevo in giunta ragazzi di 28 anni che spesso mi facevano riflettere sul valore di questioni che non avevo gli strumenti per capire".

Le speranze di fermare Marine Le Pen sono affidate al centrista Macron, sostenuto da un elettorato trasversale. Non teme che questo scenario francese dia nuovi argomenti a chi sostiene che, per battere Grillo e Salvini, occorre un fronte dei "responsabili" anche in Italia?
"Mi sembra il contrario. A parte la differenza di sistema elettorale, la ragione fondamentale è politica: è un grave errore dire che il discrimine fondamentale non è più tra destra e sinistra. Innanzitutto perché non è vero e poi perché non offre chiarezza. Ci sono due possibili ordini di risposte ai problemi di fondo, dalla povertà alla crescita: quelle della destra securitaria e parolaia e quelle di una sinistra responsabile e pragmatica".

La manovrina di primavera racconta che il governo di sinistra non riesce a districarsi tra il rigorismo europeo e la volontà di metterlo in discussione.
"In questo caso le notizie dalla Francia sono positive. Macron è un'europeista convinto ma critico. Le regole europee vanno rispettate, ma cambiate quando è necessario. A settembre si voterà in Germania, e se come pare il presidente Schulz avrà un buon successo, potrà esserci un fronte compatto per modificare le regole di Bruxelles. Non per distruggere quello che si è costruito in 70 anni, ma per rispondere alla crisi più drammatica dell'economia dal 1929".

Su molti temi, anche i 5S - già simpatizzanti di Trump - coltivano posizioni affini a Le Pen: sovranismo, protezionismo, polemica dura sui migranti. C'è differenza tra il populismo lepenista e quello grillino?
"La differenza c'è e si vede. Credo che moltissimi sostenitori del M5S sarebbero furibondi all'idea di essere assimilati ai lepenisti. Il 5Stelle è un movimento trasversale, nato da posizioni in parte condivisibili e capace, come nel caso del testamento biologico o delle unioni civili, di sposare posizioni molto avanzate".

Ma con i 5S è ipotizzabile un asse di governo, come evoca Pier Luigi Bersani?
"Un accordo strutturale no. Sui singoli temi, è possibile una proficua collaborazione. Quanto ad alcuni dei loro argomenti forti - dalla sobrietà alla lotta ai privilegi - la sinistra deve saperli recuperare perché è dimostrato che, quando succede, il M5S non tocca palla".

Grillo attacca i radicali e corteggia l'elettorato cattolico. Corteggiamento reciproco, a giudicare dalle posizioni di parte della Chiesa. Crede che sia una manovra solo elettorale o in prospettiva può cambiare equilibri reali, vista la mole di leggi sui diritti civili ancora impantanate o mai discusse?
"Dice bene. Una parte, della Chiesa. Il primo risultato di quello che lei definisce un corteggiamento del mondo cattolico intanto ha prodotto una divisione nella Chiesa. Non esiste più un mondo cattolico monolitico. Se parliamo dell'offensiva sul lavoro domenicale, non possiamo dimenticare che il M5S si è detto favorevole a una battaglia dei sindacati e di una parte della sinistra. Sui migranti, invece, non ci può essere differenza più marcata. Mi chiedo cosa può pensare la Chiesa su quanto sostiene il M5S, peraltro diviso al suo interno, sull'assistenza ai disperati che fuggono da guerra e miseria".

E Berlusconi? Una legge che incentivi le coalizioni non porta con sé il rischio che il centrodestra superi le sue profonde divisioni e torni maggioranza elettorale?
"È una possibilità, comunque meno grave di una sinistra che va divisa alla battaglia decisiva. E poi attenzione: se Fi, Lega e Fdi corrono da soli prendono nel complesso più voti. Il cartello elettorale può invece scoraggiare molti elettori dal sostenere una coalizione con Salvini e Meloni".

Lei paventa un tracollo della sinistra. Ma, senza una vera riforma elettorale, quasi certamente saranno le alleanze in Parlamento a decidere il governo. L'abbraccio Pd-Berlusconi pare a molti inevitabile.
"Sarebbe innaturale. Mettere insieme qualcosa e il suo opposto non può funzionare. L'effetto delle larghe intese sarebbe l'equivalente di una sconfitta elettorale: ci vorrebbero anni per riconquistare la fiducia degli elettori".



P.S. scorrendo i post ho letto critiche a Renzi, circa metodi di conduzione e meriti delle questioni, fatte da persone che lo sostengono (o lo sostenevano) ma sempre respinte nel passato da quelle stesse persone che ora le fanno. Se in questo forum e ancor più nel PD si accettavano prima queste critiche forse oggi non saremmo in questa situazione.

Re: Pisapia

MessaggioInviato: 26/04/2017, 11:57
da ranvit
Mai piu' con la sinistra radicale e con gli scafessi scissionisti! 8-)

Re: Pisapia

MessaggioInviato: 26/04/2017, 13:28
da Stefano'62
Renzi che unisce la sinistra ?
E' come augurarsi mussolini alla guida della brigata osoppo.
Pisapia,riprenditi.

Re: Pisapia

MessaggioInviato: 26/04/2017, 16:06
da mariok
Diamo pure la colpa a Renzi, di cui peraltro non conosco la posizione al riguardo e non apprezzo l'ambiguità forse dovuta all'incertezza su cosa gli risulti più conveniente.

Ma credo che abbiamo più di una prova che un'alleanza di governo con tutta la sinistra sia impossibile.

Una prova ulteriore ce la sta fornendo la vicenda francese, rispetto alla quale certe pulsioni euroscettiche ed anti-tedesche sono abbastanza evidenti.

Credo che lo scenario indicato da Pisapia si tradurrebbe certamente in un regalo alla destra ed ai grillini, facendo perdere molti più voti nell'elettorato cosiddetto moderato di quanti ne farebbe guadagnare a sinistra.

I dati ognuno può leggerli come vuole: per esempio dalle elezioni francesi risulta, come nota Pisapia, che "se si sommano i voti di Mélenchon a quelli socialisti, si ha la prova che il campo di centrosinistra è tutt'altro che sparito", ma a parte il fatto che la somma spesso non fa il totale, è vero anche che se si sommano i voti di Macron a quelli socialisti il risultato è ben maggiore.

Un'idea di quale sia l'incompatibilità tra una sinistra liberale ed europeista ed una estremista ed anti-europea ce la offre questa intervista all'Espresso del Prof. Emiliano Brancaccio.

«Perché io, di sinistra, non voterei Macron per fermare la Le Pen»
«È il "meno peggio" a creare il peggio. Scegliere uno per contrastare l’altro è un controsenso. I cui unici esiti stanno nello spostamento sempre più a destra del quadro politico». La posizione controcorrente dell'economista Emiliano Brancaccio
DI GIACOMO RUSSO SPENA
25 aprile 2017

Ha festeggiato il 25 aprile, da convinto antifascista. Eppure l'economista Emiliano Brancaccio, una delle voci più autorevoli nella sinistra italiana, ideatore della proposta di "standard retributivo europeo", se stesse in Francia non voterebbe per Emmanuel Macron: «L’avanzata del Fronte nazionale è una pessima notizia, l’ennesimo segno funesto di un’epoca dominata dall’irrazionalismo politico. Ma...»

Professore, veramente al ballottaggio in Francia non voterebbe Macron per impedire l’affermazione di Marine Le Pen? Dice sul serio?
«Certo, se fossi un elettore francese al ballottaggio non andrei a votare».

Nel giorno del 25 aprile la sua risposta sorprenderà molti lettori. In questi anni lei ha spesso paventato il rischio di nuovi fascismi in Europa, ed è stato tra i più irriducibili oppositori delle destre xenofobe….
«Io festeggio il 25 aprile non semplicemente per celebrare una ricorrenza, ma perché reputo l’ascesa di nuove forme surrettizie di fascismo la minaccia principale di questo tempo. In questi anni ho trovato patetici gli argomenti di quegli intellettuali sedicenti “di sinistra” che hanno lavorato per sdoganare Le Pen in Francia o Salvini in Italia».

Però adesso che un partito di origini fasciste è a un passo dal conquistare l’Eliseo, lei sceglie di non appoggiare il candidato alternativo. Come mai?
«Chi a sinistra invita a votare il “meno peggio” non sembra comprendere che nelle condizioni in cui siamo il “meno peggio” è la causa del “peggio”. Le Pen e i suoi epigoni sono sintomi funesti, ma è Macron la malattia politica dell’Europa. Scegliere uno per contrastare l’altra è un controsenso».

Può spiegarci meglio?
«Macron incarna l’estremo tentativo del capitalismo francese di aumentare la competitività, accrescere i profitti e ridurre i debiti per riequilibrare i rapporti di forza con la Germania e stabilizzare il patto tra i due paesi sul quale si basa l’Unione europea. Al di là degli slogan di facciata, se vincerà le elezioni Macron cercherà di sfruttare il crollo dei socialisti e lo spostamento a destra dell’asse della maggioranza parlamentare per promuovere le riforme che gli imprenditori francesi invocano e che, a loro avviso, Hollande ha portato avanti con troppa timidezza. Per citare un esempio, Macron non ha mai nascosto che uno degli elementi della sua politica presidenziale sarà una nuova legge sul lavoro, ancora più precarizzante della “Loi Travail” di Hollande. La sua svolta graverà dunque in primo luogo sui lavoratori e sui soggetti sociali più deboli. La beffa è che alla fine questa politica alimenterà anche in Francia i meccanismi deflazionistici che hanno distrutto domanda e base produttiva nel resto del Sud Europa. Alla fine Macron non raggiungerà nemmeno il suo obiettivo di fondo, di riequilibrare i rapporti economici con la Germania e stabilizzare il quadro politico europeo. Chi oggi decide di votare Macron sarà ricordato per avere aderito a una politica anti-sociale, che per giunta si rivelerà fallimentare rispetto ai suoi stessi scopi. Non dovremo meravigliarci se poi si apriranno ulteriori praterie di consenso operaio a favore di ipotesi politiche con caratteristiche ancora più marcatamente nazionaliste, e al limite neo-fasciste».

Quindi, secondo lei, austerity e politiche neofasciste rappresentano una spirale che si autoalimenta, come due facce della stessa medaglia. Si potrebbe ribattere che almeno Macron difende i diritti di libertà e le battaglie civili. Lei è sempre stato attento alle istanze dei movimenti di emancipazione civile, e ha sempre contrastato le forze reazionarie che li osteggiano. Non è un motivo sufficiente per votare Macron?
«No, piuttosto è l’equivoco su cui da tempo ci facciamo del male. La storia insegna che diritti sociali e diritti civili arretrano o avanzano insieme. Sostenere un candidato che vuole cedere altri diritti sociali in cambio di presunti avanzamenti sul versante dei diritti civili è un modo ulteriore per lasciare che i movimenti reazionari continuino a fare proseliti tra le fasce sociali più deboli, con effetti a lungo andare negativi per le stesse conquiste in tema di libertà individuali».

Dunque lei è d’accordo con la scelta del candidato della sinistra, Melenchon, di non dare indicazioni di voto per il ballottaggio?
«Avrei alcune cose da obiettare anche a Mélenchon. Ma non questa scelta».

Il Partito comunista francese si è invece affrettato a dare man forte a Macron in vista del ballottaggio. Che ne pensa?
«È il movimento tattico di un partito che tenta di sfruttare il crollo socialista per guadagnare qualche posizione. Mi sembra una mossa di corto respiro, che i comunisti francesi rischiano di pagare cara quando Macron rivelerà il vero volto della sua politica “modernizzatrice”».

Così però lei mette in discussione la tradizione del fronte repubblicano e anti-fascista, che caratterizza da sempre la sinistra francese.
«Mi risulta che i dirigenti della sinistra francese facciano ancora qualche buona lettura. Suggerirei di dare uno sguardo a una lettera dell’economista Piero Sraffa ad Antonio Gramsci, datata 1924, in pieno fascismo. In essa Sraffa evocava la necessità in primo luogo di una “rivoluzione borghese” di stampo anti-fascista, e solo dopo intravedeva qualche possibilità di avvio di una politica operaia. Gramsci, che per altri versi stimava Sraffa, in quella occasione stigmatizzò la presa di posizione dell’amico definendola il retaggio di una formazione intellettuale liberale, cioè normativa e kantiana anziché marxista e dialettica. Ovviamente aveva ragione Gramsci. Tanto più oggi, in condizioni storiche che sono molto meno tragiche di allora, possiamo trarre da quello scambio una lezione fondamentale: tu puoi gettare le basi per la costruzione di una credibile forza politica di sinistra solo se porti avanti una lunga e faticosa opera di elaborazione di un punto di vista autonomo del lavoro rispetto alle forze egemoni in campo. La lotta tra i partiti di “establishment” rappresentativi degli interessi del grande capitale europeo, e le forze piccolo-borghesi di orientamento nazionalista, è destinata a durare ancora a lungo. Il peggio che in questa fase storica possa fare una forza di sinistra è attuare quello che un tempo si definiva “codismo”: ossia portare acqua all’una o all’altra di quelle due opzioni politiche, in un ruolo subalterno destinato a procurare solo danni alla reputazione e alle prospettive future. L’unica chance per dare nuovamente voce alle istanze sociali e del lavoro incuneandosi nello scontro tra gli interessi del grande e del piccolo capitale, è di costruire una chiara alternativa dialettica a entrambe quelle opzioni politiche».

Un’alternativa che non prevede mai accordi, alleanze o convergenze tattiche?
«Mi pare di ricordare che una regola base della “tattica” sia che puoi immaginare un patto contingente con tutti, anche con il diavolo, ma solo se ritieni che potrai uscirne forte. A proposito di 25 aprile, l’adesione dei comunisti ai comitati di liberazione nazionale fu un caso di questo tipo. Ma nell’attuale fase storica è tutto diverso: io vedo solo convergenze auto-distruttive. Invitare a votare Macron è auto-distruttivo».

D’accordo, professore. Ma se poi Le Pen vincesse le elezioni? Lei verrà additato tra i “cattivi maestri” colpevoli del successo fascista, lo sa questo?
«Le forze potenzialmente neo-fasciste possono già vantare un enorme successo: stanno cambiando il modo di pensare dei popoli europei. Nel mio piccolo, mentre altri supposti “maestri” giocano a lusingarla e accarezzarla, io lotto da anni contro una montante cultura retrograda e fascistoide, che si sta facendo strada molto più di quanto le sole dinamiche elettorali indichino. Bisogna comprendere che anche se non vincono le elezioni i partiti nazionalisti e xenofobi stanno già facendo vera e propria egemonia. Schengen crolla, la politica securitaria avanza, il parlamentarismo è sempre più in crisi. I partiti cosiddetti di “establishment” introiettano sempre di più pezzi di programma delle destre estreme: in certi frangenti le agende politiche mi sembrano condizionate persino più da queste forze che dai tecnocrati di Bruxelles. Davvero c’è chi pensa di contrastare questa lunghissima onda nera, che durerà anni, con il liberismo a scoppio ritardato di Macron, con la sua proposta politica avversa alle istanze sociali e del lavoro? E’ un’illusione folle».

Questa volta non tutti saranno d’accordo con lei…
«Me lo immagino. Già vedo due file di opinionisti “di sinistra”, una lunga costituita da quelli che si affretteranno a dichiarare il loro voto per il giovane delfino del più retrivo liberismo finanziario, e una più corta di coloro che non mancheranno di dare sostegno alla signora fascista candidata all’Eliseo. Provo sincera pena per gli uni e per gli altri».

Re: Pisapia

MessaggioInviato: 26/04/2017, 16:19
da pianogrande
La summa, l'estrema altissima sintesi del vecchio ammuffito e vile "tanto peggio tanto meglio".

Queste teste senza ripieno preferiscono il fascismo per poter fare opposizione senza sforzarsi troppo a ragionare.

Dimenticano che l'opposizione può esistere solo in democrazia.

Le dittature non gli danno libertà di parola e tanto meno gli danno lo stipendio all'opposizione.

Per andare avanti a fare il mestiere di politici fancazzisti devono sperare che vada al potere la Le Pen (o i suoi corrispondenti in Italia) ma che il paese rimanga democratico.

Potrebbe andargli male (anche molto male).

Ne sarei contentissimo per loro ma piuttosto dispiaciuto per me.

Re: Pisapia

MessaggioInviato: 30/04/2017, 12:28
da mariok
Abbastanza d'accordo soprattutto sulla conclusione:

Se questa è la nostra sinistra dissidente si capisce il motivo per cui Renzi, che per fortuna questi temi li conosce e li sostiene, abbia rifiutato quell'alleanza. Una sinistra di quel genere si occupa soltanto di se stessa e quindi purtroppo risulta del tutto inutile.


La critica è che manca, tra ciò che dovrebbe fare una sinistra moderna, un pur minimo accenno ad una profonda riforma della burocrazia, che oggi è una palla al piede per qualunque politica ed è una delle maggiori fonti di corruzione.

Dalle elezioni all'Europa: cinque scelte che Renzi deve fare
Dovrà rinnovare la struttura del partito e occuparsi a fondo dell'Europa, ma non sono impegni che una sola persona può affrontare. E realizzare tutto con il solito giglio magico è da escludere

di EUGENIO SCALFARI

Oggi, domenica 30 aprile, chi vuole può votare alle "primarie" del Partito democratico per scegliere chi dev'essere il segretario del Pd. I candidati sono tre: Renzi, Orlando, Emiliano. Si prevede un milione di voti; e i tre candidati sperano in due o trecentomila in più. La cifra ottimale dovrebbe essere di due milioni, una sorta di entusiasmo che francamente non c'è.

Chi vincerà? Non c'è dubbio, vincerà Renzi che pensa d'incassare il 60 per cento dei voti. È probabile che sia così, anche se sarebbe meglio una sua vittoria un po' più modesta affinché non si monti la testa. Comunque il segretario sarà lui questo è certo.

A quel punto dovrà prendere alcune decisioni urgenti. Direi cinque: se vuole andare al voto al più presto oppure attendere che scada la legislatura, cioè nella primavera del 2018; se vuole riavere la carica di presidente del Consiglio oppure no; se accetterà una alleanza con tutta la sinistra dissidente, come propone Pisapia, l'ex sindaco di Milano; se vuole dedicare la massima attenzione al rafforzamento dell'Europa; infine come e quando pensare ad una nuova legge elettorale.

Ho avuto mercoledì una lunga conversazione telefonica con lui ed ho appreso che ha deciso di non andare al voto anticipato ma soltanto quando la legislatura sarà regolarmente terminata. Gentiloni ha dunque davanti a sé un intero anno di lavoro, ed è molto opportuno soprattutto per quanto riguarda l'economia, l'occupazione, l'assistenza sociale.

Quanto all'Europa, il rapporto di Renzi con quel tema sembra molto intenso ed anzi probabilmente il principale, ma proprio per questo deve tornare alla presidenza del Consiglio perché solo con quella carica può affrontare la sfida europea. Purtroppo ha ragione. Dico purtroppo perché governare l'Italia, rinnovare la struttura del partito e occuparsi a fondo dell'Europa non sono impegni che una sola persona può affrontare. Bisognerà dunque che abbia uno staff numeroso e competente. Fare tutto da solo o con il solito giglio magico è da escludere.

Per quanto riguarda le elezioni del 2018 (sperando che nel frattempo non cambi idea e non ritorni alle elezioni anticipate) si pone il problema delle alleanze e quindi anche quello della nuova legge elettorale sia alla Camera sia al Senato.

Pisapia ha lanciato il tema di ricostituire un'alleanza con tutta la sinistra dissidente. Una lista di coalizione con tutti i vari gruppi che sono in varie occasioni usciti dal Pd. Ognuno ha costituito una formazione propria spappolando in questo modo l'intera sinistra. Pisapia vuole anzitutto che i gruppi dissidenti costruiscano una formazione unica che proponga un'alleanza elettorale con il Pd renziano, concordando con Renzi i temi essenziali sui quali restare uniti in Parlamento ma conservando la propria autonomia e la propria libertà. Insomma mantenendo al tempo stesso alleanza e indipendenza. Questo è il progetto di Pisapia ma non sappiamo ancora se sarà approvato da tutta la dissidenza. Ma quanto a Renzi ha già risposto: Pisapia entri addirittura nel Pd e porti anche qualche suo amico fedele e adatto alla bisogna. Altre alleanze Renzi non intende fare. Il Pd secondo lui è un partito di sinistra moderna e non ha bisogno di alleanze che possono soltanto recare disturbo. Dunque una sinistra moderna ed europeista. Questo vuole Renzi. Ma che cos'è una sinistra moderna?

***

Una sinistra moderna in una Nazione, l'Italia, che fa parte di un'Europa confederata di 27 Paesi, 19 dei quali hanno scelto la moneta comune, deve avere una politica economica post-keynesiana. Cioè: deve accrescere la produttività delle imprese pubbliche e private, stimolando nuovi investimenti e nuova domanda. Gli investimenti debbono costruire nuovi processi produttivi, nuovi prodotti, nuovi traffici commerciali con l'estero, maggiore crescita del prodotto interno lordo (Pil).

Questa è la produttività. Gli attori finanziari e fiscali sono lo Stato e il Fisco da un lato, le banche dall'altro, tenendo naturalmente ben presenti le regole dell'Europa e della sua Commissione.

La crescita del Pil si fonda in parte sull'aumento della produttività, ma soprattutto sulla politica fiscale: sostenere il ceto medio-basso, stimolare l'aumento dei consumi, opere pubbliche numerose e diffuse specie nelle zone più povere del Paese.

La politica post-keynesiana significa indebitarsi per finanziare domanda e lavoro. A questo punto dobbiamo ricordare la politica espansiva della Bce e del suo presidente Mario Draghi. La sua politica monetaria sta dando un forte sostegno ai Paesi più deboli dell'Eurozona e l'Italia è uno di questi, forse il principale. Draghi ha acquistato e continua ad acquistare titoli di Stato sul mercato secondario, obbligazioni pubbliche o di aziende private, preferibilmente di medie dimensioni. La sua politica continuerà fino al 2018, contribuendo così ad un'uscita dalla depressione economica. In parte questa politica sta ottenendo risultati importanti: nelle ultime settimane l'Italia ha raggiunto un tasso d'inflazione di circa un punto e mezzo per cento; potrebbe ed anzi dovrebbe arrivare al 2 per cento e questo renderebbe più forte l'intervento delle banche sul finanziamento delle imprese. C'è anche una politica di tassi bancari stimolanti verso impieghi produttivi e c'è una Unione bancaria europea per smaltire le "sofferenze" bancarie.

La sinistra deve sostenere queste politiche ma occuparsi anche di altri temi sociali. Deve consentire sgravi fiscali alle fasce meno abbienti del reddito e caricare sui ceti più abbienti il peso fiscale derivante da questa politica sociale. Insomma diminuire le disuguaglianze. Il sistema più adatto da questo punto di vista è il cuneo fiscale. L'ho già suggerito molte volte e mi pare che da qualche settimana questa ipotesi sia stata presa in considerazione dal ministro delle Finanze Padoan. Bisognerebbe che il taglio del cuneo fiscale fosse di almeno 10 o meglio 15 punti. Andrebbe a carico dell'Inps che in casi estremi è finanziato dallo Stato, ma in buona parte dallo stesso Inps che ha una gestione complessivamente attiva del suo bilancio. Un taglio rilevante del cuneo è un tipico intervento di marca keynesiana: aiuta i lavoratori e soprattutto le imprese e questo è una finalità tipica di sinistra.

Ma il tema principale, proprio per la sinistra moderna, è l'Europa. È incredibile però quanto poco si interessino dell'Europa i dissidenti dal Pd. La loro attuale attenzione è interamente quella dei loro rapporti con Renzi. Nei loro dibattiti e proposte non c'è una sola parola che riguardi l'Europa: non c'è alcuna attenzione al ministro unico delle Finanze, alla politica delle immigrazioni, alla formazione di una Fbi europea e tanto meno sull'idea renziana di promuovere l'elezione di un Presidente europeo votato da tutti i cittadini del continente insieme ad una Costituente che prepari la struttura federale già indicata nel suddetto referendum. Se questa è la nostra sinistra dissidente si capisce il motivo per cui Renzi, che per fortuna questi temi li conosce e li sostiene, abbia rifiutato quell'alleanza. Una sinistra di quel genere si occupa soltanto di se stessa e quindi purtroppo risulta del tutto inutile.

Re: Pisapia

MessaggioInviato: 30/04/2017, 14:44
da Robyn
Macron mi pare scelga di far costare di più il lavoro flessibile per permettere l'assunzione a tempo indeterminato e questo è positivo perche nei quartieri popolari francesi ci sono molti precari.Naturalmente ci sono delle analogie ma non è detto che in Italia il programma lib-lab segua in linea retta quello di Macron possono esserci delle differenze