Sono contento quando
Vittorio dice che siamo d'accordo sull'incultura - non perché lo "dico io",ma perché è davvero un fatto oggettivo.
Però nel mio intervento volevo sottolineare il fatto che non c'è contrapposizione tra la "mancanza di valori" e il razzismo.
Prima di tutto perché il razzismo è una delle conseguenze della mancanza di valori - o, se si preferisce, della presenza di valori sbagliati, sui quali possiamo discutere a lungo.
Poi, perché il comportamento criminale è il lato individuale del fenomeno razzistico, il quale si riesce a vedere nella sua integrità quando si guarda nella sua dimensione sociale.
Probabilmente, infatti, i ragazzi che sono protagonisti di queste azioni vergognose non si rendono nemmeno conto del fatto che portano la loro pietruzza al fenomeno socio-culturale del razzismo - anche se l'interazione tra la cultura diffusa e il livello individuale si manifesta nel linguaggio e nella scelta dei soggetti contro i quali opera la violenza.
Ricordo bene, per esempio, che quando ero un ragazzino che giocava nei pratoni della periferia romana, i prepotenti e i violenti avevano altri bersagli sui quali esercitavano le loro vocazioni, orecchiate da qualche discorso che svolazzava nelle famiglie o da luoghi comuni, e comunque sempre ispirate da una qualche più o meno vaga "diversità": portare gli occhiali, avere i capelli rossi, parlare un dialetto "alieno", o alla peggio provenire da un altro quartiere della città.
Quando queste scelte si orientano oggi sugli zingari, sui senzatetto, sugli africani o asiatici, per i singoli violenti può sembrare solo una variazione "di moda", ma sul piano sociale le cose non stanno così.
Per esempio, anche nei tempi lontani citati, gli stessi epiteti che a Roma rimanevano nell'ambito della miseria individuale senza costituire una "cultura diffusa", a Milano o Torino la questione si poneva invece in termini propri di razzismo verso i meridionali immigrati.
Se dovessi ricavare un principio, e una causa preminente, da questo fenomeno, direi che molto di questa estensione del fenomeno - vale a dire della valenza sociale del fenomeno, che va oltre l'antica miseria individuale - io lo vedo nella sponda politica e comunicativa che ha fatto lievitare il fenomeno stesso fino a questo livello, in primis ad opera della Lega e della vasta parte di comunicazione nelle mani della destra.
Ci sono infatti da almeno vent'anni partiti, movimenti e organi d'informazione che hanno dato spazio, evidenza, legittimazione intellettuale e morale e dignità di "opinione" ai più discutibili sentimenti individuali basati sul rifiuto e il disprezzo verso "i diversi", facendo passare questo discorso sotto il manto peloso della "sicurezza" e di altri simili.
Questi ragazzi che, poi, di sera vanno in giro a cercare qualcuno da bastonare o bruciare con una bottiglia di benzina, lo fanno certamente perché hanno un infinito vuoto dentro la loro testa, ma scelgono gli obiettivi in base al ronzìo di una cultura diffusa: non leggono giornali, forse ascoltano distrattamente qualche lampo di televisione, ma quella cultura e le parole d'ordine corrono su altri percorsi, sono spesso puro suono che passa solo per le orecchie senza passare per il cervello, e se passa in minima parte per il cervello questo non ha né i dati né l'abitudine a filtrare ed elaborare i suoni che gli arrivano.
A questo proposito riporto di seguito il link con un articolo del Messaggero, che vale la pena leggere:
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php ... =HOME_ROMA