Fare il giornalista in Sicilia
Inviato: 10/10/2011, 11:34
http://www.behablog.it/dett.php?id=1615
Lettera aperta di Giacomo Di Girolamo
Faccio il giornalista in Sicilia occidentale da quando avevo 14 anni. Ho imparato tanto in questi anni soprattutto che raccontare le cose è molto più difficile che inventarle. Da un po’ di tempo a questa parte registro un’escalation di reazioni scomposte ed incivili alle inchieste su fatti piccoli e grandi che scrivo ogni giorno sul mio portale, www.marsala.it, o che racconto nella radio che dirigo, Rmc 101, la radio di Marsala. Minacce, diffide, querele. Che si aggiungono al solito repertorio: saluti levati, telefonate, avvisi più o meno chiari, invio di messaggi tramite terzi.
Credo che un po’ di rogne derivino dalla campagna elettorale prossima ventura, dove molti, tanto per cambiare, si giocano tutto. A Maggio 2012 si vota per il rinnovo dei Sindaci e dei consigli comunali dei più importanti comuni della mia provincia. E siccome ormai tutta la politica è schiacciata sulle elezioni (nel senso che non si parla più di programmi, di idee, ma solo di alleanze e di candidature), il momento del voto è una specie di coito, lo sfogo di tutto un sistema. In giro ci sono tanti impotenti, ma non sanno (ancora) di esserlo. Ecco perché c’è questo nervosismo.
Ma c’è di più. Perchè – isteria della politica a parte – c’è davvero qualcosa che vogliono scippare a me ed alla nostra redazione: il nostro punto di vista. La capacità di dire ciò che pensiamo sulle cose che raccontiamo. A molti fa scandalo, questo nostro rifiuto ideologico del copia – incolla di ciò che accade intorno a noi. Ma è il nostro approccio naturale. Raccontiamo la facilità con cui i politici corrotti fanno carriera, o gli imprenditori collusi vincono appalti. Tutti i colori della nuova mafia. Le colate di cemento sulle nostre coste. Cose di questo genere. E non cerchiamo persone che la pensino come noi, piuttosto cerchiano persone che pensano, punto e basta. E che magari vogliono sapere e confrontarsi, perché si sentono cittadini, prima ancora che spettatori.
Su querele, minacce, diffide e paccottiglia varia che ricevo ho tenuto fino ad ora tenuto un atteggiamento di basso profilo. Una scelta mia, che in redazione non hanno sempre condiviso. “Dovresti parlare di tutto quello che subisci – mi è stato rimproverato – non puoi rispondere a colpi di fioretto a chi ti insegue con la ruspa”. Io invece ho sempre pensato che tutto ciò dovesse restare fuori, quasi per pudore. Anche perché non sopporto il giornalismo gridato (io lo chiamo “resistente”, in anteposizione al nostro modo “residente” di raccontare le cose), che vede minacce e aggressioni anche quando non ci sono, e che ha permesso di facilitare carriere e di creare idoli nel vasto e contraddittorio mondo dell’antimafia siciliana.
Una querela non ti rovina la vita, ho sempre pensato. Una minaccia non ti fa chiudere in casa. Una diffida maldestra non può farti rabbuiare. Fa parte del gioco. Come il mal di schiena per un manovale.
Una querela certo non ti rovina la vita. Ma due, tre, dieci, magari si. I carabinieri che arrivano a casa per notificare un atto, ad esempio, o che ti chiamano in caserma per un interrogatorio tanto semplice quanto lunghissimo (tre domande, due ore). L’ansia della raccomandata contenente l’atto giudiziario. E poi, il dover riprendere le cose scritte, capire cos’è che non va, preparare un minimo di difesa (anche se è mortificante doversi difendere su cose che sono banali, stupide e, soprattutto, vere), respirare profondamente e fare finta di nulla, minimizzare, chiamare l’amico avvocato (che non ringrazi e non ringrazierai mai abbastanza), fare il punto, e andare in tribunale… Tutto questo, si, avvelena il sangue, te lo fa diventare cattivo.
E ti rende strabico. Perché un occhio lo devi rivolgere alle minacce che ti arrivano dall’alto, ai “potenti” dalla querela facile: tanto a loro denunciare non costa nulla, e in caso di sconfitta non pagano nulla. A te, quanto meno, ti hanno rovinato un po’ la vita e fatto spaventare.
L’altro occhio invece deve guardare in basso, a quello che avviene per strada. Negli ultimi mesi due miei fraterni amici (perché queste sono le persone che lavorano con me, prima di tutto, fratelli e amici) hanno ricevuto, rispettivamente, una minaccia di morte ed un paio di promesse di “lignate”. Ci abbiamo riso su. Ma io ho da allora un pulcino nello stomaco un po’ più grande del solito. E si aggiungono, queste minacce, alla mia collezione personale. Da “giornalista tu sei il primo della lista” a “sei un uomo solo con il tuo computer”.
La mia giornata lavorativa – tipo, ormai, sta diventando quella di una specie di p.r. dei corridoi dei tribunali. Mi notificano un atto, un altro lo preparo io, mi vedo con l’avvocato, tranquillizzo l’editore, recupero materiale d’archivio e preparo memorie. Faccio un esempio concreto. Qualche giorno fa ero sul punto di terminare una giornata di lavoro abbastanza tranquilla. Avevo messo a punto una costituzione in giudizio per una richiesta di risarcimento danni assurda (ma l’assurdità purtroppo non dispensa dal comparire in giudizio) da parte di un tizio coinvolto in un’operazione di mafia, e dal tribunale di Marsala veniva la notizia della richiesta di un’archiviazione su un altro procedimento che riguarda una querela per aver raccontato alcuni fatti di mafia della Valle del Belice. Insomma, ero tutto contento, quando mi arriva – gridata a mezzo stampa - la querela del Sindaco di Campobello di Mazara , Ciro Caravà, del Partito Democratico,per il quale “ledo anche la dignità della professione che rappresento”. Addirittura.
La mia attività "criminosa", citata dal signor Caravà è stata quella di aver pubblicato estratti del suo programma elettorale, dichiarazioni, e alcuni precedenti della sua fedina penale, e di averlo intervistato per chiarire il suo pensiero circa casinò (ne vuole aprire uno a Campobello…), sanatoria delle case abusive e via dicendo.
L'intervista, integrale e senza tagli, è pubblicata sia su www.marsala.it (in due parti) che nel canale You Tube della nostra testata, ed in sintesi, sul mensile S. Questo a dimostrazione di quanto sia cura mia, e dei miei collaboratori, di lavorare sempre senza approssimazioni, ascoltando più pareri possibili, ed evitando filtri al racconto delle cose.
Eppure mi sento di ringraziarlo, Caravà. Perché il suo comunicato stampa è stata per me la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E adesso dico basta. Tant’è che prima cosa ho fatto un gesto per me inedito: ho scritto ai giornalisti della provincia dicendo che non sarebbe stato permesso a nessuno – questa volta – di dare la notizia della querela di Caravà con il sorrisino complice. Come se io fossi Pierino la peste e lui il saggio che ha perso la pazienza. Perché ogni volta avviene questo. Quando il potente di turno ti minaccia querela, non trovi mai l’interesse a capire la verità, anzi, sono tutti lì che si danno gomitate nei fianchi: “Ma come dobbiamo fare con Di Girolamo….” E giù risatine e ammiccamenti di sorta.
Gliel’ho scritto bello chiaro,ai miei colleghi di ogni ordine e grado: sbandierare e minacciare querele ai quattro venti non può trovare nella comunità dei giornalisti locali una ricezione morbida e appagante, "inaudita altera parte". E li ho invitati a riflettere tutti insieme - come giornalisti e comunicatori - sull'esistenza o meno nel nostro territorio di tutte le condizioni per svolgere un giornalismo libero da condizionamenti. Ho visto che molti hanno compreso, e che il loro atteggiamento è cambiato.
Poi, ho deciso di scrivere questa lettera aperta. E’ questo il mio primo atto di ribellione allo stato delle cose nel mondo dell’informazione in Sicilia, qui, oggi. Sono stanco di incassare in silenzio.
Spero di non essere il solo, e che il mio gesto possa essere d’esempio e di incoraggiamento per quanti cercano ancora di portare avanti – con passione – questo mestiere dannato e bellissimo.
Lettera aperta di Giacomo Di Girolamo
Faccio il giornalista in Sicilia occidentale da quando avevo 14 anni. Ho imparato tanto in questi anni soprattutto che raccontare le cose è molto più difficile che inventarle. Da un po’ di tempo a questa parte registro un’escalation di reazioni scomposte ed incivili alle inchieste su fatti piccoli e grandi che scrivo ogni giorno sul mio portale, www.marsala.it, o che racconto nella radio che dirigo, Rmc 101, la radio di Marsala. Minacce, diffide, querele. Che si aggiungono al solito repertorio: saluti levati, telefonate, avvisi più o meno chiari, invio di messaggi tramite terzi.
Credo che un po’ di rogne derivino dalla campagna elettorale prossima ventura, dove molti, tanto per cambiare, si giocano tutto. A Maggio 2012 si vota per il rinnovo dei Sindaci e dei consigli comunali dei più importanti comuni della mia provincia. E siccome ormai tutta la politica è schiacciata sulle elezioni (nel senso che non si parla più di programmi, di idee, ma solo di alleanze e di candidature), il momento del voto è una specie di coito, lo sfogo di tutto un sistema. In giro ci sono tanti impotenti, ma non sanno (ancora) di esserlo. Ecco perché c’è questo nervosismo.
Ma c’è di più. Perchè – isteria della politica a parte – c’è davvero qualcosa che vogliono scippare a me ed alla nostra redazione: il nostro punto di vista. La capacità di dire ciò che pensiamo sulle cose che raccontiamo. A molti fa scandalo, questo nostro rifiuto ideologico del copia – incolla di ciò che accade intorno a noi. Ma è il nostro approccio naturale. Raccontiamo la facilità con cui i politici corrotti fanno carriera, o gli imprenditori collusi vincono appalti. Tutti i colori della nuova mafia. Le colate di cemento sulle nostre coste. Cose di questo genere. E non cerchiamo persone che la pensino come noi, piuttosto cerchiano persone che pensano, punto e basta. E che magari vogliono sapere e confrontarsi, perché si sentono cittadini, prima ancora che spettatori.
Su querele, minacce, diffide e paccottiglia varia che ricevo ho tenuto fino ad ora tenuto un atteggiamento di basso profilo. Una scelta mia, che in redazione non hanno sempre condiviso. “Dovresti parlare di tutto quello che subisci – mi è stato rimproverato – non puoi rispondere a colpi di fioretto a chi ti insegue con la ruspa”. Io invece ho sempre pensato che tutto ciò dovesse restare fuori, quasi per pudore. Anche perché non sopporto il giornalismo gridato (io lo chiamo “resistente”, in anteposizione al nostro modo “residente” di raccontare le cose), che vede minacce e aggressioni anche quando non ci sono, e che ha permesso di facilitare carriere e di creare idoli nel vasto e contraddittorio mondo dell’antimafia siciliana.
Una querela non ti rovina la vita, ho sempre pensato. Una minaccia non ti fa chiudere in casa. Una diffida maldestra non può farti rabbuiare. Fa parte del gioco. Come il mal di schiena per un manovale.
Una querela certo non ti rovina la vita. Ma due, tre, dieci, magari si. I carabinieri che arrivano a casa per notificare un atto, ad esempio, o che ti chiamano in caserma per un interrogatorio tanto semplice quanto lunghissimo (tre domande, due ore). L’ansia della raccomandata contenente l’atto giudiziario. E poi, il dover riprendere le cose scritte, capire cos’è che non va, preparare un minimo di difesa (anche se è mortificante doversi difendere su cose che sono banali, stupide e, soprattutto, vere), respirare profondamente e fare finta di nulla, minimizzare, chiamare l’amico avvocato (che non ringrazi e non ringrazierai mai abbastanza), fare il punto, e andare in tribunale… Tutto questo, si, avvelena il sangue, te lo fa diventare cattivo.
E ti rende strabico. Perché un occhio lo devi rivolgere alle minacce che ti arrivano dall’alto, ai “potenti” dalla querela facile: tanto a loro denunciare non costa nulla, e in caso di sconfitta non pagano nulla. A te, quanto meno, ti hanno rovinato un po’ la vita e fatto spaventare.
L’altro occhio invece deve guardare in basso, a quello che avviene per strada. Negli ultimi mesi due miei fraterni amici (perché queste sono le persone che lavorano con me, prima di tutto, fratelli e amici) hanno ricevuto, rispettivamente, una minaccia di morte ed un paio di promesse di “lignate”. Ci abbiamo riso su. Ma io ho da allora un pulcino nello stomaco un po’ più grande del solito. E si aggiungono, queste minacce, alla mia collezione personale. Da “giornalista tu sei il primo della lista” a “sei un uomo solo con il tuo computer”.
La mia giornata lavorativa – tipo, ormai, sta diventando quella di una specie di p.r. dei corridoi dei tribunali. Mi notificano un atto, un altro lo preparo io, mi vedo con l’avvocato, tranquillizzo l’editore, recupero materiale d’archivio e preparo memorie. Faccio un esempio concreto. Qualche giorno fa ero sul punto di terminare una giornata di lavoro abbastanza tranquilla. Avevo messo a punto una costituzione in giudizio per una richiesta di risarcimento danni assurda (ma l’assurdità purtroppo non dispensa dal comparire in giudizio) da parte di un tizio coinvolto in un’operazione di mafia, e dal tribunale di Marsala veniva la notizia della richiesta di un’archiviazione su un altro procedimento che riguarda una querela per aver raccontato alcuni fatti di mafia della Valle del Belice. Insomma, ero tutto contento, quando mi arriva – gridata a mezzo stampa - la querela del Sindaco di Campobello di Mazara , Ciro Caravà, del Partito Democratico,per il quale “ledo anche la dignità della professione che rappresento”. Addirittura.
La mia attività "criminosa", citata dal signor Caravà è stata quella di aver pubblicato estratti del suo programma elettorale, dichiarazioni, e alcuni precedenti della sua fedina penale, e di averlo intervistato per chiarire il suo pensiero circa casinò (ne vuole aprire uno a Campobello…), sanatoria delle case abusive e via dicendo.
L'intervista, integrale e senza tagli, è pubblicata sia su www.marsala.it (in due parti) che nel canale You Tube della nostra testata, ed in sintesi, sul mensile S. Questo a dimostrazione di quanto sia cura mia, e dei miei collaboratori, di lavorare sempre senza approssimazioni, ascoltando più pareri possibili, ed evitando filtri al racconto delle cose.
Eppure mi sento di ringraziarlo, Caravà. Perché il suo comunicato stampa è stata per me la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E adesso dico basta. Tant’è che prima cosa ho fatto un gesto per me inedito: ho scritto ai giornalisti della provincia dicendo che non sarebbe stato permesso a nessuno – questa volta – di dare la notizia della querela di Caravà con il sorrisino complice. Come se io fossi Pierino la peste e lui il saggio che ha perso la pazienza. Perché ogni volta avviene questo. Quando il potente di turno ti minaccia querela, non trovi mai l’interesse a capire la verità, anzi, sono tutti lì che si danno gomitate nei fianchi: “Ma come dobbiamo fare con Di Girolamo….” E giù risatine e ammiccamenti di sorta.
Gliel’ho scritto bello chiaro,ai miei colleghi di ogni ordine e grado: sbandierare e minacciare querele ai quattro venti non può trovare nella comunità dei giornalisti locali una ricezione morbida e appagante, "inaudita altera parte". E li ho invitati a riflettere tutti insieme - come giornalisti e comunicatori - sull'esistenza o meno nel nostro territorio di tutte le condizioni per svolgere un giornalismo libero da condizionamenti. Ho visto che molti hanno compreso, e che il loro atteggiamento è cambiato.
Poi, ho deciso di scrivere questa lettera aperta. E’ questo il mio primo atto di ribellione allo stato delle cose nel mondo dell’informazione in Sicilia, qui, oggi. Sono stanco di incassare in silenzio.
Spero di non essere il solo, e che il mio gesto possa essere d’esempio e di incoraggiamento per quanti cercano ancora di portare avanti – con passione – questo mestiere dannato e bellissimo.